Eschilo

Le tragedie

Le tragedie eschilee sopravvissute sono: I persiani (472 a.C.), I sette a Tebe (467 a.C.), Le supplici (circa 465-460 a.C.), Il Prometeo incatenato (data incerta) e la trilogia dell'Orestea (458 a.C.), costituita da Agamennone, Coefore, Eumenidi.

I persiani

L'unica delle tragedie pervenute di argomento storico è costruita attorno alla sconfitta dei persiani di Serse a Salamina inflitta dalla flotta greca guidata da Temistocle. Con audace dislocazione, la scena è posta nella reggia persiana di Susa, dove Atossa (la madre di Serse) e i personaggi del coro (i vecchi consiglieri rimasti in patria) attendono, con angoscia pervasa di oscuri presentimenti, notizie dell'esercito lontano. Come è tipico del teatro greco, che predilige la narrazione degli eventi alla loro rappresentazione drammatica in scena, un messaggero (ánghelos) espone in una lunga e incalzante narrazione la disfatta di Salamina. È questo il centro del dramma. Serse si è macchiato di hýbris (tracotanza): ha osato estendere il suo dominio al di là del mare, ha “messo in catene”, con un ponte di navi, il divino Ellesponto, ha incendiato templi e immagini di dei. La sua sconfitta rappresenta dunque la punizione divina di una colpa: ma, insieme, è espressione generale della fragilità dell'umano destino e della superiorità etica e politica del popolo greco. Erano previste altre due tragedie per completare la trilogia, il Fineo e il Glauco di Potnia, che non sembrano però avere legami di contenuto con I persiani. Il dramma satiresco che chiudeva la rappresentazione era, forse, il Prometeo che accende il fuoco.

I sette a Tebe

È l'unica tragedia rimasta della trilogia che si apriva con il Laio e l'Edipo e terminava con il dramma satiresco Sfinge. In essa si compie l'orrendo destino della casata dei Labdacidi: Eteocle che uccide il fratello Polinice. La tragedia, povera di azione e pervasa di spirito guerriero (“piena di Ares” la definirono già gli antichi), ha il suo fulcro drammatico nella risoluta quanto disperata determinazione con cui Eteocle va incontro al proprio destino per difendere la patria assediata. La conclusione del dramma, in cui le sorelle Antigone e Ismene piangono la morte dei fratelli, Eteocle e Polinice e si preoccupano della loro sepoltura, è forse un'aggiunta di età posteriore, dovuta al desiderio di raccordare la tragedia di Eschilo con l' Antigone di Sofocle.

Le Supplici

Si pensava che questa tragedia appartenesse alla prima fase del percorso artistico di Eschilo per la notevole ampiezza delle parti corali, ma la testimonianza di un papiro pubblicato nel 1952 l'ha collocata negli anni in cui era già attivo Sofocle, quindi dopo il 468. La tragedia è il primo e unico dramma superstite della trilogia completata dagli Egizi e dalle Danaidi (con il dramma satiresco Amimone) e rappresenta la vicenda delle cinquanta figlie di Danao fuggite dall'Egitto per evitare le nozze con i 50 cugini figli di Egitto. Insieme al padre, si recano ad Argo e chiedono protezione e ospitalità al re Pelago il quale affida la decisione di accogliere le profughe all'assemblea popolare che si pronuncia a favore e le accoglie di buon grado.

Prometeo incatenato

Diversi critici non attribuiscono questo dramma ad Eschilo sia per alcuni elementi stilistici, sia soprattutto per la dimensione crudelmente dispotica che vi assume la figura di Zeus e che pare in contrasto con la religiosità del poeta. Il Prometeo incatenato faceva parte di una trilogia in cui forse si inseriva tra il Prometeo portatore di fuoco e il Prometeo liberato (entrambi, comunque, perduti). Nell'opera rimasta, Prometeo, un Titano che ha donato agli uomini il fuoco, rubandolo agli dei, appare incatenato a un'alta rupe, in atteggiamento di aperta ribellione al volere di Zeus: alla sua tirannia implacabile egli contrappone l'altrettanto implacabile rigore delle proprie scelte. La tragedia si conclude con un cataclisma cosmico che precipita Prometeo negli abissi insieme alla rupe cui è incatenato. Se la successione dei drammi nella trilogia era effettivamente quella che qui si è indicata, è possibile che il contrasto tra Zeus e Prometeo giungesse a risolversi con il procedere degli eventi. Nella tragedia appaiono la prima “monodia” del teatro greco e l'introduzione del terzo attore.

L'Orestea

È l'unica trilogia di Eschilo e di tutto il teatro greco che sia giunta intera. La completava il dramma satiresco Proteo (perduto). Fu rappresentata nel 458 e procurò al suo autore l'ultima vittoria in vita. Per la ricchezza di temi (religiosi, etici, politici) e la potenza dei caratteri e degli esiti drammatici, l'Orestea deve essere considerata la summa della drammaturgia di Eschilo. Nel primo dramma, Agamennone, la regina Clitennestra, uccide il marito Agamennone e Cassandra figlia di Priamo, compiendo i primi delitti che costituiscono il nucleo drammatico della trilogia, conclusione di una remota concatenazione di orrori e, a sua volta, premessa del crimine che seguirà. Nelle Coefore (le “portatrici di libagioni”, cioè le fanciulle inviate da Clitennestra sulla tomba del marito per placarne l'ombra) Oreste, figlio di Clitennestra e Agamennone, uccide Clitennestra ubbidendo a un ordine di Apollo. L'eroe viene perseguitato dalle Erinni, tutrici ancestrali dei vincoli di sangue, che egli ha violato con il matricidio. Nelle Eumenidi, l'azione ha per oggetto l'assoluzione di Oreste dalla colpa del matricidio: le Erinni depongono il loro furore e diventano, per mediazione di Atena, Eumenidi, cioè “dee benevole”.