Lessico

sm. [sec. XIX; da comportare].

1) Qualsiasi attività motoria di un essere animato volta a ripristinare uno stato di quiete turbato da stimoli di qualsiasi natura; pertanto è un meccanismo omeostatico di primaria importanza. Le principali discipline che studiano il comportamento animale sono l'etologia e la psicologia, ma contributi importanti sono dati anche dalla psicobiologia e dalla neurofisiologia.

2) Modo di comportarsi; condotta. Per estensione, detto anche di cose: il comportamento del carbonio a elevata pressione.

Diritto

Per quanto concerne il comportamento delle parti in un rapporto giuridico, la legge italiana stabilisce che “il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza” (Codice Civile, art. 1175) e che, nell'interpretazione di un contratto e dell'intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto stesso(Codice Civile, art. 1362).

Etologia

Per comportamento animale s'intende qualsiasi azione compiuta da un animale come conseguenza di stimoli provenienti dall'ambiente esterno (per esempio la vista di un predatore che scatena una reazione di fuga) o interno (per esempio lo stimolo della fame che spinge alla ricerca del cibo). Non mancano però fattori completamente endogeni e sconosciuti, come nel caso del gioco. La maggior parte delle sequenze comportamentali presuppone una serie di contrazioni muscolari, gerarchicamente prestabilite, secondo N. Tinbergen, sebbene si possa trattare anche di migrazioni di pigmento (per esempio nel pesce persico sole la condizione di allarme provoca la comparsa di un'evidente striatura verticale) oppure di ghiandole che entrano in attività con emissione di sostanze chimiche che hanno la funzione di messaggi. Vi sono moduli di comportamenti solitari, propri di ciascun individuo della specie, spesso legati a necessità immediate (comportamenti alimentari, ambulatori, ecc.) e ai rapporti con l'ambiente fisico circostante (per esempio negli Uccelli il proteggersi dal freddo arruffando le penne); vi sono poi comportamenti sociali, intraspecifici, che regolano i rapporti tra individui della stessa specie, come quelli legati alla riproduzione, all'allevamento della prole, allo stabilirsi di gerarchie, ecc., e i comportamenti inerenti ai rapporti tra specie diverse, interspecifici, come nel caso del parassitismo o della predazione. Grazie agli studi di K. Lorenz, che ha avuto il merito di aver affrontato per primo l'analisi del comportamento animale su basi scientifiche, i moduli comportamentali tipici di una data specie vengono studiati come organi propri dell'animale e, quel che è più importante, con una visione evoluzionistica del problema, come si vedrà più avanti. È evidente che l'animale possiede sia un comportamento sia delle strutture sempre strettamente correlati e adattati vicendevolmente e all'ambiente nel quale si è svolta la storia della specie. Perciò, sebbene gli studi etologici si rivolgano soprattutto al comportamento, queste interrelazioni vengono considerate tuttavia come essenziali. Intento primo dell'etologia è l'osservazione e la descrizione del comportamento di ogni specie attraverso un completo “etogramma”, cioè la descrizione esatta di tutte le sequenze comportamentali. L'osservazione del comportamento viene condotta in natura, in quanto l'ambiente povero di stimoli del laboratorio e la condizione di cattività in genere spesso non consentono all'animale l'esplicazione di un comportamento normale. Osservazione e descrizione generano automaticamente dei problemi che vengono il più delle volte affrontati dall'etologo con la sperimentazione, sia in laboratorio, sia in natura. Si cerca di conoscere che cosa ha provocato ogni comportamento; come, per esempio, si è venuto conformando lungo il corso dello sviluppo dell'animale (“ontogenesi”), e come, nel corso dell'evoluzione della specie, si sia modificato fino a raggiungere la forma attuale. In molti casi, soprattutto quando si tratta di comportamenti sociali, lo scatenarsi di un comportamento in un individuo è provocato da qualche caratteristica comportamentale di un altro individuo, nella maggior parte dei casi della stessa specie; si tratta di caratteristiche che si sono specificamente adattate ed evolute per produrre stimoli che provocano una ben definita relazione comportamentale. Queste caratteristiche prendono il nome di releaser, cioè scatenatori: per esempio le macchie colorate che si trovano sulle ali degli Anatidi e che hanno funzione di messaggio nelle parate di corteggiamento, oppure il canto territoriale di molti Uccelli, che provoca l'allontanamento dei maschi conspecifici e così via. I moduli di comportamento che si sono evoluti con funzione di comunicazione, che scatenano cioè risposte appropriate, presuppongono molte volte atteggiamenti vistosi e sono anche indicati come movimenti espressivi: tali sono, per esempio, le parate di corteggiamento degli Uccelli. Per quanto riguarda l'ontogenesi di un certo comportamento, vi sono stati tra gli etologi lunghi dibattiti intorno all'idea di comportamento appreso e comportamento innato. Si chiama appreso quello che per manifestarsi necessita di esperienze precedenti, che non è cioè interamente codificato nel patrimonio genetico dell'individuo. L'apprendimento può aver luogo attraverso differenti modalità: come frutto di esperienza diretta dell'animale (il bovino che, premendo una leva, fa scendere dell'acqua fresca, impara che quando sente lo stimolo della sete deve compiere l'azione di premere la leva); attraverso esperienze fatte in età generalmente precoce e in periodi di particolare sensibilità; attraverso l'apprendimento osservazionale, quando cioè l'animale per rendersi padrone di un determinato modulo di comportamento utilizza l'esperienza che vede compiere da un altro. Il comportamento innato è quello che non necessita di esperienze di alcun tipo per manifestarsi, quello cioè che fa parte delle caratteristiche genetiche dell'individuo. Vi sono Uccelli, per esempio i maschi delle tortore, che anche se allevati in condizioni di assoluto isolamento sono in grado di cantare perfettamente e nell'identica maniera dei loro conspecifici, mentre ve ne sono altri, per esempio il fringuello maschio, che debbono sentire da giovani il canto degli adulti per poter a loro volta cantare correttamente. È chiaro che un certo patrimonio di comportamenti innati è indispensabile per permettere all'animale di sopravvivere, almeno nei primissimi stadi del suo sviluppo (istintivo è per esempio l'atto del succhiare nei cuccioli di mammifero); su questi poi si innesta una ricca gamma di comportamenti appresi. Talvolta è molto difficile stabilire con esattezza se un dato comportamento è innato o frutto di esperienza, il più delle volte l'esplicarsi di una sequenza comportamentale dipende contemporaneamente dal patrimonio genetico e da quanto l'animale ha sperimentato precedentemente; può accadere che un animale possegga nel suo repertorio istintuale alcune particolari capacità, ma che gli sia indispensabile l'esperienza perché queste capacità si organizzino armonicamente e portino a una sequenza completa. È questo l'insegnamento della scuola inglese di etologia, che ha come caposcuola R. Hinde. Succede così che un comportamento in massima parte appreso utilizzi singole azioni che l'individuo è in grado di compiere fin dalla nascita. Importante è stabilire anche il valore che ciascuna sequenza comportamentale ha per la sopravvivenza della specie. Mentre il valore adattativo di molti comportamenti è evidente, per esempio nei comportamenti alimentari, o in quelli che riguardano la cura della prole, o la difesa dai predatori, ecc., in altri casi gli animali compiono azioni apparentemente inutili. È quasi certo comunque che anche in questi casi esista, o sia esistito durante l'evoluzione della specie considerata, un certo vantaggio a possedere quella certa forma di comportamento. Anche i moduli del comportamento, come le strutture organiche, sono soggetti a selezione naturale e passibili d'evoluzione. Problema in discussione è se soggetto della selezione ed evoluzione comportamentale sia l'individuo o una qualche entità superindividuale (gruppo, specie, ecc.) o sottoindividuale (gene, cromosoma). Comportamenti la cui evoluzione non è chiara sono anche quelli cosiddetti altruistici, in cui un animale o un gruppo di animali mette a repentaglio la propria vita per salvare quella del gruppo e della popolazione di appartenenza. Le spiegazioni di questi comportamenti sono quelle che fanno uso della teoria di “selezione di gruppo”, in cui la base della evoluzione è il gruppo, e la morte di un appartenente è marginale; o di “selezione di parentela”, in cui è il gene a essere selezionato, e gli altruisti si comportano in tal modo per l'interesse dei discendenti. Di questi problemi tratta la sociobiologia, “sintesi” di etologia, ecologia, genetica e biologia. Secondo questa teoria, la maggior parte dei comportamenti ha origini evoluzionistiche e anche quelli più inspiegabili di tutti gli animali sono interpretabili applicando a essi lo schema evolutivo. Lo studio dell'evoluzione del comportamento è però reso difficile dal fatto che non si possono conoscere i cosiddetti comportamenti fossili, quelli, cioè, delle specie estinte. Tuttavia molte informazioni sono state ricavate utilizzando il metodo comparato, cioè confrontando i moduli di c. di specie affini. Per es. la sistematica degli Anatidi è stata studiata anche dal punto di vista etologico e numerosi c. elementari (bere, alzarsi in volo, lisciarsi le penne) sono stati riconosciuti come ritualizzati in numerose specie più o meno filogeneticamente vicine fra di loro. Si è così potuto studiare l'etologia comparata di un intero ordine e definirne l'importanza sistematica. L'evoluzione del comportamento può anche essere studiata facendo agire una pressione selettiva, favorevole o sfavorevole, su un determinato modulo comportamentale, in una specie che si possa facilmente allevare in grande numero di individui e poi seguirne le eventuali modifiche nelle varie generazioni.

Psicologia: generalità

In generale l'insieme di tutte le azioni compiute da un organismo. Il termine è di difficile definizione, pur essendo un concetto centrale della psicologia contemporanea, particolarmente in seguito agli studi degli autori legati alla corrente teorica del behaviorismo. Anche all'interno del behaviorismo stesso, però, il concetto di comportamento è inteso con qualche diversità da autore ad autore. Si distingue comunque un comportamento esterno, riducibile in sostanza a contrazioni muscolari e attività ghiandolari, da uno interno, riconducibile all'attività di pensiero e immaginativa. Si crede che esista un rapporto tra stimoli ambientali e stimoli interni, prodotti dall'organismo, e comportamento, considerato come l'insieme delle risposte dell'organismo; tale rapporto, secondo i vari autori, viene considerato più o meno mediato dall'organismo stesso, considerato come sede di altri fattori (detti variabili intervenienti) che influiscono sul comportamento e sono interposti tra stimolo e risposta. Gli stimoli interni ed esterni che tendono a dare inizio o a mantenere un comportamento vengono detti motivi. Tra i motivi interni si ricordano i bisogni, le pulsioni o drives e gli istinti. I motivi interni agirebbero sulla base del principio dell'omeostasi, della tendenza cioè dell'organismo a mantenere una condizione di equilibrio; per esempio, lo squilibrio fisiologico provocato dalla mancanza di cibo, con conseguente bisogno (fame), verrebbe rilevato da apposite strutture recettrici interne, e gli stimoli da queste inviati (il drive) spingerebbero l'organismo a cercare del cibo per riequilibrare tale situazione. Una volta che il cibo sia stato trovato, viene a cessare lo stimolo interno e quindi l'azione di ricerca del cibo. Tra gli stimoli esterni si ricordano gli stimoli incondizionati, gli stimoli condizionati e i rinforzi. Si tende a dare una grande importanza anche ad altre due classi di stimoli, gli incentivi e i K.R. (knowledge of results, conoscenza dei risultati). L'incentivo è uno stimolo che contrariamente al rinforzo tende non a ridurre ma ad aumentare lo stimolo interno del drive; un individuo che sappia che compiendo una certa azione avrà un premio sarà maggiormente spinto all'azione, per un aumento del drive. Il K.R. è l'informazione che l'individuo ha dell'esito di un comportamento. Può essere intrinseco, quando deriva esclusivamente dalla stimolazione diretta degli organi di senso del soggetto (per esempio, compio un'azione come abbassare una leva e vedo che la leva si è effettivamente abbassata); o estrinseco, detto anche addizionale, quando un'altra persona informa il soggetto del risultato di un suo comportamento (dicendo, per esempio, giusto o sbagliato).

Psicologia: terapia del comportamento

Insieme di metodi psicoterapeutici derivati dalla teoria dell'apprendimento, che applicano i principi del condizionamento alla cura delle nevrosi e, in minor misura, delle psicosi. Il termine (in inglese behavior therapy) venne coniato nel 1948 da B. F. Skinner e O. R. Lindsley, ma fu reso popolare particolarmente da H. J. Eysenck (1959). Secondo questo autore non esistono le malattie mentali, e in particolare le nevrosi, ma esistono solo i sintomi, che non sarebbero altro che delle abitudini non adattate, apprese nell'esperienza passata del soggetto. Ricorrendo quindi alle teorie dell'apprendimento, queste abitudini come sono state apprese possono essere disapprese. Secondo l'espressione di Eysenck, “sbarazzati del sintomo, e ti sarai sbarazzato della nevrosi”. Esiste quindi una precisa polemica con la psicanalisi, i cui esponenti sostengono invece che lavorare sui sintomi senza preoccuparsi delle cause inconsce che li hanno generati non potrà avere altro risultato che sostituire un sintomo con un altro. Ciò viene negato dai sostenitori della terapia del comportamento, sulla base di un'ormai ricca casistica clinica. Le tecniche usate fanno capo o al condizionamento rispondente o a quello operante. Tra le prime, ricordiamo i metodi basati sul principio dell'inibizione reciproca, usati per la prima volta nel 1924 da M. C. Jones, e particolarmente sviluppati dallo psichiatra sudafricano J. Wolpe. Essi si basano sul presentare al soggetto, facendoli immaginare oppure in vivo, degli stimoli che provocano ansia secondo una scala crescente di intensità (per esempio, in un caso di fobia per i topi, mostrando un topo a distanza via via minore) e contemporaneamente inibendo l'ansia provocata da tale stimolo con il rilassamento muscolare, o con farmaci, o soddisfacendo qualche bisogno (per esempio, somministrando del cibo mentre il paziente ha fame). Una tecnica rispondente è la cosiddetta terapia affermativa, che consiste in un addestramento attraverso cui il paziente apprende a non provare ansia affermando la propria personalità in situazioni sociali. È possibile che in tale tecnica compaiano elementi di autosuggestione. Tra i metodi basati sul condizionamento operante, particolare scalpore ha suscitato la terapia avversiva, usata specialmente nelle tossicomanie e nelle perversioni sessuali. In questi casi il soggetto viene punito con uno shock elettrico o un altro stimolo doloroso ogni volta che metta in opera un comportamento non desiderato. Ancora di notevole interesse il metodo dell'imitazione (modelling), particolarmente sviluppato da A. Bandura (1968), nel quale il soggetto apprende a non provare ansia, in situazioni che gliela causano, osservando altre persone che in tali situazioni non ne provano. Non sarebbe comunque possibile fare una completa elencazione di tutte le metodiche in uso, dato che sono non solo numerosissime ma vanno adattate da caso a caso.

Sociologia

Per comportamento collettivo – o, estensivamente, sociale – intendiamo la manifestazione osservabile di pratiche individuali o di gruppo fondate sul sistema di comunicazione proprio di un determinato gruppo di riferimento. Il gruppo capace di orientare il comportamento deve possedere capacità di aggregazione affettiva (per esempio, il gruppo amicale, su basi di parità e di solidarietà generazionale, tende a suggerire particolari modelli di comportamento) o di gestione organizzativa (quando il comportamento deriva dall'osservanza di una norma, come nel caso di un codice di disciplina o di un regolamento). Il comportamento individuale tende a riprodurre modelli collettivi attraverso l'osservanza di rituali che implicano spirito gregario, gerarchia, ma anche sostanziale condivisione dei valori. Il comportamento sarà perciò tanto più omogeneo e conforme ai modelli consolidati quanto più il gruppo di riferimento risulta conflittuale con l'ambiente esterno o, comunque, separato da questo. Di qui l'origine del comportamento settario nell'accezione religiosa e politica del termine. Ogni comportamento collettivo implica – oltre al riferimento a un gruppo – l'adesione a un ruolo e l'intenzione di soddisfare le aspettative che esso suscita. Un ruolo di comando esercitato in un subsistema specializzato (un reparto militare) tollera o addirittura sollecita un comportamento autoritario, che appare invece controproducente nell'esercizio di un ruolo fondato sulla seduttività (per esempio, nel caso di un rappresentante di commercio). Un filone di ricerca si è concentrato sull'influenza delle strutture e delle norme organizzative sul comportamento individuale e di gruppo. Più in generale, le società neo o post-industriali ammettono modelli di comportamento anche molto differenziati, in coerenza con la pluralità di relazioni sociali e di appartenenze culturali che un sistema fondato sulla centralità del consumo e dell'immagine permette. Assai più rigida e ristretta è invece la gamma comportamentale tollerata in società connotate dall'assoluta preminenza delle identità tradizionali (religiosa, etnica, culturale o professionale).

Bibliografia

Per l'etologia

R. A. Hinde, Animal Behaviour, New York, 1966; I. Eibl-Eibesfeldt, Ethology, the Biology of Behaviour, New York, 1970; M. L. Bozzi, G. Malacarne, Il comportamento animale, Roma, 1989.

Per la psicologia

C. L. Hull, Essentials of Behavior, New York, 1951; E. R. Hilgard, G. H. Bower, Le teorie dell'apprendimento, Milano, 1970; B. F. Skinner, Scienza e comportamento, Milano, 1971; F. E. Bloom, A. Larenson, Il cervello, la mente e il comportamento, Saronno, 1990.

Per la terapia del comportamento

G. Cerquetelli, A. Durante, I riflessi condizionati nella vita quotidiana, Milano, 1970; H. J. Eysenck, S. Rachman, Terapia del comportamento neurotico, Milano, 1971; J. Wolpe, Tecniche di terapia del comportamento, Milano, 1972; A. A. Larazus, Terapia multimodale del comportamento, Roma, 1982.

Per la sociologia

P. A. Hare, E. F. Borgatta, R. F. Bales, Small Groups: Studies in Social Interactions, New York, 1951; F. Leonardi, Introduzione allo studio del comportamento sociale, Milano, 1957; N. Gross, W. S. Mason, A. A. Eachem, Explorations in Role Behavior, New York, 1958; G. C. Homans, Social Behavior: Its Elementary Forms, New York, 1961; T. Bottomore, Sociology. A Guide to Problems and Literature, Londra, 1962; S. Romain, Come vivere sicuri in un mondo pericoloso, Milano, 1990.

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