aspàrago

(toscano aspàragio e spàragio), sm. (pl. -gi) [sec. XIV; dal greco aspáragos]. Termine corrispondente a quello latino del genere Asparagus della famiglia Asparagacee . Comunemente, però, viene usato per indicare la specie commestibile più nota, l'Asparagus officinalis (o asparago comune). Questa specie presenta fusti annui, sottili, assai ramificati, alti 2-3 m, portanti minuti fillodi aghiformi. Di tali piante vengono consumati come ortaggio i giovani fusti teneri (turioni), crescenti da un ammasso di radici un po' ingrossate (zampe). I fiori sono piccoli e giallastri, a sei tepali; i frutti sono bacche rosse, grosse come piselli. Per la coltura sono necessari terreni sciolti e drenati, arricchiti di buone concimazioni organiche. In Italia, dove la coltura dell'asparago occupa circa 6000 ha con una produzione che si aggira sui 330.000 q, le regioni con maggiore produzione sono: Emilia Romagna, Veneto, Toscana, Piemonte, Lazio e Liguria. Tra le cultivar con più larga diffusione: precoce d'Argenteuil Rosa Lhérault, colossale di Connover, violetto d'Olanda o di Albenga, verde o comune, Express. § Delle numerose specie di asparagi molte crescono spontanee nei boschi, come Asparagus tenuifolius, a volte raccolto per uso alimentare; altre sono coltivate a scopo ornamentale come Asparagus plumosus, detto comunemente asparagina, a fronde piumose, leggerissime, di color verde intenso, usate per ornare mazzi di fiori, e l'Asparagus sprengeri, il quale presenta invece portamento flessuoso e ricadente, con cui si adornano balaustre. § Gli asparagi costituiscono un alimento apprezzato, preparato più spesso come piatto a sé stante che come verdura di contorno. Gli asparagi si fanno cuocere a vapore, bollire e si mangiano all'agro, oppure alla parmigiana, spesso con l'aggiunta di uova fritte.

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