Sacco e Vanzetti, la storia breve di una condanna ingiusta

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La vicenda di Sacco e Vanzetti è uno dei casi giudiziari più controversi del Novecento, simbolo di ingiustizia e pregiudizio politico. Due immigrati italiani accusati di omicidio, condannati e giustiziati negli Stati Uniti, lasciando un'eredità di dubbi e proteste in tutto il mondo.

La vicenda di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti rappresenta uno dei più clamorosi errori giudiziari del XX secolo, un simbolo di ingiustizia che ha attraversato confini geografici e temporali. Quella che a prima vista può sembrare una storia breve, racchiusa tra il 1920 e il 1927, è in realtà una ferita lunga, mai del tutto rimarginata, capace di parlare ancora oggi di xenofobia, diritti civili e pregiudizi sociali.

Chi erano Sacco e Vanzetti?

Ferdinando Nicola Sacco nacque a Torremaggiore, in provincia di Foggia, il 22 aprile 1891 da una famiglia di agricoltori e commercianti d’olio e vino. Partito per l’America in cerca di fortuna, trovò un posto come operaio in una fabbrica di calzature a Milford, nello stato del Massachusetts: qui si sposò ed ebbe due figli. Nonostante lavorasse sei giorni su sette per dieci ore al giorno, partecipava attivamente alle manifestazioni operaie dell’epoca, per chiedere salari più alti e condizioni di lavoro migliori, tanto che nel 1916 fu arrestato.

Bartolomeo Vanzetti invece nacque a Villafalletto, in provincia di Cuneo, l’11 giugno del 1888, in una famiglia di modesti proprietari terrieri e gestori di una piccola caffetteria. Pur non vivendo in ristrettezze economiche, a causa di vicissitudini personali, decise di emigrare: iniziò a girovagare per gli Stati Uniti, facendo lavori saltuari, seguendo il suo spirito libero e indipendente. Nel 1916 guidò uno sciopero contro una fabbrica per la quale lavorava, e per questo nessuno volle dargli più un impiego, tanto che si dovette mettere in proprio, come pescivendolo.  In un periodo nel quale l’ostilità verso gli stranieri - colpevoli di mettere in discussione l’ipocrita modus vivendi americano - era fin troppo manifesta, entrambi decisero di diventare anarchici e attivisti: partecipavano a dibattiti, scrivevano su giornali, distribuivano volantini. Questo impegno politico li rese bersaglio ideale in un’America che, dopo la Rivoluzione russa, vedeva il comunismo e l’anarchia come minacce esistenziali.

I due si conobbero nel 1916 quando entrarono a far parte di un gruppo anarchico di italoamericani, fuggendo in Messico, insieme a tutto il collettivo, allo scoppiare della Grande Guerra, per evitare di dover uccidere o morire per lo Stato. Quando fecero ritorno in Massachusetts alla fine del conflitto, i loro nomi erano in una lista di sovversivi del Ministero della Giustizia ed iniziarono ad essere pedinati dai servizi segreti.

Di cosa furono accusati Sacco e Vanzetti

Il 5 maggio 1920 furono arrestati sulla base di prove indiziarie per una rapina a mano armata avvenuta a South Braintree, di Boston, dove erano stati uccisi a colpi di pistola il cassiere del calzaturificio, Frederick Albert Parmenter, e una guardia giurata, Alessandro Berardelli. Il processo iniziò nel 1921 e si trasformò rapidamente in un processo politico: le prove che li scagionavano furono trascurate, mentre i loro ideali anarchici furono esibiti in aula come “prova morale” di colpevolezza. 

L’atmosfera era carica di tensione sociale: scioperi, attentati, un'opinione pubblica polarizzata. E in quel clima, Sacco e Vanzetti, con una comprensione della lingua inglese imperfetta, erano considerati due agnelli sacrificali: l’essere italiani e anarchici contava più di qualsiasi alibi.

Il giudice Webster Thayer, noto per il suo disprezzo verso gli immigrati radicali, li definì “due bastardi anarchici” e gestì il processo in modo parziale e tendenzioso, mentre il governatore del Massachusetts, Alvan Fuller, che avrebbe potuto impedire l'esecuzione, se ne lavò le mani, dopo che un'apposita commissione da lui istituita per riesaminare il caso riaffermò le motivazioni della sentenza di condanna. Così, con una giuria condizionata e testimoni incerti, Sacco e Vanzetti furono condannati alla sedia elettrica.

Le ultime parole di Sacco e Vanzetti

Il 23 agosto 1927, a mezzanotte e 19 minuti, dopo sette anni di carcere e battaglie legali, Sacco e Vanzetti vennero giustiziati sulla sedia elettrica nella prigione di Charlestown, a distanza di 7 minuti l’uno dall’altro. 

Le ultime parole di Sacco e Vanzetti sono rimaste a imperitura memoria di questi due uomini morti difendendo le loro idee, accusati di un crimine che non avevano commesso: Nicola Sacco scrisse al figlio Dante, pochi giorni prima di morire, una lunga lettera di addio esprimendo amore, speranza, dolore e ideali, invitandolo a restare forte, vicino alla madre e solidale con i deboli. Pur prossimo all’esecuzione, affida al figlio il compito di portare avanti la memoria della loro lotta per la libertà.

Di Bartolomeo Vanzetti invece si ricorda l’ultimo discorso alla corte, prima della sentenza definitiva, che si concluse con queste parole: “se voi poteste giustiziarmi due volte, e se potessi rinascere altre due volte, vivrei di nuovo per fare quello che ho fatto già”.

Dopo l’esecuzione, i loro corpi furono cremati. Le loro ceneri pare abbiano subito uno strano destino: sembra infatti che solo una parte sia stata restituita alle famiglie per essere custodite nei cimiteri dei loro comuni d’origine, mentre una seconda parte pare sia rimasta negli Stati Uniti. Una parte delle ceneri frammiste di Sacco e Vanzetti riposano nel cimitero di Torremaggiore, nella tomba-monumento fatta erigere dal Comune nel 1998.

Una condanna che fece il giro del mondo

La vicenda scosse l’opinione pubblica mondiale: il carattere puramente indiziario delle prove addotte contro i due attivisti anarchici attirarono sulla corte accuse di faziosità dettata da motivi razziali e politici.

Molti intellettuali come Albert Einstein, H. G. Wells, George Bernard Shaw, Ernest Hemingway – solo per citarne alcuni - si espressero in loro difesa: in tutto il mondo si tennero manifestazioni, scioperi simbolici, lettere aperte. Per la prima volta, un caso giudiziario divenne una questione globale.

Naturalmente il caso scosse molto anche l’opinione pubblica italiana e finanche il governo fascista prese le difese dei due connazionali, tanto da cercare di ottenere prima una revisione del processo e poi la grazia. Ma la richiesta di riaprire il caso venne sistematicamente rifiutata, anche quando un altro detenuto, condannato a morte, confessò di aver preso parte alla rapina. La loro esecuzione innescò rivolte popolari a Londra, Parigi e in diverse città della Germania. 

Dopo anni di silenzio, anche l’Italia inizia a rivendicare pubblicamente l’innocenza di Sacco e Vanzetti, grazie all’impegno di familiari e attivisti che fondano nel 1958 un Comitato per la Riabilitazione.

L’azione congiunta con il comitato americano mobilita l’opinione pubblica fino al 1977, quando, a cinquant’anni esatti dalla loro esecuzione, il governatore del Massachusetts Dukakis assolve simbolicamente i due anarchici, riconoscendo ufficialmente che Sacco e Vanzetti non avevano avuto un processo equo, ma senza dichiararne ufficialmente e chiaramente l’innocenza. Si legge nel proclama, tra le altre cose: “Dichiaro che ogni stigma ed onta venga per sempre cancellata dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, dai nomi delle loro famiglie e discendenti”. 

L’eredità culturale di Sacco e Vanzetti: film, canzoni e restauri

La storia di Sacco e Vanzetti ha lasciato una traccia profonda nella cultura del Novecento. Tra le tante opere a loro dedicate la più nota è il filmSacco e Vanzetti”: presentato in concorso al 24° Festival di Cannes nel 1971, il film di Giuliano Montaldo è valso il premio per la miglior interpretazione maschile a Riccardo Cucciolla, co-protagonista insieme a Gianmaria Volonté.

Indimenticabile la colonna sonora composta da Ennio Morricone e interpretata da Joan Baez con la celebre canzone “Here’s to You” – cantata nella versione italiana da Gianni Morandi con il titolo “Ho visto un film” -, diventata un inno della memoria, ancora oggi utilizzata in manifestazioni per i diritti umani, e interpretata anche da Emma Marrone e i Modà al Festival di Sanremo 2011, durante la serata dedicata ai 150 anni dell’Unità d’Italia.

Nel 2005 è uscito un altro film dedicato a “Nicola e Bart” – come venivano chiamati -, diretto da Fabrizio Costa, con Sergio Rubini e Ennio Fantastichini.

Nel 2017, il film di Montaldo è stato oggetto di un restauro digitale a cura di Ripley’s Film. La versione restaurata in 4K è stata realizzata per celebrare un doppio anniversario: i 90 anni dall’esecuzione dei due anarchici italiani, avvenuta il 23 agosto 1927, ed i 50 anni dalla loro riabilitazione giudiziaria, quando ogni onta sulla loro memoria venne cancellata per decreto.

Paola Greco

Foto di apertura: Boston Public Library, Public domain, via Wikimedia Commons