differenziazióne

Indice

Lessico

sf. [sec. XVIII; da differenziare]. Il caratterizzare o l'essere caratterizzati sulla base di differenze; classificazione su tali basi: “una netta differenziazione politica” (Gobetti). § In biologia, processo con cui vengono acquisiti completamente i caratteri individuali, come avviene nella diversificazione delle cellule e dei tessuti di un embrione che gradualmente sviluppano funzioni specializzate diverse dalle cellule vicine o dal tipo di cellula originario. Durante la differenziazione il genoma rimane integro, mentre cambia l'espressione di certi geni che vengono bloccati (repressi), inibendo a loro volta la produzione di proteine che non servono a quel particolare tessuto. § In paleontologia evoluzionistica il tasso di differenziazione rappresenta il numero di linee filetiche che, nel tempo, si separano da un gruppo ancestrale. Si tratta di un parametro utile non soltanto per valutare la dinamica evolutiva dei diversi stocks antichi, ma anche per valutare le entità delle sostituzioni di nuovi gruppi dopo un episodio di estinzione. § In pedagogia, per differenziazione didattica si intende la molteplicità dei metodi e dei modi specifici del procedimento didattico. Tale molteplicità trova soprattutto una giustificazione di ordine psicologico inerente alla diversa struttura della personalità degli allievi, ed è motivata dagli elementi culturali diversi presenti non solo nella scuola ma anche nella società. § In psicologia, processo attraverso il quale un individuo trova una propria identità diversificandosi dal sistema emotivo della famiglia.

Economia

La differenziazione del prodotto è il processo attraverso il quale, sui mercati oligopolistici o di concorrenza imperfetta, si creano differenze tra prodotti, essenzialmente identici e idonei a soddisfare identici bisogni, in modo tale da essere facilmente riconoscibili da parte dei consumatori e orientarli così nell'acquisto. Bisogna anzitutto distinguere il caso in cui la differenziazione è oggettiva e perfettamente osservabile dai consumatori, dal caso in cui è soggettiva e non perfettamente osservabile. In questo secondo caso, si apre la possibilità per le imprese, attraverso la pubblicità, di influenzare le valutazioni che il consumatore si forma o di alterare il suo processo di apprendimento. Nel primo caso citato, si può pensare a diversi motivi di differenziazione: A) di luogo, riguardante cioè imprese che vendono lo stesso prodotto in luoghi diversi: allorché sono rilevanti i costi di trasporto, assume importanza questa forma di differenziazione spaziale; B) di qualità, riguardante prodotti che sono tecnologicamente diversi, anche se rispondono alla stessa funzione; C) di marchio, quando la differenziazione è legata alla moda o ai gusti dei consumatori. A proposito di differenziazione, è importante il modello di E. H. Chamberlin che descrive il funzionamento di un'industria con numerose imprese che producono beni differenti.

Sociologia

Nelle scienze sociali, una prima accezione di differenziazione rinvia al processo attraverso il quale le attività produttive si sono venute diversificando e specializzando nelle società moderne, producendo una progressiva trasformazione e articolazione di valori, modelli culturali e stili di vita. In questa prospettiva, la differenziazione caratteristica delle società complesse si accompagna alla divisione sociale del lavoro e appare come un connotato peculiare della modernità. È perciò possibile un'accezione più scientifica e circoscritta del termine, richiamandosi all'analisi che i sociologi dell'Ottocento – a cominciare da due “padri fondatori” come A. Comte e H. Spencer – propongono della differenziazione come processo fondamentale dell'evoluzione e del mutamento sociale. Così, se Comte intuisce il nesso fra differenziazione e progresso civile – ma anche i pericoli di disintegrazione dell'ordine sociale che la differenziazione accelerata delle società industriali comporta –, Spencer applica alla società i principi della differenziazione biologica della specie. Questa rigida visione evoluzionistica – per cui l'organismo società sarebbe deterministicamente regolato dai principi di integrazione dell'insieme e di differenziazione delle parti – consente lo sviluppo di una teoria della società basata sul passaggio dal semplice al complesso, dall'omogeneo all'eterogeneo, esattamente come nei sistemi biologici. In una prospettiva funzionalistica più matura e articolata, E. Durkheim collega differenziazione sociale e divisione del lavoro. Ne discendono due possibili modelli di organizzazione: da un lato, quello che si fonda sulla cosiddetta solidarietà meccanica (scarsa differenziazione funzionale, comunicazione diretta fra i componenti, intensità delle relazioni affettive e dei vincoli di appartenenza), tipica della comunità ristretta, come il clan o il villaggio; dall'altro, l'organizzazione delle collettività specializzate complesse, in cui prevale la solidarietà organica e, con essa, un'accentuata divisione del lavoro, legami d'interesse, identità per affinità e a forte connotazione simbolica (partiti, associazioni). Il principio di differenziazione – in quanto criterio fondante i modelli analitici funzionalistici – è stato oggetto di contestazione teorica da parte di numerosi sociologi critici verso tutti gli approcci evoluzionistici. È però doveroso ricordare, al riguardo, come anche il principale esponente del funzionalismo nordamericano, T. Parsons, si preoccupi di distinguere fra differenziazione che produce evoluzione specifica – cioè adattamento della società al mutare delle situazioni storiche e strutturali, senza che ciò implichi di per sé progressi o civilizzazione – e differenziazione come emancipazione dai vincoli ambientali e dalla tradizione. Solo in questo senso si può parlare di evoluzione generale, esattamente come altri autori (J. Huxley) distinguono fra generazione di differenziazione (morfogenesi) e produzione di progresso (complessificazione). Diversa la prospettiva di G. Lenski, che considera la differenziazione – nel significato di stratificazione sociale e divisione del lavoro – come l'effetto anziché la causa della complessità sociale e dell'organizzazione produttiva fondata sul principio di specializzazione.

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