Cicerone

L'eloquenza ciceroniana

Cicerone scrisse 106 orazioni: 58 sono giunte complete; delle 48 perdute sono rimasti frammenti di 17 e titoli di una trentina.

Dopo le prime prove giovanili, l'eloquenza ciceroniana si pose subito al di fuori delle scuole tradizionali di retorica, rifiutando sia la magniloquenza paludata dell'asianesimo sia l'asciuttezza stringata dell'atticismo . Cicerone segue gli insegnamenti del suo maestro Apollonio Molone di Rodi, stile intermedio o rodiese, ma sente molto l'influenza di Demostene, soprattutto per la varietà dei registri usati. Ne risulta uno stile del tutto personale e innovatore; il suo è vario e multiforme, ora solenne ora ampolloso, oppure secco ed essenziale, insomma uno stile duttile che si adatta alla psicologia degli ascoltatori per carpirne il consenso. Il periodo strutturato sulla concinnitas , cioè caratterizzato da simmetria ed equilibrio, è complesso, con andamento ipotattico, con molte figure retoriche (anafore, climax, antitesi, enumerazioni, omoteleuti ecc.). Cicerone usa la parola piegandola a tutti gli effetti desiderati. Nell'Orator egli illustra le tre qualità essenziali dell'oratore: docere o probare, delectare, movere o flectere. Il primo compito è quello di informare sul fatto ed esporre la propria tesi dimostrandone la validità; il secondo è quello di esporre i fatti piacevolmente, con un discorso vivace, serio, faceto, ironico, satirico, esemplificando sempre; l'ultimo infine è quello di coinvolgere emotivamente l'ascoltatore, suscitando via via ira, entusiasmo, commozione, pietà. Commuovere gli animi degli ascoltatori è compito soprattutto dell'arringa finale (peroratio), culmine dell'orazione. Cicerone afferma di non aver mai tralasciato di ricorrere ad alcun espediente pur di rendere convincente la sua arringa.