Perché il 10 febbraio è il Giorno del ricordo?

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Una giornata per ricordare i massacri delle foibe e l'esodo giuliano dalmata, istituita nel 2004 ma – da sempre – al centro di polemiche. Le cose da sapere.

Il 10 febbraio ricorre il Giorno del ricordo, solennità civile nazionale che, istituita con la legge 30 marzo 2004. n. 92, «vuole conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».

Che cos’è il Giorno del Ricordo

Questa giornata ricorda i massacri delle foibe e l'esodo giuliano dalmata. In quanto solennità civile, non determina riduzioni dell'orario di lavoro degli uffici pubblici o di orario per le scuole né, qualora cada in giorni feriali, costituisce giorno di vacanza. Tuttavia è obbligo, per gli edifici pubblici, esibire il tricolore.

Cosa sono le foibe

Le foibe sono voragini rocciose dell’altopiano del Carso. Alla fine della Seconda guerra mondialepartigiani jugoslavi torturarono, uccisero e gettarono nelle foibe (da qui il verbo “infoibare”) migliaia di italiani, autoctoni della Venezia Giulia, del Quarnaro e della Dalmazia. Non è chiaramente quantificabile il numero delle vittime, perché è risultato impossibile esaminare tutte le foibe utilizzate (sono più di 1.700): le stime parlano di più di 10 mila persone uccise, gettate spesso ancora vive nelle cavità rocciose.

L’esodo giuliano dalmata

Al massacro delle foibe seguì l'esodo giuliano dalmata, emigrazione forzata degli italiani di Venezia Giulia e Quarnaro, ex territori del Regno d'Italia ceduti alla Jugoslavia di Tito con il tratto di Parigi del 1947, e anche della Dalmazia. Si stima che l’esodo abbia coinvolto, fino al 1956, un numero compreso tra le 250 mila e le 350 mila persone.

Il contesto storico

Le radici dell’eccidio delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata sono da ricercare nella questione adriatica, cioè la contesa per il dominio delle terre che si affacciano sul mare Adriatico orientale, da Monfalcone fino alle Bocche di Cattaro. Fino all'Ottocento, in Venezia Giulia, Quarnaro e in Dalmazia, italiani e slavi avevano convissuto pacificamente: molto cambiò a seguito della “Primavera dei popoli” del 1848, che fece emergere sentimenti nazionalisti e dunque tensioni. Quando nel 1866, dopo la terza guerra d'indipendenza, l'Istria non fu annessa all'Italia, molti abitanti della penisola si organizzarono per ottenere questa unione, abbracciando l'irredentismo italiano. E lo stesso avvenne in Dalmazia. Di contro, l'Impero austro-ungarico favorì l'affermarsi in queste aree dell'etnia slovena e croata.

Dopo la prima guerra mondiale

Al termine del conflitto, il Regno d’Italia si vide riconoscere l’Istria e Trieste, ma non la Dalmazia e Fiume, come previsto invece dal Patto di Londra firmato il 26 aprile 1915, tra il governo italiano e i rappresentanti della Triplice Intesa. L’Italia si scontrò con l’ostruzionismo del presidente statunitense Woodrow Wilson, ritrovandosi con una “vittoria mutilata”, che portò Gabriele D’Annunzio e i suoi legionari a occupare Fiume. Anche il neonato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni uscì insoddisfatto alla Conferenza di Parigi, avendo perso una cospicua fetta dell’Istria. Nel 1920, con il Trattato di Rapallo (che tra l’altro istituì lo Stato Libero di Fiume), i due regni stabilirono consensualmente i confini dei due Stati e le rispettive sovranità, nel rispetto dei principi di nazionalità e di autodeterminazione dei popoli: ciò non placò i contrasti etnici tra italiani e slavi, con diverse vittime nell’immediato dopoguerra.

Durante il regime fascista

La situazione degli slavi del Regno d’Italia peggiorò con la presa del potere da parte del Partito Nazionale Fascista: gradualmente fu infatti introdotta una politica di assimilazione delle minoranze etniche e nazionali. Con la Riforma scolastica Gentile, ad esempio, fu abolito nelle scuole l'insegnamento delle lingue croata e slovena. Tramite regi decreti, poi furono imposti d'ufficio nomi italiani ai territori assegnati all'Italia con il Trattato di Rapallo, così come  cognomi italianizzati a decine di migliaia di croati e sloveni.

La seconda guerra mondiale

Nell'aprile del 1941 l'Italia partecipò all'attacco dell'Asse contro la Jugoslavia che, dopo una rapida resa, fu smembrata. A seguito del trattato di Roma l'Italia annesse porzioni di Slovenia, Banovina di Croazia e Dalmazia, acquisendo poi il controllo delle Bocche di Cattaro (oggi in Montenegro). La resa dell'esercito jugoslavo non fermò i combattimenti, anzi: in tutto il Paese crebbe un'intensa attività di resistenza partigiana, mentre fu avviata una politica di italianizzazione forzata del territorio e della popolazione. La repressione italiana fu molto dura: numerosi civili furono deportati nei campi di concentramenti, altri furono uccisi nelle rappresaglie messe in atto dal Regio Esercito.

Dopo l'armistizio

Quando l’Italia si arrese firmando l’armistizio dell’8 settembre 1843, i partigiani jugoslavi iniziarono a rivendicare il possesso dei territori fino a quel momento italiani. Tra il 1943 e il 1945, insieme all'OZNA (parte dei servizi segreti militari) si resero responsabili dei massacri delle foibe, vendetta per i torti subiti durante il periodo fascista. Le vittime furono per la maggior parte italiane, legate in qualche modo al fascismo, ma non solo. Al massacro delle foibe seguì l'esodo forzato della maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana di Istria e Quarnaro, dove si svuotarono intere cittadine. Nell'esilio furono coinvolti tutti i territori ceduti dall'Italia alla Jugoslavia con il trattato di Parigi e anche la Dalmazia. L’esodo si concluse solo nel 1960.

Perché il 10 febbraio

Il Giorno del ricordo cade il 10 febbraio perché il 10 febbraio 1947 fu firmato il Trattato di Parigi, che assegnò alla Jugoslavia l'Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia, in precedenza facenti parte dell'Italia. Passò alla Jugoslavia anche Fiume.

Polemiche e controversie

Il Giorno del ricordo è da sempre oggetto di polemiche. Alcuni pensano che vada a sminuire la Giornata della memoria (che il 27 gennaio commemora le vittime dell'Olocausto), creando una sorta di contraltare, in cui però i numeri sono enormemente diversi. Altri credono che non sia giusto ricordare l'eccidio degli italiani, tralasciando i soprusi fascisti ai danni degli slavi. Ci sono poi addirittura i negazionisti delle foibe, nell’ex Jugoslavia così come in Italia. Per quanto riguarda l’istituzione della legge 30 marzo 2004. n. 92, la maggior parte dei firmatari faceva parte di Forza Italia e Alleanza Nazionale, partito erede dell’Msi. Ma fu votata e condivisa da quasi tutti i partiti in Parlamento: a opporsi furono solo 15 deputati appartenenti al Partito dei Comunisti Italiani o a Rifondazione Comunista.

Matteo Innocenti

Foto apertura: LaPresse