Dal jazz-rock alla "fusion"

Dall'epoca del suo esordio, il 1968-69 (quando ancora non si chiamava così, ma era poco più di una traccia colta da Miles Davis col suo fiuto sensibilissimo per il nuovo), il jazz-rock ha vissuto sino agli anni Ottanta una parabola il cui vertice si concentra nella fase "nobile", situata fra il 1969 e il 1971 per poi assumere un andamento inequivocabilmente discendente, piegato nel modo anche più sfacciato agli interessi dell'industria e dello show business. Davis ne fu uno dei promotori: introdusse gli strumenti elettrici nel jazz (caratteristica del jazz-rock fu, infatti, l'adozione del piano elettrico e dell'organo elettronico) e fu capace di sbloccare verso il grande pubblico una musica che, criptata nel free, rischiava di esaurirsi in ristretti circoli di amatori e iniziati. Un'intera cerchia di musicisti fu pronta a cogliere il segnale davisiano, dando così effettivamente inizio agli anni più fulgidi del jazz-rock, quando questa etichetta designava non un prodotto del mercato, ma una ricerca di armonie, ritmi e strutture: da Wayne Shorter a Joe Zawinul, riuniti poi nei Weather Report, da Herbie Hanckock a Chick Corea, da John MacLaughlin a Keith Jarrett. Questi musicisti, cresciuti alla scuola di precedenti stili jazz e dei quali buona parte si era istruita anche nella pratica del jazz modale, riversarono sui nuovi strumenti elettrici la loro voglia di sperimentare un'apertura di cui intuirono subito l'enorme portata comunicativa. Già verso la metà degli anni Settanta, il jazz-rock sembrava tuttavia aver lasciato ormai ampio spazio alle richieste del mercato, che suggerirono infine di sostituire a qualsiasi inquietudine esplorativa (quella tensione che aveva inizialmente animato il jazz-rock) l'invadenza ripetitiva della fusion. Una musica, questa, che del jazz non conservava più alcuna traccia: significativa in tal senso appare la sostituzione delle improvvisazioni solistiche su un tema accennato con l'adozione e la moltiplicazione delle ritmiche più diverse, esclusivamente al fine di riprodurre in modo meccanico gli artifici di una perfetta orecchiabilità. Con rare eccezioni, per esempio Jaco Pastorius, interprete del basso elettrico moderno, la maggior parte dei musicisti istradatasi verso la fusion è sembrata smarrire gradualmente il contatto naturale col suono e gli strumenti per un più immediato gioco con il sintetizzatore e le tastiere campionate.