Jean-Jacques Rousseau

Le "Confessioni"

Tra il 1765 e il 1770 Rousseau scrisse le Confessioni, il suo capolavoro letterario. Dopo le reazioni negative scatenate dalla lettura pubblica di alcuni brani, Rousseau stabilì che l'opera venisse pubblicata dopo la sua morte. L'autobiografia costituisce l'approdo di tutto l'itinerario dello scrittore: di fronte alle ingannevoli "apparenze", egli vuole ristabilire la "trasparenza" salvatrice. La confessione appare come un rito di espiazione e purificazione per mezzo del quale si riconquista l'innocenza "naturale", la verità, l'autenticità. Rendendo pubblica la colpa, la confessione consente di conquistare la purezza e si ribalta in autodifesa, autoesaltazione. Così, grazie al coraggio di denunciarsi, Rousseau può ergersi a campione del bene, proclamare la propria superiorità di fronte all'incomprensione dei suoi contemporanei. Nelle Confessioni l'antinomia menzogna-trasparenza trova la sua espressione più ambigua e interessante dal punto di vista letterario. L'opera appare al lettore moderno una rete complessa di mistificazioni più o meno consapevoli, e in questo senso conduce a una "verità" sull'uomo Rousseau: dietro le numerose stratificazioni dell'autoanalisi, emerge una personalità complessa, stretta tra narcisismo e paranoia, amore di sé e mania di persecuzione, desiderio e insoddisfazione.