Lessico

Sf. [sec. XIII; dal latino fabŭla, dal tema di fari, parlare].

1) Breve racconto, in prosa o in versi, di cui sono protagonisti animali parlanti (o, meno sovente, esseri inanimati o cose) e che racchiude un insegnamento morale o didascalico: le favole di Fedro; anche il genere letterario che ne deriva. Nella loc. la morale della favola, l'insegnamento che se ne ricava e per estensione il vero significato, la sostanza di un fatto. Anche, ma impr., racconto di natura popolare e di argomento fantastico, fiaba, novella: le favole di Andersen. Per estensione, leggenda, mito.

2) Commedia, dramma: favola pastorale.

3) Chiacchiera, cosa non vera, menzogna, bugia, diceria su una persona o un avvenimento; anche l'oggetto di tali chiacchiere: essere la favola del paese.

4) Poetico, il corso della vita umana: “La favola breve è finita” (Carducci).

Letteratura

Per il suo contenuto gnomico, la favola si distingue dalla fiaba, che, dotata di una più ampia libertà strutturale, si avvale di elementi più liberamente fantastici, assumendo come protagonista l'uomo e subordinando l'intenzione didascalica (che è invece primaria nella favola) a uno scopo ricreativo e poetico. Mentre la fiaba si colloca oltre le leggi della natura, di esse tenta un'interpretazione il mito, dal quale si sviluppa la leggenda, che rispecchia l'antagonismo tra l'uomo e la natura, tendendo verso la storia; la favola, infine, conclude il ciclo, rappresentando il momento di maggiore sviluppo di una civiltà e interpretando in senso didascalico-morale i rapporti sociali. Come genere letterario, la favola fiorì nell'Oriente, dando vita a due opere monumentali in sanscrito: il Pañcatantra (I cinque Libri) e il Hitopadeśa (I buoni suggerimenti). Presente nella letteratura greca fin dalle origini (Esiodo, Archiloco, Erodoto, ecc.), la favola acquista i suoi caratteri tipici con Esopo. A Roma la favola, presente inizialmente sotto forma di apologo (celebre quello di Menenio Agrippa) o di componimento drammatico (fabula palliata, cothurnata, praetextata, tabernaria, atellana), acquista dignità d'arte con Orazio (si veda il racconto del topo di campagna e del topo di città, Satire, II, 6). Chi però ha il merito di aver fissato i caratteri del genere favolistico creato da Esopo è Fedro, che rispecchia nella favola la condizione delle classi subalterne, oppresse dai potenti. Il Medioevo conosce solo indirettamente Esopo e Fedro. Intorno al Mille fioriscono numerosi bestiari e raccolte dette in Francia ysopets (da Esopo): celebre quella in versi di Marie de France (fine sec. XII). Nel basso Medioevo si afferma, nell'ambito della favola, un genere letterario autonomo, l'epopea animalistica, che, probabilmente sotto l'influsso del Pañcatantra, compendiato da Giovanni da Capua nella raccolta Directorium humanae vitae (1262-78), si sviluppò nella Francia settentrionale, incentrandosi su due animali protagonisti: la volpe (tedesco, Reinhart; francese, renard) e il lupo (tedesco, Isengrin): al testo più cospicuo di questa epopea, il Roman de Renard, attinse anche Goethe, con il suo Reinecke Fuchs (1794; La volpe Reinecke). Poco apprezzata dal Quattrocento umanistico, la favola piacque, invece, nel Cinquecento, sia agli scrittori del Rinascimento italiano (dall'Ariosto, che introdusse nelle sue Satirefavole argute e scherzose, ad A. Firenzuola e ad A. F. Doni, che si rifecero al Pañcatantra) sia agli scrittori della Riforma protestante (H. Sachs, E. Alberus, B. Waldis) che nella favola, apprezzata anche da Lutero e Melantone, videro una forma efficace di polemica anticattolica. In epoca barocca la favola non ebbe cultori in Italia, mentre in Francia J. de La Fontaine scrisse con le sue Fables un autentico capolavoro. Il Settecento illuministico riscoprì la razionalità nascosta sotto il camuffamento zoomorfo della favola e la portò al massimo splendore. Mentre in Germania G. E. Lessing, con il suo Trattato sopra la favola (1759), rifiutava La Fontaine e tornava alla limpidezza stilistica di Esopo, il modello lafontainiano fu ripreso in Francia da J.-P. Claris de Florian; in Inghilterra da J. Gay; in Spagna da T. de Iriarte; in Russia da I. I. Dmitriev e, più tardi, da I. A. Krylov, considerato il più grande favolista della letteratura russa; in Italia, infine, da T. Crudeli, G. Roberti, L. Pignotti, L. Fiacchi, A. Bertola, G. B. Casti. Il secolo romantico respinse l'intellettualismo e il didascalismo della favola, coltivando di preferenza la fiaba, che offriva maggiore libertà fantastica, mentre un ritorno alla tradizione favolistica è segnato, nel sec. XX, specialmente da Trilussa, autore fecondo di scettici apologhi in dialetto romanesco, e da P. Pancrazi, autore di una garbata trascrizione esopiana (Esopo moderno, 1930).

Bibliografia

S. MacSay, La fable joyau des ans, à travers les peuples et les âges, Parigi, 1963; M. Nosgaard, La fable antique, Copenaghen, 1965; A. Beniscelli, La finzione del fiabesco, Genova, 1986.

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