Descrizione generale

sf. [sec. XIX; eco-+-logia]. Scienza biologica che studia i rapporti intercorrenti tra organismi o gruppi di organismi e il loro ambiente, sia esso fisico o biotico, e, quindi, le possibilità reciproche di esistenza. Studi di carattere ecologico furono intrapresi da S. A. Forbes, Ch. Darwin, K. Möbius e altri, ma un carattere organico a tale disciplina fu dato da E. Haeckel al quale si deve anche l'introduzione del termine (1866) e la definizione di ecologia come "la scienza dell'insieme dei rapporti degli organismi col mondo esteriore". Nei primi decenni del sec. XX i risultati dell'ecologia furono utilizzati dall'agronomia e dall'agrobiologia dei centri sperimentali, principalmente dell'URSS e degli USA. L'ecologia si occupa soprattutto della biologia di gruppi di organismi e dei processi funzionali nella terra, nel mare e nelle acque dolci; essa può essere definita come lo studio della struttura e delle funzioni della natura, tenendo presente che l'uomo ne fa parte. Il modo migliore per individuare gli spazi che l'ecologia occupa consiste nel considerarla, dal punto di vista dei livelli di organizzazione, visualizzabile come uno spettro biologico che va dal gene alla comunità in una progressione gerarchica, dal piccolo al grande. L'interazione con l'ambiente fisico che si realizza con scambio di energia e materia produce, a ciascun livello, sistemi funzionali caratteristici. L'ecologia riguarda i sistemi superiori al livello di organismo e ha individuato il principio dell'integrazione funzionale in base al quale con l'aumentare della complessità della struttura si hanno caratteristiche aggiuntive. Inoltre, se alcune caratteristiche crescono in complessità nel passare da sistemi semplici a sistemi più complessi, altre diventano meno complesse e meno variabili, realizzando forme di integrazione e di equilibrio. Questo indica l'importanza che l'ecologia ha anche indipendentemente dallo stadio di sviluppo delle scienze biologiche relative ai livelli gerarchici meno complessi che vanno dal gene al singolo organismo. In tal modo l'ecologia ha realizzato al suo interno una forte integrazione interdisciplinare con l'acquisizione di conoscenze di fisica, chimica, geologia, litologia, pedologia, idrologia, meteorologia, biologia, divenendo una scienza autonoma, analitica e sperimentale, con ampie possibilità di applicazioni pratiche. Nuovi problemi, sempre più urgenti e drammatici (come l'incremento demografico e i crescenti fabbisogni alimentari, la salvaguardia dell'ambiente ormai in pericolo, lo sfruttamento responsabile delle risorse naturali, la lotta contro gli inquinamenti atmosferici, idrici e terrestri) impongono un necessario sviluppo degli studi ecologici verso ogni direzione, tesi a tutelare la sopravvivenza stessa dell'uomo e della natura che lo circonda. In proposito si deve tuttavia precisare che il termine ecologia, contrariamente all'errato uso corrente, non è sinonimo di “difesa della natura”, e che l'ecologia non si occupa esclusivamente di inquinamenti e di patologia ambientale. I gruppi di organismi studiati dall'ecologia si suddividono in tre livelli di organizzazione, popolazioni, comunità e ecosistemi. In senso ecologico, una popolazione è costituita da di individui che appartengono a una singola specie. Una comunità biotica comprende tutte le popolazioni che occupano un'area fisica ben definita. Le varie comunità, insieme alle componenti fisiche e biotiche dell'ambiente, formano un ecosistema. Il suo primo compito è infatti quello di indagare i rapporti tra organismi e ambiente, di chiarire come funzionano le unità fondamentali (ecosistemi) e quali ne siano i problemi relativi; in un secondo tempo, valendosi della collaborazione di tecnici e specialisti di altri settori, studierà i metodi per la cura, la conservazione e la difesa dell'ambiente. Quest'ultimo è di competenza maggiormente specifica di una disciplina comparsa anche negli atenei italiani dalla fine degli anni Settanta: la politica dell'ambiente. La salvaguardia dell'ambiente naturale è basilare in quanto esso, “mezzo” che circonda organismi animali e vegetali, influenza ogni processo biologico mediante fattori abiotici e biotici. I primi sono rappresentati soprattutto da temperatura, luce, gravità, pressione, acqua, azione del fuoco, ossigeno, anidride carbonica, pH, salinità, ecc.; i secondi comprendono la competizione intra- e interspecifica (per l'alimentazione, il territorio vitale, la conservazione della specie, ecc.), la predazione, la simbiosi, il commensalismo, il parassitismo, il mutualismo, numerosi aspetti del ciclo vitale, le capacità di spostamento e di migrazione, il comportamento, ecc. Tali fattori sono considerati i costituenti fondamentali degli ecosistemi in quanto agiscono sia sulle singole popolazioni, sia sulle biocenosi e condizionano, in tutto o in parte, i rapporti tra individui e gruppi con l'ambiente, gli interscambi fra individui o gruppi fra loro, le interazioni e integrazioni fra gli ecosistemi stessi. Le ricerche hanno dimostrato che l'equilibrio ecologico è tendenzialmente stabile, tuttavia, considerando tempi lunghi, i costituenti fondamentali dei vari ecosistemi subiscono lente variazioni che portano a trasformazioni anche radicali. Cause principali di ciò sono il divenire geologico del pianeta (note sono le successioni di ecosistemi diversi durante il Quaternario, conseguenti l'alternarsi delle glaciazioni) e l'azione degli animali. In proposito lo studio dell'evoluzione degli antichi ecosistemi (paleoecologia) ha permesso una migliore conoscenza dei meccanismi ecologici attuali: per esempio, è accertata l'azione determinante sull'ambiente (e quindi l'opera di trasformazione dei precedenti ecosistemi) dovuta alla diffusione indisturbata degli Unguligradi (tipica l'azione dei bisonti nella formazione della prateria nordamericana). Dalla protostoria, profondamente determinante nell'alterare gli equilibri ecologici è stata l'opera dell'uomo.

Ecologia pura e applicata

Per giungere alle sue conclusioni l'ecologia si vale soprattutto di metodi statistici (per esempio, per la dinamica delle popolazioni) e del confronto tra modelli teorici e dati sperimentali ricavati sul terreno. Ne consegue una molteplicità di aspetti sia negli elementi considerati sia nei settori specializzati d'indagine; in linea di massima si distinguono un'ecologia pura e un'ecologia applicata: la prima evidenzia i problemi biologici di base, la seconda affronta tali problemi per una diretta applicazione a scopi pratici (per esempio, metodi di colture, rimboschimenti, allevamenti, formazioni di riserve naturali, opere di ingegneria ambientale, impianti di depurazione, ecc.). Suddivisioni fondamentali dell'ecologia pura, anche se arbitrarie, sono l'autoecologia, la sinecologia e la mesologia. La prima si occupa di singole specie o singoli individui nel loro ambiente, analizzandone i rapporti con i vari fattori ecologici e valendosi di metodi e tecniche di più scienze sperimentali (fisiologia, climatologia, biochimica, genetica, etologia, ecc.). La sinecologia, invece, si occupa dell'ecologia di gruppi di organismi, di biocenosi, che appartengano alla medesima o a specie differenti; può essere descrittiva (se tratta della ripartizione qualitativa e quantitativa di popolazioni di organismi di un dato ambiente) o funzionale, quando i gruppi di esseri viventi vengono esaminati nella loro successione dinamica in un dato ambiente. La mesologia, infine, può considerarsi un completamento e un ulteriore aspetto dell'autoecologia: studia in maniera più diretta l'ambiente, ne analizza la struttura fisica, la composizione e la struttura chimica e tutto quel complesso di fenomeni che ne ha determinato la formazione. Data la vastità del campo d'azione, le ricerche ecologiche vengono suddivise secondo i grandi ecosistemi classificati, per cui si hanno un'ecologia terrestre; un'ecologia degli ambienti aerei; un'idrobiologia, suddivisa in ecologia marina ed ecologia delle acque dolci; un'ecologia agraria; oltre a settori particolari quali lo studio dei rapporti tra organismi parassiti e “ambiente” interno fornito dagli organismi ospiti; lo studio dei rapporti tra animali e vegetali conviventi (biocenologia); lo studio dei rapporti fra specie vegetali (fitosociologia) e animali (zoosociologia); lo studio degli ambienti sotterranei (speleobiologia) e infine lo studio dell'influenza che l'ambiente ha sul comportamento animale (ecologia etologica). Inoltre, solo per pura comodità didattica, si considerano un'ecologia animale e un'ecologia vegetale, rivolte rispettivamente a problemi di zoologia e di botanica, benché problemi e metodi dell'una siano strettamente connessi a quelli dell'altra e viceversa. Di recente sviluppo è l'ecologia umana, che studia i rapporti d'interdipendenza tra uomo e ambiente. L'azione dell'ambiente sull'uomo si manifesta sia geneticamente sia etologicamente. Nel primo caso si esplica in tutta una serie di pressioni selettive che finiscono per tradursi, con maggiore o minore intensità, nella comparsa di un determinato carattere. Tipiche le variazioni della pigmentazione, delle dimensioni corporee, del grado di pelosità in rapporto all'ambiente artico, temperato o equatoriale, fino a giungere al differente sviluppo di gemelli cresciuti in ambienti diversi. Nel secondo caso si è constatato come l'ambiente influisca sul comportamento umano fino a coinvolgere la formazione stessa delle culture. Basti pensare alla diversità di prodotti culturali fra genti agricole e genti pastorali e, nell'ambito di culture affini, fra agricoltori forestali e agricoltori di terreni aperti, fra pastori e allevatori di bovini, fra cacciatori e pescatori, fra società tecnologicamente avanzate e società arretrate in senso tecnologico fino a giungere alle differenze tra abitanti del Nord e del Sud nell'ambito di una medesima nazione. L'importanza di precise ricerche in tal senso ha aperto, fra l'altro, un nuovo campo d'indagine, l'etologia umana, che studia il comportamento umano in relazione soprattutto all'ambiente. L'azione dell'uomo sull'ambiente è, forse, l'aspetto più macroscopico; infatti l'uomo è passato dal rapporto di dipendenza dalla natura proprio delle società di cacciatori-raccoglitori all'egemonia sulla stessa già al tempo degli agricoltori seminomadi. A questi, soprattutto, si deve la distruzione di estese aree boschive per ottenere terreni agricoli con conseguente radicale trasformazione dell'equilibrio ecologico di intere regioni. In particolare, è stato stimato che prima dello sviluppo delle attività umane (fine del Paleolitico) le foreste coprivano almeno il 70% delle terre emerse mentre oggi coprono non più del 10%. Con l'avvento della metallurgia prima e con il costante dilagare della tecnologia poi, l'uomo ha finito con l'adattare l'ambiente alle sue esigenze sempre diverse: ciò ha portato inizialmente alla scomparsa di molti degli habitat originali e, in tempi recenti, alla trasformazione di quasi tutti gli ecosistemi con la pericolosa conseguenza di aver alterato l'equilibrio ecologico su scala planetaria.

L'attenzione mondiale per l'ecologia

Dopo la Conferenza mondiale sull'ambiente e lo sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, in numerose altre occasioni i problemi dell'ambiente sono stati affrontati in sede internazionale. Due incontri, in modo particolare, meritano di essere ricordati: il forum internazionale Rio+5 (svoltosi sempre a Rio de Janeiro) e quello di Kyōto sui mutamenti climatici. Nell'ambito del forum Rio+5 venne presentato un rapporto, Ecological Footprints of Nations, nel quale si calcolava quella che viene definita l'“impronta ecologica” di 52 nazioni abitate dall'80% della popolazione mondiale. Questa “impronta” viene calcolata misurando il consumo delle 52 nazioni e l'entità che esso avrebbe se le nazioni restassero nei limiti della loro locale capacità ecologica senza sottrarre quella degli altri. Ciò consente anche di calcolare il “deficit ecologico” di ciascuna nazione. Da questa analisi è risultato che l'umanità nel suo insieme utilizza risorse e servizi della natura in quantità superiori di oltre un terzo alle capacità di rigenerazione della natura stessa. In Italia, per esempio, l'impronta ecologica risulta di 4,5 ha pro capite contro una disponibilità di 1,4 ha, con un deficit di 3,1 ha pro capite. Nel summit di Kyōto, tenutosi sotto l'egida dell'ONU, la maggior parte dei Paesi industrializzati si era impegnata a ridurre le emissioni di gas che provocano l'effetto serra di circa il 5% rispetto ai livelli del 1990. Il protocollo conclusivo venne però rimesso in discussione agli inizi del 2000 in primo luogo dagli Stati Uniti e dall'amministrazione Bush. Le Nazioni Unite, dal canto loro, redigono annualmente precisi rapporti sullo stato dell'ambiente: da quello presentato a metà del 2001, la Terra risulta un pianeta fortemente malato con particolare riguardo alle cause e agli effetti dei mutamenti climatici indotti da azioni umane. Di quest'ultima ricorrente preoccupazione si sono fatti portavoce gli scienziati dell'IPCC (International Panel on Climate Change) nel periodico rapporto e la maggior parte dei Paesi riuniti a Bonn dal 18 luglio 2001 nel vertice sui mutamenti climatici tenutosi dopo il fallimento di quello dell'Aia del novembre 2000. Altro importante vertice sull'ambiente è stato il World Summit on Sustainable Development (WSSD), indicato anche con il nome di Rio+10- svoltosi a Johannesburg, in Sudafrica, dal 26 agosto al 4 settembre del 2002. Il piano d'attuazione della Conferenza di Johannesburg formalizzò l'Obiettivo 2010 sulla biodiversità e ne assegnò la responsabilità per il suo raggiungimento alla Convenzione sulla Diversità Biologica (trattato internazionale adottato nel 1992 al fine di tutelare la diversità biologica). Con il termine Obiettivo 2010 sulla biodiversità si indica un accordo formale che i governi di tutto il mondo si sono impegnati a mantenere per ridurre significativamente il tasso di perdita di biodiversità entro il 2010. La novità del vertice è stata quella di dare maggiore importanza alla creazione di “partenariati” piuttosto che alla definizione di nuovi accordi governativi. I partenariati devono rappresentare lo strumento principale per l'attuazione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio che gli stati membri dell'ONU si sono impegnati a a raggiungere entro il 2015. Alla Conferenza non partecipò alcuna delegazione ufficiale degli Stati Uniti d'America, poiché il presidente G. Bush non considerò l'avvenimento di rilevanza per il suo Paese. Nel dicembre del 2009 la conferenza sul clima che si è svolta a Copenaghen, ha riunito i delegati di 192 Stati del mondo. Il dibattito si è incentrato soprattutto sul riscaldamento globale e l'emissione di gas serra; la Conferenza si è conclusa con l'approvazione di alcune linee generali, fra cui l'accordo sul principio che siano necessari significativi tagli alle emissioni di gas serra come sostenuto dalla comunità scientifica (con il tentativo di raggiungere entro il 2012 il picco di tali emissioni per poter così iniziare una fase di costante riduzione delle stesse); concordia sul fatto che l'approccio ai problemi climatici debba essere collettivo, per cui i Paesi più sviluppati devono supportare economicamente e tecnologicamente i Paesi in via di sviluppo; priorità e supporto finanziario allo sviluppo di tecnologie a basse emissioni, soprattutto nei Paesi poveri; impegno a limitare l'aumento delle temperature entro la soglia di 1,5°C; riduzione della deforestazione e del degrado del patrimonio forestale su scala planetaria, con il supporto di appositi programmi di finanziamento. Per sensibilizzare ulteriormente i cittadini al problema del consumo responsabile e sostenibile il 22 aprile 2010 si è celebrata negli Stati Uniti la giornata mondiale della Terra. Nel 2014 Stati Uniti e Cina, i due Paesi responsabili della maggior quantità di emissioni inquinanti al mondo, hanno siglato un accordo bilaterale con cui si impegnavano a ridurre le emissioni di gas serra. Nel dicembre 2015, in occasione della Conferenza sul Clima di Parigi, 195 Paesi del mondo hanno raggiunto un accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima mondiale. Lo scopo dell’accordo era evitare pericolosi cambiamenti climatici cercando di limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C, puntando a limitarne l’aumento a 1,5°C. Altri obiettivi stabiliti a Parigi sono fare in modo che le emissioni globali raggiungano il livello massimo al più presto possibile, e procedere successivamente a rapide riduzioni in conformità con le soluzioni scientifiche più avanzate disponibili.
Nel 2015, 193 Paesi del mondo siglavano sotto l’egida dell’ONU, l’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile, un programma d’azione in 17 obiettivi da realizzarsi entro il 2030 che affronta molte importanti questioni, tra cui la lotta al cambiamento climatico.
Nel 2018 Greta Thunberg, una giovane studentessa svedese iniziava a scioperare durante l’orario scolastico davanti al Parlamento svedese, chiedendo al governo di intervenire concretamente per ridurre le emissioni inquinanti. Dall’iniziativa di Greta è nato il movimento ambientalista studentesco internazionale Fridays for Future.

Bibliografia

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