Lessico

agg. e sm. (pl. m. -ci) [sec. XIV; dal greco kōmikós, propr. della commedia].

1) Agg., della commedia, relativo alla commedia: autore comico; teatro comico.

2) Che provoca ilarità; ridicolo: un film comico; “non mandava più che una comica vocina nasale” (Fogazzaro).

3) Sm., attore che sostiene ruoli comici: un famoso comico della televisione. Antico, attore in genere (specialmente durante la fioritura della Commedia dell'arte): “Sviluppare in questa tragedia gli effetti che mi divorano, e farla recitare questa primavera dai comici che vorranno” (Alfieri).

4) Autore di scritti comici: “Innumerabili novellieri, romanzieri e comici” (De Sanctis). Nel teatro classico, l'autore di commedie (in quello latino, anche gli interpreti del genere).

5) Comicità, lato comico; il genere comico: cogliere il comico di una situazione; pochi autori si dedicano al comico.

Cinema

Il genere comico ebbe il massimo splendore nell'epoca del muto. Nacque come breve comica finale: farsa con un protagonista buffo, acrobata e clown, ridotto a maschera pressoché immutabile, talvolta accompagnato da un partner. In Francia, nel primo decennio del sec. XX si imposero i comici della Pathé, mentre negli Stati Uniti emergeva John Bunny, corpulento caratterista di parodie domestiche. André Deed si affermò anche in Italia col nome di Cretinetti e vi influenzò Polidor e Robinet. Max Linder, elegantone da vaudeville, con la sua fama internazionale favorì in Europa il sorgere di altri centri (in Danimarca con Madsen e Schenström, cioè Pat e Patachon; in Russia, ecc.). Negli Stati Uniti, sempre negli anni Dieci, si affermò il complesso Keystone di Mack Sennett, inventore degli inseguimenti, delle torte in faccia, dei Keystone Cops (i poliziotti sempre in corsa) e più tardi delle Bathing Beauties (o bellezze al bagno) e animatore di un vivaio inesauribile d'interpreti e di tipi: il grassone Fatty (Roscoe Arbuckle), lo strabico Ben Turpin, il brutale Mack Swain, l'agghindato Ford Sterling, l'innocente fanciulla Mabel Normand, senza contare i grandissimi che poi seguirono, Charlie Chaplin e Buster Keaton. Quando Larry Semon (Ridolini) elettrizzò per la Vitagraph la formula Sennett e Hal Roach allestì una seconda scuola di pagliacci, capitomboli e risate (da cui uscirono Harold Lloyd e, riuniti insieme, S. Laurel e O. Hardy), lo short cedette il passo al medio e lungo metraggio dando l'avvio (si era negli anni Venti) all'età d'oro del film comico. Attori-creatori come Chaplin e Keaton impressero al genere, superandolo come tale, il sigillo di un'arte profonda e trasfigurante ; con occhiali e paglietta, Lloyd volse in allegria l'ottimismo avventuroso alla Douglas, mentre Harry Langdon, il meno fortunato del quartetto, fu un languido pierrot. Ma il suo regista, F. Capra, era già più vicino alla commedia che alla comicità. Con l'avvento del parlato, infatti, il genere si trasformò. Alla farsa mimica succedette appunto la commedia (sofisticata negli USA, musicale nell'URSS), alla gag fulminea il disteso quadro parodistico. Sulla situazione prevalse la battuta, sull'attore singolo la coppia (Stan Laurel-Oliver Hardy ) oppure il trio (i fratelli Marx). I primi cortometraggi di W. Disney assunsero nella programmazione il ruolo distensivo un tempo riservato alla comica. Mentre tramontarono Keaton e Lloyd, che non poterono adattarsi al sonoro, dopo Tempi moderni (1936) il recalcitrante Charlot si convertì al parlato, ma lasciando il posto ad altri personaggi, più tragici che comici. Dovunque, a Hollywood come in Austria, in Cecoslovacchia come in Francia, in Gran Bretagna come in Messico, salirono alla ribalta, proprio come tali, gli attori di rivista. Negli USA, da W. C. Fields a Danny Kaye, da Eddie Cantor a Jerry Lewis, fino alla “scuola ebraica newyorkese” di Woody Allen e di Mel Brooks, si sviluppò una lunga schiera che stabilì il predominio dei lazzi verbali, dell'eccentricità, del paradosso e del nonsense e diluì la comicità pura nella caratterizzazione paesana e nei numeri isolati. In Italia eccelse Totò, che non trovò tuttavia registi alla sua altezza , mentre più tardi attori come Sordi, Tognazzi, Gassman, Manfredi hanno dato luogo a un tipo di commedia detto all'italiana. E così hanno fatto nei rispettivi Paesi e con tutte le contaminazioni possibili dell'umorismo o della satira, i numerosissimi altri che hanno in comune la lontananza dai canoni classici, ai quali si è ricollegato invece il francese J. Tati, forse l'ultimo comico vero e proprio (mentre, su un piano minore, va ricordato anche Pierre Étaix). Successivamente, in Italia il genere si è arricchito dei contributi di una nuova generazione di comici, quali R. Benigni, M. Nichetti, M. Troisi.

Filosofia

In senso generale, il comico è il complesso di sentimenti che, a contatto con una realtà a noi inusuale o in aperta rottura con i nostri modi di vita, suscitano un divertito senso di stranezza, che nelle sue manifestazioni muove al riso; in senso letterario, si dice comico il contrario di serio e di tragico. Per la varietà e complessità dei suoi motivi soggettivi e oggettivi, il comico ha interessato i pensatori di ogni tempo: Platone lo riscontra nell'innocua presunzione di chi si crede al di sopra degli altri; Aristotele definisce comico un difetto fisico o morale che non rechi danno né dolore; Cicerone trova il comico in detti che “rilevano qualcosa di sconveniente in modo non sconveniente”; Hobbes definisce comico l'orgoglio improvviso che suscita in noi la constatazione della nostra superioritànei confronti dell'inferiorità altrui; secondo Kant “il riso è un'affezione che deriva da un'aspettazione tesa che d'un tratto si risolve in nulla”; per Hegel il comico è un superamento gioioso delle contraddizioni; per Schopenhauer nasce “da un'incongruenza tra un concetto e gli oggetti reali assunti sotto di esso”; Bergson definisce comico ciò che vive su di una persona senza organizzarsi con essa; Freud mette il motto comico in relazione con le tendenze inconsce che cercano soddisfazione; per Ch. Lalo il comico è la sintesi del contrasto e della degradazione. Di qui si desume che il contrasto comico è un assurdo a cui non manca una sua logica necessità.

Teatro

Il teatro comico, beffardo, irriverente, critico verso usi, costumi, autorità, poteri, ha origini antichissime e una storia a livello professionale che si identifica solo fino a un certo punto con i generi letterari codificati della commedia (dove il ruolo del comico è stato sostituito da parti affini, quale per esempio quella del brillante) e della farsa accentrandosi interamente sull'ingegnosità e sulla capacità d'improvvisazione dell'attore. § Benché la parte del comico sia soprattutto presente nel cinema e fondamentale nel teatro leggero, dove ha assunto un carattere definito con la nascita, nella seconda metà dell'Ottocento, del varietà, non si può dimenticare la lunga genealogia di comici, la cui presenza è continua nei secoli e abbraccia anche i periodi in cui il teatro scritto manca interamente o non lascia copioni degni di memoria. Ne sono esempi, fra i più noti, il mimo greco, il pantomimo romano, il giullare delle corti e dei castelli, l'istrione che si esibisce agli angoli delle strade, sfidando percosse e scomuniche, in pieno Medioevo, l'irriverente baladin delle fiere parigine settecentesche, lo stesso comico dell'arte e ancora il clown del circo, il comico del varietà, l'entertainer del caffè-concerto e del cabaret. Nel teatro contemporaneo, il repertorio del comico va dall'imitazione parodistica spesso sofisticata, come negli impersonators inglesi (Beatrice Lillie, Vesta Tilley), o più bonaria, come negli imitatori e nei macchiettisti italiani (Petrolini, Maldacea, Cuttica), alla multiforme capacità interpretativa dei trasformisti (primo fra tutti Fregoli); dall'abilità caricaturale degli eccentrici, comici più vicini nel carattere al jester che al comedian (Little Tich, Emmett Kelly), abilità resa più sottile e raffinata nel fantasista (Bob Hope, Danny Kaye, Maurice Chevalier), alla più ingenua ed elementare farsa di tutto il repertorio comico, quella dello slapstick, clamorosa, convulsa, clownesca ma con infallibile e immediato effetto di provocazione al riso.

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