monetarismo

sm. [da monetario]. Scuola di pensiero macroeconomico sviluppatasi a Chicago grazie soprattutto a M. Friedman, K. Brunner, A. L. Metzler, D. Laidler, A. Schwartz, M. Parkin; essi sono in generale per un approccio neopositivista all'economia, cioè affidano particolare importanza al momento della verifica empirica rispetto a quello della costruzione teorica. Ciò che conta dunque è, secondo questo approccio, una buona analisi econometrica, mentre diventa meno rilevante la specificazione strutturale da cui dovrebbe trarre origine l'analisi empirica. Relativamente al dibattito macroeconomico, i monetaristi hanno sempre affermato la validità della legge di Say, e quindi si sono sempre mostrati fiduciosi nel funzionamento spontaneo dell'economia e nelle sue capacità di raggiungere una posizione di sostanziale pieno impiego delle risorse (quanto Friedman definisce saggio naturale di disoccupazione). Essi si fondano sulla teoria quantitativa della moneta, affermando la neutralità della politica monetaria, e ritenendo conveniente evitare forme di interventismo pubblico nell'economia. Negli studi di economia internazionale, hanno sempre considerato valida la legge della parità dei poteri d'acquisto, secondo la quale il tasso di cambio tra due divise riflette esattamente il differenziale tra gli andamenti di prezzo. Una politica economica di tipo monetarista è stata applicata nella Gran Bretagna durante il governo di M. Thatcher; in Cile da Pinochet, e, sebbene in forma meno rigida, negli USA dall'amministrazione Reagan.

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