Descrizione generale

agg. e sm. (pl. m. -ci) [sec. XIX; neo-+litico (antropologia)]. Periodo preistorico, compreso fra il Paleolitico e l'età dei metalli, contraddistinto da notevoli innovazioni nella litotecnica, dall'uso della levigatura per gli strumenti litici e soprattutto da sostanziali mutamenti nel modo di vivere delle genti. Il principale di questi mutamenti, che avvenne in forme e in tempi diversi nelle varie parti del Vecchio e del Nuovo Mondo, è costituito dal passaggio da un'economia di caccia e raccolta a una di tipo produttivo, basata sulla domesticazione di piante e animali. L'usanza di macinare i semi delle piante selvatiche risale addirittura al Paleolitico inferiore; dopo un lungo periodo di “manipolazione” delle piante selvatiche, consistente nella loro raccolta e nell'immagazzinamento, si arrivò, intorno alla metà dell'VIII millennio a. C., alla domesticazione di cereali (soprattutto il Triticum Dicoccum) e leguminose, in una vasta area compresa tra l'Anatolia orientale, l'Iraq settentrionale, la Palestina e l'Iran occidentale. Per quanto riguarda i primi animali domestici, la pecora sembra attestata già nel 9000 a. C., il maiale agli inizi del VII millennio, il bue sembra invece presente alla metà del VII millennio, in Tessaglia. Tra il VII e il VI millennio le stesse innovazioni compaiono nell'Africa settentrionale e iniziano a diffondersi nel continente europeo. Nell'Asia sudorientale, la coltivazione del riso compare, in un'areale compreso tra la Cina e la Thailandia, nel IV millennio a. C.; scavi condotti nella seconda metà del sec. XX hanno inoltre permesso di datare la comparsa del maiale domestico e le prime opere di irrigazione in Nuova Guinea allo stesso periodo. Nel Nuovo Mondo il passaggio a un'economia di produzione sembra compiersi, in alcune aree del Messico e del Perú, tra il VII e il IV millennio a. C.

Studi e teorie

Per primo Childe, alla fine degli anni Venti del sec. XX tentò di elaborare un'ipotesi che spiegasse i motivi di questo importante mutamento delle strategie di sussistenza, basata sulla “teoria delle oasi”, la presenza delle quali avrebbe favorito, in un'epoca d'inaridimento del clima, seguita all'ultima età glaciale, una concentrazione umana e la conseguente necessità di nuovi mezzi di sostentamento, risolta per mezzo della domesticazione di piante e animali selvatici. Negli anni Cinquanta l'americano R. Braidwood credette di individuare nella regione degli Zagros (Kurdistan settentrionale) l'area “nucleare” in cui sarebbe stata realizzata per la prima volta la domesticazione di piante e animali, a causa della presenza, in questa regione, dei prototipi selvatici di queste specie. La teoria di Braidwood che, come quelle precedenti, si basava sul principio evoluzionistico secondo il quale la formazione delle comunità doveva essere considerata come una sorta di progresso, basato sulla liberazione dalle dure necessità dell'economia venatoria, venne duramente attaccata negli anni Sessanta, quando studi compiuti sugli attuali cacciatori-raccoglitori permisero di accertare come in queste società “affluenti” il tempo dedicato al lavoro non eccedesse le quattro ore quotidiane, indicando come il passaggio al duro lavoro di coltivazione dei campi dovesse essere visto come la conseguenza di imprevisti “stress” ambientali. Su queste basi si fonda l'ipotesi “processuale” elaborata nello stesso periodo da Binford, secondo il quale il meccanismo che innesca l'intensificazione dell'economia di raccolta, trasformandola in economia di produzione, non è la sparizione delle grandi prede che costituivano la risorsa più importante del Paleolitico, bensì la pressione demografica nelle aree marginali. In un completo rovesciamento di prospettiva, le origini dell'agricoltura non andrebbero ricercate nelle aree nucleari, bensì in zone marginali semiaride nelle quali, alla fine del Pleistocene, l'accresciuta dipendenza dalle risorse acquatiche provoca un aumento della sedentarietà rendendo vantaggiosa l'introduzione della coltivazione dei cereali. Negli ultimi decenni del sec. XX, l'archeologo statunitense Ammermann e il genetista italiano Cavalli-Sforza hanno elaborato, sulla base delle datazioni al radiocarbonio delle prime culture neolitiche europee e dello studio del patrimonio genetico delle popolazioni, un modello di avanzamento del Neolitico, a partire dall'Anatolia, che prevede spostamenti progressivi di gruppi umani, portatori di specie animali e vegetali domestiche, alla velocità di un chilometro per anno: un processo che iniziando nel VII millennio a. C. si sarebbe compiuto, in Europa settentrionale, alla fine del IV millennio a. C. Ricollegandosi alla teoria di Ammermann e Cavalli-Sforza, Renfrew ha suggerito che anche la diffusione dei primi idiomi indoeuropei debba aver seguito la stessa strada di piante e animali domestici.

Evoluzione e nuove esperienze

L'avvento dell'agricoltura costituì un passo importante sulla strada del progresso sociale e indusse alla fabbricazione di opportuni strumenti quali i falcetti, le zappe, i vomeri, le macine e contribuì all'invenzione della ceramica (furono plasmati e fatti indurire nei forni recipienti per conservare sementi e prodotti dei raccolti e cucinare i cibi per i pasti). Tra le conquiste dei tempi neolitici vanno ricordate inoltre la filatura e la tessitura che utilizzano le fibre naturali di origine animale (ovini e caprini) e fibre vegetali, quali il lino. Notevole sviluppo prese anche la navigazione, sia lungo i fiumi sia in mare aperto, consentendo lo scambio di prodotti anche con plaghe molto lontane nonché di esperienze tecniche, di usanze, di riti, di culti, di idee. Va sottolineata l'importanza della comparsa delle prime forme di lavorazione del rame e di metalli preziosi (fra cui l'oro) già nel corso del Neolitico finale. Fino alla prima metà del sec. XX le società neolitiche venivano considerate come tribù di tipo egualitario; alcune scoperte successive, come quella della necropoli di Varna (1972), in Bulgaria, e il rialzamento cronologico, ormai accettato da tutti gli studiosi, delle manifestazioni d'arte megalitica al Neolitico finale, ci consentono di ipotizzare che già nel corso del IV millennio a. C. si fossero sviluppate, in diverse parti del continente europeo, forme incipienti di differenziazione sociale.

Bibliografia

L. Bernabò Brea, Gli scavi nella Caverna delle Arene Candide, Bordighera, 1946-56; F. E. Zeuner, A History of Domesticated Animals, Londra, 1963; H. Müller-Karpe, Handbuch der Vorgeschichte, Monaco, 1968; R. J. Braidwood, Prehistoric Men, Glenview (Illinois), 1975; G. Braker, Prehistoric Farming in Europe, Londra, 1985; L. L. Cavalli Sforza, La transizione neolitica e la genetica delle popolazioni in Europa, Torino, 1986; J. Tirabassi, I siti neolitici, Reggio Emilia, 1988.

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