arazzo

Indice

Lessico

Sm. [sec. XV; dal nome della città francese di Arras]. Tessuto eseguito a telaio in cui l'ordito (o catena) è interamente ricoperto dalla trama e in cui i fili della trama non vanno da cimosa a cimosa ma formano il disegno.

Storia

Per quanto esistano esempi di antichi tessuti egiziani, cinesi, ecc., genericamente indicati come arazzi, i primi pezzi che possono essere considerati tali risalgono ai sec. XI (Panno di S. Gereone, già nell'omonima chiesa di Colonia, poi smembrato in varie collezioni europee) e XII (Panno di Baldishol, Oslo, Kunstindustrimuseet), e in senso proprio si può parlare di arazzi solo dal sec. XIII, quando in Francia l'attività arazziera è testimoniata dagli statuti delle corporazioni. Nel sec. XIV l'arazzo ha grande diffusione in Francia e nelle Fiandre, grazie anche alla committenza della casa reale di Francia (per cui fu tessuta la serie di arazzi con l'Apocalisse per la cattedrale di Angers) e della corte di Borgogna. Dagli inizi del sec. XV il centro di produzione più importante è Arras, cui succede, dopo una lunga decadenza (comune anche ai laboratori di Parigi, causa la guerra dei Cento anni), quello di Tournai, che annovera autentici capolavori per l'eleganza formale e il tono fiabesco della narrazione. In questo periodo, oltre ai soggetti sacri e profani (soprattutto scene cavalleresche), sono frequenti le decorazioni a millefiori, con minuti disegni di fiori ed erbe su fondo blu. Nella seconda metà del sec. XV sorgono altre manifatture a Bruges, Oudenaarde, Anversa e particolare importanza assume quella di Bruxelles, famosa per i suoi tapis d'or, che nel sec. XVI, grazie all'attività di artisti come Pieter van Aelst, diffuse nelle Fiandre il gusto del Rinascimento italiano. In Italia l'esecuzione di arazzi (spesso su cartoni di artisti famosi) fu affidata inizialmente a specialisti fiamminghi. Tra le manifatture più importanti, quelle fiorentine, fondate da Cosimo I nel 1546 e per le quali fornirono cartoni artisti come il Pontormo, il Bronzino, il Salviati, ecc. Ai motivi del manierismo italiano, trapiantato in Francia, si ispirarono gli arazzi della manifattura di Fontainebleau, voluta da Francesco I nel 1531. Ancora nella prima metà del sec. XVII le manifatture fiamminghe mantengono il primato europeo, anche grazie all'opera di Rubens e della sua scuola che imprimono all'arazzo un carattere monumentale e uno stile vivacemente pittorico, ma sul finire del secolo subentrano i centri di produzione francesi: Aubusson, Beauvais, ma soprattutto Parigi, dove nel 1662 viene creata da Colbert la manifattura reale dei Gobelins, sotto la direzione di Charles Le Brun, che imporrà anche per tutto il Settecento il gusto francese, con una vasta e fortunata produzione. In Italia, oltre a centri minori (Mantova, Milano, Vigevano), è da ricordare l'arazzeria Barberini a Roma, creata dal cardinale Barberini nel 1627. Importante nel Settecento fu in Spagna la manifattura di S. Barbara di Madrid, fondata nel 1720 da Filippo V, diretta in seguito da Mengs, e che produsse la serie dei famosi arazzi su cartoni di Goya (1776-91). Verso la fine del Settecento in Francia si ebbe una lenta decadenza, sul piano formale piuttosto che numerico, dell'arte arazziera, finché, per le difficoltà economiche succedute alla Rivoluzione francese, fu necessario chiudere quasi tutte le manifatture. Napoleone ne incoraggiò la riapertura e numerosi furono, nel corso dell'Ottocento, i tentativi di tenere in vita quest'arte, che solo con l'Art Nouveauriacquistò una propria fisionomia. Un rinnovamento anche nella tecnica si ebbe nel laboratorio di Marie Cuttoli (1925-30) che eseguì cartoni, appositamente preparati per la traduzione tessile, di Picasso, Lurçat, Braque, Rouault.

Tecnica

La lavorazione dell'arazzo può essere eseguita con due tipi di telaio, verticale od orizzontale, detti anche ad alto e a basso liccio. I fili dell'ordito (avvolti su due rulli detti curli) sono separati in pari e dispari da barre o cannelli, formando due serie: una anteriore o superiore (telaio ad alto o a basso liccio) e una posteriore; i fili della serie anteriore sono attaccati a cordicelle dette licci, fissate a barre che distano ca. 30 cm dall'ordito. Nel telaio verticale l'arazziere sta dietro al telaio, avendo davanti quello che sarà il rovescio dell'arazzo e dietro a sé il cartone col disegno, in modo che per controllare il lavoro deve spostarsi sul davanti, oppure servirsi di uno specchio. La lavorazione procede da sinistra a destra e dal basso in alto: il filo della trama viene passato prima sulla serie posteriore dell'ordito (mezza passata), poi sulla serie anteriore, sempre nei due sensi (passata completa). Nel telaio orizzontale il cartone è posto sotto l'ordito e l'arazziere deve spostare i fili per controllare il disegno: il cartone è riprodotto in senso inverso, l'esecuzione avviene quindi in controparte. La lavorazione a basso liccio è più spedita (ma non diversa nei risultati) perché i licci vengono spostati con un pedale e non a mano come nell'alto liccio. Il tessuto d'arazzo acquista una consistenza diversa in ordine al materiale scelto per l'ordito, al numero dei fili di ordito per centimetro (da 4 a 12 e più), alla tensione degli stessi. Molti arazzi presentano caratteristici difetti di lavorazione, come l'ondulazione del tessuto, l'eccessiva rigidezza o un'esecuzione troppo rada, che lascia in vista i fili dell'ordito. Una singolarità tipica dell'arazzo è lo stacco, l'apertura che rimane quando nel tessuto sono accostate direttamente e verticalmente due zone di colore diverso. Gli stacchi, frequenti negli arazzi antichi, sono limitati per non indebolire il tessuto. Per tale ragione di solito le figure vengono disposte perpendicolarmente alla catena, e si ricorre al tratteggio d'arazzo o hachure, già noto nel Medioevo, e, con tecnica più recente (arazzi francesi contemporanei), ai fili commisti che danno una tipica punteggiatura. La tecnica dell'arazzo, frutto di un lavoro d'équipe per la collaborazione di più persone specializzate, si mantenne costante mentre mutarono i compiti dell'arazziere, che vide via via diminuire la propria libertà nell'adattare all'esigenza espressiva della materia tessile il disegno proposto. Anzi con Le Brun, primo direttore dei Gobelins, si fece obbligo agli arazzieri di attenersi scrupolosamente al cartone, col malinteso intento di emulare la pittura. Ciò portò a una sempre maggiore finitezza e perfezione tecnica, ma contemporaneamente provocò la netta scissione tra ideazione e realizzazione, trasformando l'arazziere in un esecutore passivo.

E. Spina Barelli, L'arazzo in Europa, Novara, 1963; M. Ferrero Viale, voce in “Enciclopedia Universale dell'Arte”, vol. I, Novara, 1980.

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