La caduta dei regimi comunisti

Gli altri stati dell'Est

In Cecoslovacchia, nel 1989, l'opposizione al regime aumentò d'intensità. Il 28 dic. Alexander Dubcek, l'uomo che promosse la Primavera di Praga del 1968, fu nominato presidente dell'Assemblea Federale; il giorno seguente Vaclav Havel, noto dissidente, divenne presidente della Repubblica. La Bulgaria, dal canto suo, sembrava avere in Todor Zivkov un incrollabile baluardo del comunismo. Nonostante la sua intransigenza, egli fu costretto alle dimissioni dal partito (10 nov. 1989) dal crescente dissenso interno e dalle pressioni dell'URSS. Venne sostituito alla segreteria da Petar Mladenov, ex ministro degli esteri vicino a Gorbačëv. Nel 1990 si avviò una tavola rotonda fra governo e opposizioni per porre le basi del superamento del comunismo. La rivoluzione più sanguinosa avvenne in Romania dove il potere era detenuto dal dittatore Nicolae Ceausescu che aveva portato il paese alla rovina. I Rumeni scelsero la città di Timisoara per avviare la loro rivoluzione. Il 16 dic. riuniti in migliaia con lo scopo di esprimere solidarietà al padre calvinista Lázló Tökés, dissidente, furono affrontati dall'esercito che sparò mietendo, a seconda delle stime, da 2 a 5 mila vittime. Il 22 dic. la rivolta era a Bucarest: Ceausescu e la moglie furono arrestati, processati e giustiziati il 25 dicembre Da ultimo restava l'Albania. Il presidente Ramiz Alia nel 1990, sulla spinta della protesta popolare, ammise il pluripartitismo e libere elezioni. Nel 1992 è salito al potere Sali Berisha, oppositore del regime.