Definizione

Diffusione e utilizzazione su larga scala delle macchine e della tecnologia nei processi di trasformazione produttiva di materie prime e semilavorati. In senso più generale il termine indica l'insieme dei cambiamenti economici e sociali provocati dall'avvento del macchinismo e dall'applicazione delle invenzioni nella produzione. L'uso pratico di macchinari a fini produttivi si verificò in maniera significativa nella seconda metà del XVIII secolo in Gran Bretagna, per poi diffondersi negli altri Paesi nel corso del secolo XIX.

Le origini

Fino al Settecento la lavorazione dei prodotti era rimasta sostanzialmente di tipo artigianale, benché tra Cinquecento e Seicento si fosse sviluppato in alcune regioni europee (Italia settentrionale, Paesi Bassi, Inghilterra, Francia, Germania) un sistema manifatturiero protocapitalistico non esente da sporadico impiego di rudimentali macchine operatrici. L'energia motrice era però ancora fornita esclusivamente dall'uomo, dagli animali o dalle forze naturali e il lavoro si svolgeva in piccoli opifici concentrati nelle grandi città mercantili, dove le imprese artigianali erano vincolate dalle corporazioni. Contemporaneamente si diffuse il sistema del lavoro a domicilio, organizzato nelle campagne e per lo più nel settore tessile dai primi mercanti-imprenditori che fornivano ai lavoranti strumenti e materie prime. Già nel secolo XVI esistevano comunque in Inghilterra e in altri Paesi europei più grandi manifatture di tipo capitalistico, la cui impetuosa crescita fu favorita dall'aumento della popolazione, e dunque della domanda e dei consumi, dallo sviluppo del commercio, soprattutto estero, dalla relativa facilità di approvvigionamento delle fonti energetiche naturali e dalla grande disponibilità di manodopera a bassissimo costo. La conseguente accumulazione di capitale, lo sviluppo del credito, la massiccia importazione di materie prime dalle colonie extraeuropee, le politiche economiche del mercantilismo adottate dai principali Stati nazionalideterminò in seguito – nonostante la crisi economica generale del Seicento – la nascita di una base di imprese capitalistiche e di infrastrutture organizzative, sociali e politiche (soprattutto in Gran Bretagna, Paesi Bassi, Francia e in alcune aree della Germania) che favorirono l'instaurazione di una compiuta economia industriale. La rivoluzione industriale della seconda metà del sec. XVIII fu, dunque, in parte il risultato di un'evoluzione durata almeno due secoli e in parte un mutamento repentino provocato dal ripresentarsi di un insieme di condizioni che, come nel Cinquecento, permisero una rapida espansione produttiva: l'aumento demografico, la crescita degli scambi commerciali interni e internazionali, l'ulteriore diffusione del sistema creditizio e bancario, la possibilità di attingere a una forza-lavoro espulsa dal settore agricolo. Se queste furono le condizioni, il vero salto fu tuttavia costituito dall'introduzione nei processi di lavorazione di una gran massa d'innovazioni tecniche che permisero un aumento della produttività in precedenza mai verificatosi. I settori in cui avvennero i primi radicali cambiamenti furono quello tessile e quello del ferro.

La rivoluzione industriale inglese

A partire dalla fine del sec. XVIII l'Inghilterra fu investita da una profonda trasformazione del sistema economico, che cambiò progressivamente la società tradizionale ribaltando il rapporto tra agricoltura e industria, con il rapido spostamento verso l'industria di contadini espulsi dall'agricoltura a seguito dell'introduzione delle enclosures, recinzioni che impedivano l'uso collettivo dei pascoli e dei boschi e talora anche la piccola coltura. Accanto a questo fattore furono determinanti l'aumento particolarmente rapido della popolazione (si parla in questo caso di una parallela “rivoluzione demografica”, che alimentò quella industriale e ne fu alimentata a sua volta) e soprattutto l'aumento della produzione di beni e servizi che si può definire eccezionale rispetto alle tendenze osservabili nel passato. Il sistema della fabbrica, basato sull'uso della macchina a complemento e in sostituzione del lavoro umano, divenne dominante; la manodopera assunse forme più specializzate e acquistò maggiore mobilità. Gran parte della popolazione abbandonò l'attività agricola per dedicarsi alla produzione di manufatti e servizi, concentrandosi nelle città, dove sorgevano le fabbriche. Nacquero nuove classi sociali, s'instaurarono nuovi rapporti umani e di lavoro, si svilupparono nuove forze e movimenti d'idee. La caratteristica saliente e più evidente della rivoluzione industriale fu però l'introduzione di una gran massa d'innovazioni tecniche che permisero un aumento della produttività mai osservato in precedenza. A rendere più complesso il quadro si aggiunsero una serie di altri elementi quali l'accumulazione di capitale, lo sviluppo del credito, i bassi saggi d'interesse, i prezzi in ascesa, l'espansione della domanda e quindi del commercio, soprattutto estero, l'esistenza di capacità imprenditoriali, la disponibilità di materie prime, di fonti di energia e di manodopera (in seguito all'incremento della popolazione e alla rivoluzione agricola), l'imporsi delle idee liberistiche, i progressi compiuti nel grande commercio internazionale marittimo dell'Inghilterra, grazie alla colonizzazione dell'area asiatica. In sintesi la rivoluzione industriale fu l'effetto di una serie di cambiamenti o innovazioni convergenti nell'agricoltura, nei commerci, nella popolazione, nella tecnica. I settori dell'industrializzazione furono essenzialmente due: le attività tessili, che si svilupparono nel Lancashire ed ebbero il proprio centro in Manchester, e le attività estrattive e metallurgiche, legate alla presenza di giacimenti carboniferi al Sud (Cardiff e Bristol) nella zona centrale (Birmingham e Sheffield) nella regione di Newcastle e nel bacino di Glasgow. L'industria inglese del cotone, tradizionalmente domestica e rurale, si trovò dopo il 1700 ad affrontare una crescente domanda, precedentemente soddisfatta quasi per intero dall'importazione di tessuti indiani, e di conseguenza a dover modernizzare i propri sistemi produttivi. La prima invenzione di una certa importanza applicata alla tessitura fu la spola volante (flyshuttle) di John Kay (1733), inizialmente osteggiata, ma impostasi attorno al 1760. Nel 1738 J. Wyatt e L. Paul brevettavano il primo filatoio automatico, che ebbe però scarsa fortuna, mentre immediato fu il successo della spinning-jenny di J. Hargreaves (1767) e della la water-frame di R. Arkwright decisive per la trasformazione della filatura e che favorirono la concentrazione del lavoro negli stabilimenti. L'industria del cotone fu trasformata da altre due invenzioni: la mule-jenny di S. Crompton (1779), che unificava i principi della jenny e della water-frame, e il telaio meccanico di E. Cartwright (1787), perfezionato da Th. Johnson, grazie al quale la produzione aumentò di tre a quattro volte. A sua volta l'industria del ferro, già fiorente nei secoli passati, ma decaduta all'inizio del Settecento soprattutto per mancanza del combustibile tradizionale (il carbone di legna), ebbe aperte nuove prospettive con la possibilità di ottenere ghisa trattando il minerale nell'altoforno con carbone fossile (coke): la scoperta era stata di A. Darby intorno al 1709, ma fu affinata dal figlio a partire dal 1730. L'invenzione stentò tuttavia a imporsi soprattutto perché, per alimentare la combustione, era necessaria la presenza di una forte e continua corrente d'aria che l'energia idraulica non riusciva ad assicurare. Sicché la scoperta di Darby trovò ampia applicazione solo dopo l'introduzione della macchina a vapore di J. Watt (1789), ultima decisiva innovazione della rivoluzione industriale. Inizialmente impiegata nell'industria mineraria (dove servì a perfezionare la macchina atmosferica di Th. Newcomen per l'estrazione dell'acqua dalle miniere) e poi in quella tessile, la macchina a vapore divenne in breve uno dei fattori essenziali per la meccanizzazione di tutta l'industria, surrogando l'energia idraulica. Questi progressi tecnici consentirono aumenti eccezionali rispetto al passato nella produzione di beni e servizi e furono all'origine della grande fabbrica capitalistica moderna, tendenzialmente portata a usare sistemi tecnici sempre più efficienti a complemento e in sostituzione del lavoro umano, a standardizzare la fasi del processo di lavorazione, a concentrarsi in grandi stabilimenti e a sviluppare una produzione più attenta alla quantità che alla qualità. L'avvento della fabbrica provocò una serie di conseguenze sociali oltre che economiche: la manodopera divenne più specializzata e più mobile; gran parte della popolazione abbandonò l'attività agricola per dedicarsi a quella industriale trasferendosi nelle città dove sorgevano le imprese, ma dove mancavano le necessarie infrastrutture (abitazioni, ospedali, trasporti ecc.); nacquero nuove classi sociali e si svilupparono nuove forze e movimenti d'idee. I lavoratori delle industrie furono da un lato asserviti ai tempi produttivi imposti dalle macchine, subirono orari di lavoro estremamente gravosi, furono soggetti a infortuni e incidenti mortali, nonché alla disoccupazione creata dall'adozione delle stesse macchine, tanto da far nascere in Inghilterra, tra fine Settecento e inizio Ottocento, uno spontaneo movimento di protesta operaia, il luddismo, che attribuì la crisi economico-sociale proprio alla meccanizzazione industriale e reagì violentemente dedicandosi alla distruzione dei macchinari. Complessivamente però i costi di produzione diminuirono, il reddito pro capite inglese aumentò di due volte e mezzo dal 1750 al 1850 e, di conseguenza, migliorò il tenore di vita di buona parte della popolazione. Nello stesso tempo, in cambio dei prodotti industriali esportati, s'incrementarono le importazioni di quelli alimentari (cereali, zucchero, tè, caffè) destinati a un crescente consumo di massa interno al pari dei beni e dei servizi via via forniti in gran quantità dalla grande industria.

Gli effetti negli altri Paesi occidentali

Se nella prima metà del XIX secolo la Gran Bretagna era la nazione più avanzata nella tecnica industriale, a partire dal 1850 la rivoluzione industriale si manifestò anche in altri Paesi (Francia, Belgio, Paesi Bassi, Germania, Stati Uniti, ecc.). Ciò fu anche una conseguenza della circolazione dei capitali e delle ulteriori conquiste scientifiche e tecniche verificatesi tra l'inizio e la metà dell'Ottocento: la macchina a vapore venne applicata ai trasporti marittimi e terrestri (il primo treno a vapore apparve nel 1815); l'invenzione del telegrafo favorì una più rapida trasmissione delle notizie; il gas illuminante si diffuse nelle città; e contemporaneamente si ebbero invenzioni solo apparentemente minori, come la calce idraulica, la macchina per cucire e per scrivere ecc. Tutto ciò condusse a un consistente e generalizzato decremento dei prezzi e a una diversificazione degli investimenti che diede luogo a nuovi settori industriali. Ulteriore spinta si determinò in tal senso in seguito ad altre applicazioni tecnologiche all'industria: nel 1879 lo statunitense Edison, dopo aver inventato il fonografo, fece funzionare la prima lampadina elettrica, aprendo la strada all'uso industriale dell'elettricità (nel 1886 apparve negli U.S.A. il primo impianto a corrente alternata, realizzato da Westinghouse e Stanley, e nel 1890 si avviò lo sfruttamento delle acque del Niagara per la produzione di energia elettrica); nel 1878 comparve la prima linea telefonica per opera di Bell. Mentre nelle nazioni industrialmente all'avanguardia, sullo sfondo dei grandi conflitti sociali e politici suscitati dalle prime rivendicazioni degli operai delle fabbriche, si assisteva alla nascita di associazioni sindacali (ma anche degli imprenditori) e alle prime legislazioni sugli orari di lavoro, i diritti dei lavoratori ecc., nei primi decenni del secolo XX maturarono ulteriori, profonde trasformazioni, definibili come “seconda rivoluzione industriale”. Al binomio carbone-macchina a vapore si sostituì quello petrolio-motore a scoppio. L'utilizzazione degli idrocarburi come fonte di energia primaria e le radicali innovazioni nei trasporti ridussero i vincoli localizzativi in precedenza costituiti dalle materie prime e consentirono un'ulteriore diversificazione, geografica e settoriale, dei processi d'industrializzazione. Il rapido sviluppo tecnologico, con la sempre più articolata divisione del lavoro, condusse le industrie a specializzarsi nelle produzioni tanto di beni di consumo, richiesti da un mercato in fase di continua espansione dimensionale e qualitativa, quanto di beni di investimento, a supporto delle attività agricole, minerarie, edilizie e terziarie. Contemporaneamente, a partire dagli Stati Uniti, si realizzarono nuove tecniche di organizzazione del lavoro industriale con la diffusione della catena di montaggio, introdotta per la prima volta nel settore automobilistico dall'imprenditore americano H. Ford (1908) e dal taylorismo (dal nome dell'ingegnere statunistense F. W. Taylor), metodo teso a ottenere scientificamente una combinazione ottimale tra macchine e lavoro umano mediante la misurazione dei tempi lavorativi e l'eliminazione dei movimenti inutili. Ciò determinò un'estrema parcellizzazione del lavoro di fabbrica e la nascita di una figura di operaio dequalificato, cui veniva richiesto soltanto di ripetere meccanicamente gli stessi movimenti (cosiddetto “operaio-massa”).

Quiz

Mettiti alla prova!

Testa la tua conoscenza e quella dei tuoi amici.

Fai il quiz ora