prudènza

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sf. [sec. XIV; dal latino prudentía, da prudens-entis, prudente].

1) Qualità abituale o contingente di chi usa affrontare con il dovuto riguardo le azioni pericolose, valutandone cautamente la portata e le conseguenze ed evitando rischi inutili da cui possano derivare danni per sé o per gli altri: usare prudenza; agire con prudenza; per prudenza preferì non intervenire. Talvolta con il senso di saggezza, accortezza: la prudenza degli anziani.

2) Nella teologia morale cattolica, una delle quattro virtù cardinali, cioè quella capace di guidare l'intelletto nelle sue varie attività al fine di distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è. La prudenza, strettamente connessa con le altre virtù morali (fortezza, castità, ecc.), le dirige tutte, secondo le circostanze di tempo e di luogo, verso il fine ultimo, stabilendo anche il modo e la misura dell'atto da compiersi (medium virtutis), quale giusto mezzo tra l'eccesso e il difetto. Essa è quindi indispensabile all'uomo per una retta scelta dei mezzi atti a raggiungere il fine.

3) In ragioneria, la prudenza è uno dei principi civilistici di redazione del bilancio, in base al quale la determinazione del reddito d'esercizio deve essere effettuata considerando tutti i possibili costi e oneri – effettivi e presunti – che gravano sulla gestione del periodo, e rinviando al futuro quei ricavi che non abbiano avuto ancora manifestazione economica. Tale principio non è applicabile nella normativa fiscale, che richiede certezza e determinabilità anche ai fini della deduzione dei costi.

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