L'AACM: avanguardia post-free

"Agli osservatori esterni ­ ha scritto Marcello Piras ­ l'estate parigina del '69 dovette parere l'inizio di un capitolo nuovo. Oggi, invece, sappiamo che era l'epilogo di un capitolo vecchio. All'Africa come divulgazoine pensava solo Shepp; per gli altri, era il canto del cigno del free di protesta. Coloro che avrebbero davvero aperto il nuovo capitolo erano anch'essi a Parigi, ma passarono quasi inosservati. Erano i nuovi esponenti del nuovo jazz di Chicago". Nuovo jazz di Chicago vuol dire AACM, Association for the Advancement of Creative Musicians (Associazione per l'Avanzamento dei Musicisti Creativi), sorta ufficialmente nel maggio 1965 con uno statuto firmato dai pianisti Muhal Richard Abrams e Jodie Christian, dal bassista Malachi Favors, dal batterista Steve McCall e dal trombettista Phil Cohran. Apparsa in crisi negli anni Ottanta ma poi vivacemente ripresasi, l'AACM ha avuto il suo periodo più fiorente nel decennio 1968-78, durante il quale si sono espresse almeno due generazioni di musicisti: i primi tendono a identificarsi coi fondatori (Abrams, Leroy Jenkins), i secondi col gruppo più rappresentativo nato in seno all'AACM: l'AEC, l'Art Ensemble of Chicago (Lester Bowie, Joseph Jarman, Roscoe Mitchell, Anthony Braxton, Wadada Leo Smith); nei casi più brillanti (per esempio, George Lewis) anche una terza generazione di musicisti ­ nati dopo il 1950 ­ ha avuto modo di esprimersi già nel periodo "aureo" dell'AACM.

Le due anime dell'AACM

Se si esclude qualche doverosa eccezione (per esempio, Wadada Leo Smith, che ha collaborato anche con autorevoli esponenti dell'improvvisazione europea, o l'eccezionale trombonista George Lewis, che ha compiuto ricerche sul software musicale interattivo), l'AACM si è manifestata come una koinè parlata quasi esclusivamente al suo interno, sicché i capolavori che pur sono stati prodotti sembrano destinati a trovar scarsa fortuna all'esterno. Sorta in reazione al free, rispetto al quale possiede alcuni tratti strutturali analoghi, l'AACM ha conosciuto al suo interno una sorta di bipolarismo estetico espressivo. Da un lato, c'è una linea più estroversa e terrena, volta al recupero in chiave epico-narrativa (ma anche parodistica) del patrimonio musicale afroamericano, ovviamente sempre attraverso un'ottica d'avanguardia, connessa a certe figure del free jazz storico (Ayler in testa) più apertamente corrosive. Dall'altro lato, si è affermato uno sperimentalismo più cerebrale, privo di quelle asprezze e tuttavia ancor più radicale, in una sorta di neocamerismo nero fatto di alternanze suono-silenzio, microvariazioni di timbri e altezze sonore, grande attenzione allo scheletro struttural-compositivo. Sulla prima linea si è situato l'Art Ensemble of Chicago (AEC), rimasto unito fino ai giorni nostri, almeno per le incisioni e qualche concerto. Roscoe Mitchell, allorché agisce fuori dall'AEC, si sposta più sulla seconda linea (Nonaah, 1977), ma questa appartiene di diritto a un altro "cenacolo", che fa capo al trio composto da Anthony Braxton (strumenti vari), Wadada Leo Smith (tromba), Leroy Jenkins (violino). Insieme per una serie di importanti incisioni a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, i tre (con cui collaborarono anche McCall e lo stesso Abrams) finirono per separarsi. Jenkins creò il Revolutionary Ensemble e lo stupendo The Legend of Ai Glatson (1978); ma fu Braxton a spiccare il volo più alto, dando vita, negli ultimi anni Settanta, a opere del rilievo di Five Pieces, The Montreux-Berlin Concerts e For Trio e a una serie di album in duo con Abrams, Mitchell, il trombonista George Lewis e anche Max Roach. Una parabola inversa seguì Henry Threadgill (polistrumentista come Braxton, Jarman e Mitchell), che nel 1975 ha fondato, col bassista Fred Hopkins e McCall, il trio Air e nel 1982 ha varato un settetto stabile, che lo ha portato alla piena maturità e in cui le due anime di Chicago sembrano fondersi in una sintesi (Subject to Change, Easily Slip into Another World e Rag, Bush and All).