Sofocle

Le tragedie che precedono l'Edipo re

Le tragedie che nascono in questa prima fase della produzione sofoclea presentano tutte una struttura “a dittico” in cui appare evidente la graduale presa di coscienza dell'eroe. Solitamente nella prima parte il protagonista si avvicina al suo tragico destino, che si compie verso la metà del dramma, mentre nella seconda parte vengono analizzati gli effetti della luttuosa fatalità nelle vicende che coinvolgono gli altri personaggi tra cui, di solito, ve n'è uno che si staglia su tutti.

Aiace

Delle tragedie pervenute, la più antica (che comunque già appartiene alla produzione matura di Sofocle, essendo collocabile a circa 20 anni dal suo esordio) è l'Aiace, dedicata all'eroe cui un iniquo giudizio dei guerrieri greci ha sottratto l'eredità gloriosa delle armi di Achille. Travolto dalla follia, egli fa strage delle bestie del gregge, credendo di compiere la propria vendetta contro gli odiati Atridi (Agamennone e Menelao); tornato in sé e presa coscienza dell'accaduto, sceglie di darsi la morte nella convinzione di aver perso per sempre, con il suo folle gesto, l'onore, cioè il senso autentico della propria identità di eroe. Una qualche staticità di azione e certi arcaismi linguistici hanno fatto pensare a influssi di Eschilo, ma la concezione eschilea della hýbris (trasgressione, orgoglio colpevole) come premessa della punizione divina resta ai margini della tragedia: Aiace è stato sì orgogliosamente tracotante nella fiducia del proprio valore di guerriero, ma il destino che lo travolge non è visto come la punizione di una colpa, quanto come la parabola che fatalmente trascina l'eroe dal fulgore della gloria alla desolazione dell'infelicità e della solitudine. La tragedia si sviluppa in uno schema “a dittico”: nella seconda parte del dramma, suicidatosi ormai il protagonista, è svolto il tema della sua sepoltura, negata con arroganza dagli Atridi e invece voluta da Odisseo, per una superiore necessità di pietas. Questo aspetto anticipa il tema centrale dell'Antigone.

Antigone

Figlia dello sventurato Edipo e unica sopravvissuta (insieme alla sorella Ismene) della sua stirpe maledetta, Antigone ha assistito alla morte dei due fratelli Eteocle e Polinice, che si sono uccisi reciprocamente, sfidandosi in duello per il possesso di Tebe. Eteocle è stato sepolto, ma una legge di Creonte, nuovo signore della città, impedisce la sepoltura dell'aggressore Polinice: contro questa legge, espressione della potenza illimitata dello Stato, l'eroina reagisce in nome degli affetti familiari e, più ancora, in nome di altre leggi, non scritte, ma più vincolanti di quelle dello Stato: le leggi immutabili e sacre degli dei. Il conflitto non si configura come contrapposizione dialettica di valori astratti, ma si cala nell'interiorità dolente dei due protagonisti: Creonte, con la sua fede incrollabile ma unilaterale nella superiorità dello Stato, precipita nella sciagura, travolto dal suicidio del figlio Emone (fidanzato di Antigone) e della moglie Euridice. Antigone, dopo aver scelto risolutamente la via della disobbedienza civile, nella solitudine e nel dolore, si impicca nella caverna dove l'ha rinchiusa Creonte. Con evidenza ancora maggiore che nell'Aiace, la catastrofe tragica non è motivata da una colpa passata: Creonte non subisce passivamente il destino, bensì opera secondo un disegno preciso che tuttavia lo porta a risultati opposti a quelli perseguiti.

Trachinie

Deianira, protagonista delle Trachinie (le donne di Trachis, località fra Oeta e le Termopili, che costituiscono il coro della tragedia), è moglie fedele di Eracle e ne attende il ritorno. Alla notizia che lo sposo si è innamorato della giovane Iole, pensa di riconquistarlo inviandogli un talismano d'amore (una tunica intrisa del sangue del centauro Nesso), che tuttavia provoca un effetto mortifero. Indossata la veste, Eracle ne è consunto nelle carni e, straziato dall'insopportabile dolore, si dà la morte. Anche Deianira, nel frattempo, venuta a conoscenza di ciò che è accaduto, pone fine ai suoi giorni.