La seconda rivoluzione del jazz: il free

Alla fine degli anni Cinquanta la musica afroamericana sembrava aver esaurito la propria maggiore vena creativa: l'impulso audace ed estremista del bebop era soltanto poco più di un ricordo. Un impulso al rinnovamento venne da Cecil Taylor e John Coltrane. Ma il cambiamento radicale acquistò concretezza con Ornette Coleman, grazie alla creazione di nuove libertà armoniche e strutturali, che, oltrepassando i limiti del jazz convenzionale, assunsero la connotazione di una rivoluzione estetica: la rivoluzione del free jazz. Il termine free jazz, o jazz informale (ma alcuni critici preferiscono l'espressione più generica di new thing, la cosa nuova, con la quale sono state indicate le sue prime manifestazioni all'inizio degli anni Sessanta; altri, le denominazioni di new jazz o free music), mette bene in luce i caratteri più importanti di questo stile d'avanguardia: l'abolizione di ogni schema formale e quindi dei punti obbligati di cui il jazz precedente abbondava; il massimo spazio lasciato all'improvvisazione di tutti gli strumenti, su un piano di totale pariteticità, compresi gli strumenti ritmici; l'abbandono abbastanza frequente del sistema tonale. Alla radice di questi suoni in libertà si sono insinuati moventi di carattere politico, con una forte carica di opposizione alle discriminazioni razziali e sociali e con l'adozione di mezzi espressivi volutamente urtanti, provocatori e naturalistici. A un simile risultato, che ha inserito il jazz nel dramma dell'arte contemporanea, si è giunti attraverso gli assoli lunghissimi e sempre più liberi degli esponenti dell'hard bop, di S. Rollins, Dolphy, Coltrane e altri, e attraverso le forzature tonali di O. Coleman, erede di C. Parker. Tra i principali esponenti del free jazz sono A. Shepp, A. Ayler, R. Rudd e lo stesso Coleman.

Sperimentazione e polistrumentismo:
Eric Dolphy

Eric Allan Dolphy (Los Angeles 1928 - Berlino 1964) visse in una famiglia felice, di ceto medio-basso, ma culturalmente aperta e sensibile. Affascinato dalla musica sin da bambino, studiò oboe e clarinetto; grazie ai dischi di Ellington e C. Hawkins venne attratto dal jazz e si procurò un sax alto, divenendo ben presto un fan di C. Parker. Dopo aver prestato servizio militare, nel 1954 fece due eccezionali e decisive conoscenze: Coleman e Coltrane. Coleman era già il sassofonista sconveniente pagato perché non suonasse, ma per Dolphy la sua conoscenza del sax alto e la sua concezione musicale erano autorevoli e affascinanti. Nel 1960 Dolphy si stabilì a New York, iniziando un periodo di attività intensissima durante il quale si fece conoscere da un vasto pubblico, incise i primi album a suo nome. Con Mingus incise un album prima di compiere un leggendario tour estivo in Europa. A fianco di Coleman guidò, invece, il secondo quartetto protagonista dell'Atlantic Free Jazz, destinato a fornire il nome a tutto un nuovo, rivoluzionario filone. Il 1961 fu un anno di attività ancor più frenetica, con collaborazioni strepitose: fra le altre, Ezz-Thetics di G. Russell, Percussion Bitter Sweet di M. Roach e soprattutto Olé e Africa-Brass di Coltrane (questo fu, forse, il sodalizio più emozionante e capace di aprire nuovi orizzonti al jazz, ma incompreso da pubblico e critica, che facevano una fatica terribile a seguire le squassanti, temerarie escursioni sonore dei due musicisti). Nel 1963 tornò a fianco di Mingus e nel 1964 incise il suo capolavoro, Out to Lunch. Entro strutture liberissime, ma in cui si avverte un preciso disegno complessivo, Dolphy convoglia cinque nuove composizioni. Nel giugno 1964, mentre si trovava in un jazz-club di Berlino, fu colto da malore: si spense dopo qualche ora di agonia, dovuta all'acutizzarsi di una grave forma di diabete.

Sperimentatore vorace e solista dirompente, campione del polistrumentismo (suonò il sax alto, il flauto, il clarinetto basso), Dolphy si creò una poetica personale sposando il blues con Schönberg, con Berio e la musica indù.

Il melodista del free: Ornette Coleman

Di famiglia appartenente alla classe nera più povera, Ornette Coleman (Fort Worth, Texas 1930) studiò musica da autodidatta, forgiandosi un linguaggio originalissimo e irregolare. Coleman emergeva dalla massa degli imitatori di Parker: la voce del suo strumento, un curioso sax alto di plastica bianca, appariva come qualcosa di totalmente nuovo: era scarna, priva di qualunque compiacenza formale e presentava un'emissione curiosamente simile a quella della voce umana. Nel 1958, a ventotto anni, Coleman incise il suo primo disco, Something Else!!! (Qualcosa di diverso!!!). Nel 1959 registrò un secondo album, Tomorrow is the Question!, nel quale metteva già in luce la sua radicale tendenza poetica a caricare di uno straordinario blues feeling tutti gli aspetti della sua musica. La spregiudicatezza nell'uso delle armonie, del ritmo e delle strutture musicali, la libertà morfologica e sintattica della sua musica non vennero etichettate come sperimentali o intellettuali, bensì come qualcosa di libero e spontaneo. Coleman ammetteva candidamente di non avere alcun progetto teorico alla base di ciò che stava realizzando, né aveva intenzione di essere l'artefice di una rivoluzione musicale. Ornette era un uomo musicalmente libero, dal carattere ingenuo, profondamente legato alle tradizioni del folk-blues, grezzo e umile, dal quale ereditò il suono e l'intonazione (aperta e libera, col frequente ricorso a intervalli inferiori al semitono). Fra il 1959 e il 1960 pubblicò i primi tre album per l'Atlantic. Nel dicembre 1960 entrò in sala d'incisione per contribuire alla realizzazione di Abstraction, una composizione a impianto seriale di G. Schuller, e poi per l'album-manifesto della nuova musica, Free Jazz. Per l'occasione Coleman integrò il proprio quartetto (con Cherry, La Faro e Higgins) con un altro guidato dal clarinetto basso di Dolphy e comprendente anche F. Hubbard, C. Haden ed Ed Blackwell. Il doppio quartetto improvvisò in assoluta libertà per trentotto minuti, convergendo unitariamente soltanto in alcuni passaggi prefissati. Le improvvisazioni prevedevano sia le uscite dei quattro fiati singolarmente, ma sempre in rapporto dialettico di ognuno con gli altri tre, sia momenti di aleatorietà collettiva, sia, infine, dialoghi a due, rispettivamente fra i bassisti e i batteristi. Ne risulta una musica polifonica, dalle strutture complesse e magmatiche, carica di una grande tensione espressiva. L'album è l'autentica apoteosi dell'improvvisazione di gruppo e, insieme, massima esaltazione dei principi "armolodici" sostenuti da Coleman, secondo i quali l'armonia è il risultato di un insieme di melodie che si rincorrono e si sovrappongono in una sintesi multicolore di note e suoni. Nel 1962 Coleman formò un trio, che faceva una musica più severa e si esibì in concerto, appoggiandosi a un'orchestra ad archi, in una serie di composizioni di ispirazione post-schönberghiana. Nel 1972 incise Skies of America, suite per orchestra sinfonica e solisti jazz, più volte rielaborata, summa della sua multiforme poetica. Poco dopo, Coleman compì una svolta controversa, adottando strumenti elettrici e ritmi del rock, col conseguente risultato di alienarsi il suo vecchio pubblico senza guadagnarne uno nuovo. Estromesso per questo motivo dal mercato per un decennio, Coleman è ritornato nel 1987 con l'album In All Languages, eletto dai critici come miglior album degli anni Ottanta.

Cecil Taylor: l'energia dell'avanguardia nera

Grande isolato della scena jazzistica e autore non amato da tutti, il pianista Cecil Percival Taylor (Long Island City 1933) si distingue in modo evidente non soltanto rispetto agli esponenti del jazz tradizionale o del bebop, ma anche agli stessi artefici del free jazz, corrente della quale è stato, insieme a Coleman, il principale protagonista. E se Coleman appare come il melodista assoluto del free, capace col suo lirismo di arrivare diritto al cuore dell'ascoltatore, Taylor incarna invece nella sua musica tutta la straordinaria energia e vitalità sprigionatasi dall'avanguardia nera degli anni Sessanta. Inoltre, Taylor sublima le proprie radici popolari in una musica di grande complessità, frutto di una cultura musicale di prim'ordine e di un'eccezionale tecnica pianistica. Ma questa adesione intellettuale ed emotiva alle proprie origini culturali e alla musica pianistica nera è il perno intorno a cui si muove la sintesi di Taylor, orientata, secondo la sua celebre dichiarazione, a "utilizzare l'energia e la tecnica dei compositori europei per mescolarla con la musica tradizionale dei neroamericani e creare nuova energia". Esordì nel 1955 col disco Jazz Advance, esibendo un linguaggio aspro, in cui l'accentuato cromatismo produce armonie dissonanti, mentre le linee melodiche vengono deformate e si evidenzia un approccio al piano fortemente percussivo. Il 1960 segnò ufficialmente la data di nascita del free jazz e l'abbandono da parte di Taylor di ogni residuo di armonia tradizionale: da questo momento, infatti, utilizzò gli accordi in senso prettamente coloristico. Nel 1962 trascorse un lungo periodo in Europa e abbandonò ogni pulsazione ritmica regolare, sostituendola con una vibrazione istintiva. Il suo pianismo si fece sempre più irruento e casuale, tenebroso ma pieno di un'intensa, dirompente vitalità, di arcani monosillabi, di scatti, di scorribande sulla tastiera, con rari abbandoni melodici. Tornato negli USA, Taylor incise due tra i suoi album più significativi: Unit Structures (che mostra in maniera più evidente il legame con la musica seriale europea) e Conquistador. Nel 1969 tenne in Europa, in particolare in Costa Azzurra, concerti memorabili, proponendo una musica magmatica eppure controllatissima, ricca di eccessi strumentistici di ogni genere. In realtà, tutto è regolato da una rigorosa architettura "a strati", in cui differenti scale, accordi, ritmi, registri sono sovrapposti arditamente uno sull'altro. Ulteriormente consacrato dai concerti tenuti al Festival di Montreux del 1974 (Silent Tongues), nel 1979 a New York (Historic Concerts), ai festival di Berlino del 1986 (For Olim) e del 1988, Taylor è ormai un riconosciuto maestro, anche se la sua musica risulta una delle esperienze meno facili di tutta la storia del jazz e un'espressione totalmente inassimilabile al circuito dello show business.

Archie Shepp

Archie Shepp (Fort Lauderdale, Florida 1937) si rivelò nel 1960. La sua sonorità al sax tenore, acre e strozzata, lo pose subito in prima fila tra gli esponenti del free jazz. Le sue opere del 1965-68 (Fire Music, Mama Too Tight, On This Night, The Way Ahead) restano tra i vertici di quella scuola per la forza dei suoi assolo e per la tagliente scrittura d'assieme. è personaggio controverso per le clamorose prese di posizione politiche, contenute in poesie, drammi (The Communist), saggi e proclami. La sua vena creativa, al pari di quella polemica, si è però gradualmente appannata.