Definizione

Sm. [sec. XIV; da inquinare]. Complesso di effetti nocivi e alterazioni non desiderabili delle caratteristiche fisiche, chimiche e/o biologiche dell'acqua, della terra e dell'aria che si ripercuotono sulla biosfera e quindi sull'uomo, dipendenti dall'azione di fattori di alterazione (inquinanti) degli equilibri esistenti, liberati per lo più come sottoprodotti dell'attività umana nell'aria, nell'acqua e nel suolo. L'inquinamento è diretto, quando le sostanze inquinanti sono prodotte dall'attività umana, indiretto, quando è dovuto a modificazioni degli inquinanti primari che si verificano in particolari condizioni ambientali. L'inquinamento si manifesta su scala locale, come nella maggior parte dei casi, e si rivela globale nel caso delle emissioni di sostanze inquinanti che provocano l'effetto sera o il buco dell'ozono. A seconda dell'ambiente contaminato si usa comunemente distinguere l'inquinamento in: atmosferico, dell'acqua, del suolo, acustico, ecc. Il fenomeno costituito dalla dispersione nell'ambiente delle onde elettromagnetiche è detto elettrosmog.

Sostanze inquinanti

Le sostanze inquinanti liberate nella biosfera sono per lo più prodotte dall'attività umana nel suo vario articolarsi: biologica (rifiuti organici), domestica (riscaldamento e immondizie), industriale (in particolare i settori chimico, petrolchimico, cartario, metallurgico ed energetico), agricola (letame, fertilizzanti artificiali, pesticidi), di relazione (trasporti, in particolare quelli su gomma). Per alcune sostanze (quelle dette non biodegradabili) la degradazione può richiedere tempi molto lunghi o non verificarsi affatto: queste, accumulandosi nei cicli biogeochimici e nelle catene alimentari, danno luogo alla cosiddetta "magnificazione biologica"; il loro eccessivo accumulo ha un effetto inquinante quando la quantità riversata nell'ambiente supera la possibilità di degradazione e di dispersione. Al contrario le sostanze inorganiche, come per esempio metalli, idrocarburi, amianto, clorofluoroidrocarburi, cloruri, composti ossidanti, esercitano un'azione tossica sull'uomo, sugli animali, sulle piante e sull'ambiente nel suo complesso. Spesso i prodotti che si liberano risultano più tossici e di più vasto raggio d'azione degli inquinanti originari: così, per esempio, per effetto catalitico della radiazione ultravioletta dei raggi solari su ossidi di azoto e idrocarburi insaturi, presenti nelle emissioni delle raffinerie e nei gas di scarico degli autoveicoli, si formano dei perossidi, come il perossiacetilnitrato e l'ozono, che costituiscono il cosiddetto smog fotochimico che ha effetti dannosi sia sull'uomo sia sulla vegetazione.

Inquinamento atmosferico

Responsabili principali dell'inquinamento atmosferico sono i veicoli con motore a scoppio, le industrie, le centrali termoelettriche, il riscaldamento domestico, gli impianti per l'incenerimento dei rifiuti, specie se privi di adatti impianti di abbattimento delle polveri e di depurazione dei fumi. Tra gli agenti inquinanti principali vanno menzionati: fumi, fuliggini, ceneri e polveri emessi dagli impianti di riscaldamento, dai camini delle fabbriche, dagli impianti di incenerimento dei rifiuti, da cementifici, cave e miniere; composti gassosi dello zolfo, in particolare l'anidride solforosa, scelta come parametro di valutazione del grado di inquinamento atmosferico (che proviene dalla combustione di carboni fossili, specie di mediocre o cattiva qualità, del coke e di oli combustibili pesanti, dalla produzione dell'acido solforico, dalla lavorazione di molte materie plastiche, dall'arrostimento delle piriti, dalla desolforazione dei gas naturali), il solfuro di idrogeno (dovuto ai processi di desolforazione dei petroli in genere e delle benzine in particolare e dei gas naturali) e i maleolenti tiofeni e mercaptani emessi da raffinerie e cokerie; ossido di carbonio, l'inquinante gassoso più diffuso che deriva dall'incompleta combustione di sostanze contenenti carbonio, soprattutto carboni e idrocarburi, mentre per combustione completa si forma anidride carbonica; ossidi di azoto, presenti nei gas di scarico degli autoveicoli o dovuti alla fabbricazione di acido nitrico e nitrati; idrocarburi, incombusti o piroscissi, presenti nei gas di scarico degli autoveicoli; ozono, presente nello smog fotochimico, attorno agli impianti elettrici ad alta tensione e nei gas di scarico di motori a scoppio al minimo; piombo in varie forme volatili, diffuso dai gas di scarico degli autoveicoli alimentati con benzine etilate, contenenti cioè piombo tetraetile come additivo antidetonante; vari acidi inorganici e organici (solforico, cloridrico, fluoridrico, bromidrico, acetico, fumarico, tannico, ecc.) liberati nelle combustioni o in cicli industriali diversi; prodotti radioattivi artificiali dovuti, oltre che alle esplosioni atomiche, a lavorazione di sostanze radioattive per l'utilizzazione pacifica dell'energia nucleare, all'impiego di nuclidi radioattivi nella ricerca scientifica, nell'industria, in campo medico e in agricoltura. A questi inquinanti artificiali si aggiungono le normali impurità atmosferiche naturali come polline, spore, polveri sollevate dal vento, polveri cosmiche, ceneri vulcaniche o prodotte da incendi di boschi e foreste, particelle saline liberantisi dalla superficie marina, ecc. Le conseguenze dell'inquinamento atmosferico sono purtroppo difficilmente suscettibili di un controllo tempestivo e molto spesso vengono riferite a cause diverse. Elevate fasi di inquinamento sul lungo periodo, che spesso danno luogo a fenomeni di intossicazione collettiva, hanno spesso conseguenze catastrofiche su interi ecosistemi. In particolare, per l'uomo e i Vertebrati, gli idrocarburi si sono rivelati potenti cancerogeni, favorendo tra l'altro l'insorgere di tumori polmonari. Inoltre, assieme all'ossido di carbonio e al piombo tetraetile, concorrono, a livello cellulare, al blocco enzimatico della catena respiratoria. Quanto allo smog fotochimico sopra citato, oltre a effetti irritanti e tossici sull'uomo (occhi e vie respiratorie) provoca danni particolarmente gravi alla vegetazione. Il perossiacetilnitrato è infatti responsabile del blocco enzimatico della fotosintesi e l'ozono, esaltando la respirazione dei vegetali, provoca un abnorme depauperamento delle loro sostanze nutritizie; particolarmente insidiosi sono anche diversi gas e fumi di scarico industriale (per esempio i solventi), in quanto, a livelli già tossici per l'organismo, non sono facilmente percepibili ai sensi. Particolarmente inquietante è infine l'inquinamento dell'atmosfera da prodotti radioattivi. I radionuclidi, costituenti il cosiddetto fallout, si depositano al suolo, grazie anche alle precipitazioni atmosferiche, ed entrano a far parte della catena alimentare dell'ecosistema. Si ritiene che ambienti scarsamente provvisti di elementi nutritivi assorbono più facilmente i nuclidi radioattivi; questi ultimi, entrando nei cicli biogeochimici, vengono fissati dai vegetali e di qui passano, concentrandosi nei tessuti, ai consumatori primari, secondari, e così via, fino all'uomo con tutte le conseguenze che ne derivano. È stato provato, per esempio, che alcuni costituenti radioattivi del fallout (lo stronzio 90 e il cesio 137), assorbiti dal suolo (fattore di concentrazione=1) e fissati dalla vegetazione (fattore di concentrazione=21), si ritrovano poi accumulati in alte dosi (fattore di concentrazione=714) nel tessuto osseo di erbivori, come pecore, cervi, renne costituendo quindi un pericolo per le popolazioni umane consumatrici di latte e carne di questi animali. La misura dell'inquinamento atmosferico si effettua rilevando la concentrazione dei principali inquinanti in apposite stazioni di rilevamento, situate in modo da non essere direttamente influenzate dalle emissioni di zone industriali o di grossi agglomerati urbani; i valori rilevati vengono confrontati sia con i valori massimi ammissibili, sia con quelli della “concentrazione di fondo” misurati in stazioni poste a quote molto elevate e lontane dalle fonti di inquinamento, secondo i suggerimenti dell'OCSE In Italia esse sono situate sul Monte Cimone (nell'Appennino Tosco-Emiliano, a 2163 m di quota) e sulla Testa Grigia (sul Monte Rosa sopra Cervinia, a 3480 m). I valori rilevati in queste stazioni, oltre a essere molto bassi, sono pressoché costanti. Altre stazioni di rilevamento sono installate in vari punti delle città, dove è molto elevata la concentrazione di inquinanti prodotti dagli autoveicoli e dai processi di combustione (SO₂, CO₂, NO₂, O₃), concentrazione spesso accentuata da particolari condizioni, quali l'assenza di vento e di pioggia e l'inversione termica. Di solito vengono stabiliti due livelli di allarme, ai quali dovrebbero corrispondere provvedimenti volti a riportare i valori entro i limiti stabiliti. L'inquinamento atmosferico può essere ridotto migliorando la qualità dei combustibili (desolforazione); favorendo l'uso di combustibili “puliti” (metano) e abbattendo polveri e fuliggini contenute nei gas di scarico degli impianti termici, prima di immetterli nell'atmosfera; migliorando l'isolamento termico degli edifici, per ridurre la quantità di calore richiesta; ricorrendo a impianti di teleriscaldamento e di cogenerazione (produzione combinata di elettricità e di calore) che consentono un più efficace controllo delle emissioni inquinanti. Per quanto riguarda l'inquinamento prodotto dalla circolazione si tende a ridurre la circolazione urbana favorendo l'uso di mezzi pubblici; è stata ridotta la quantità di piombo tetraetile aggiunto alle benzine come antidetonante, in attesa di eliminarlo completamente .

Inquinamento delle acque

Fino a che l'industria era inesistente, o allo stato embrionale, ancora non esistevano detersivi e fertilizzanti chimici e gli agglomerati urbani erano ben lontani dalle dimensioni attuali, i processi di autodepurazione dell'acqua e del suolo sono stati sufficienti a evitare l'inquinamento delle acque. L'aumento della popolazione, lo sviluppo industriale e la diffusione dell'impiego di prodotti chimici in tutte le attività umane hanno provocato un notevole aumento della quantità dei liquami e una radicale modifica della loro composizione: non si tratta più di sostanze organiche facilmente biodegradabili, ma di una miscela di sostanze organiche e inorganiche, alcune delle quali molto dannose ed estremamente difficili da eliminare. Le acque interne risultano inquinate da scarichi industriali, agricoli e urbani. Gli inquinanti diffusi negli effluenti industriali sono principalmente composti chimici in soluzione o sotto forma di emulsione e schiume: acidi e basi forti, sali minerali (particolarmente di cromo, zinco, cadmio, rame, nichel, piombo, sali ammoniacali e inoltre cloruri, fluoruri, solfuri, cianuri, solfiti e idrosolfiti), idrocarburi, catrame, oli vegetali e grassi, fenoli, amidi e zuccheri, coloranti, ecc.; inoltre sono presenti materiali solidi di varia dimensione e di natura organica o minerale (colloidi, residui della lavorazione del legno e della carta, scarti e residui delle industrie alimentari, sabbie, pietrisco, ecc.) e radioisotopi. Negli effluenti urbani prevalgono invece sostanze organiche putrescibili più o meno contaminate da forme microbiche patogene e parassitarie, e schiume da detersivi e saponi. L'immissione di scarichi agricoli apporta soprattutto sostanze nutritive e biocide per dilavamento di fertilizzanti e pesticidi dai campi. L'inquinamento marino risulta, oltre che dal deflusso delle acque interne inquinate, dallo scarico diretto operato, senza efficaci depurazioni, da industrie e insediamenti urbani costieri e dall'eliminazione di rifiuti da parte di ogni tipo di naviglio. Va inoltre tenuto conto che gran parte degli inquinanti atmosferici finisce prima o poi per precipitare in mare. Il mare risulta gravemente contaminato anche a notevolissima distanza dalle coste; l'inquinante più diffuso è il petrolio a causa della pratica delittuosa di scaricare in mare dalle petroliere le acque di lavaggio delle cisterne, del ripetersi di incidenti e di naufragi che coinvolgono petroliere, dell'estrazione di petrolio dalle piattaforme continentali. Una forma di inquinamento delle acque destinata a diffondersi sempre più è quella termica, in gran parte dovuta al crescente impiego di acqua nei processi di raffreddamento industriali, specie nelle centrali termoelettriche e nucleari, ma non meno gravi sono gli effetti degli scarichi termici delle acciaierie, degli zuccherifici, delle fabbriche di alluminio e, in genere, di tutti i numerosi processi industriali che richiedono, alla fine della lavorazione, lo smaltimento del calore residuo. L'aumento della temperatura dell'acqua ha, come primo effetto, la diminuzione della solubilità dell'ossigeno; inoltre accelera tutti i processi di sviluppo della vita acquatica, accentuando i fenomeni di eutrofia. Lungo il corso dei fiumi si possono formare sbarramenti termici, che impediscono la risalita dei pesci. Gli effetti più gravi dell'inquinamento termico sono, comunque, dovuti agli improvvisi abbassamenti di temperatura che provocano, negli animali ormai adattati a un ambiente più caldo, i cosiddetti “stress freddi”, che possono persino essere letali; questi fenomeni sono comuni a valle delle centrali elettriche quando si sospende l'attività produttiva. L'inquinamento delle acque naturali sia marine sia interne presenta una genesi abbastanza complessa. Fondamentale per la vita delle biocenosi acquatiche è la presenza di sufficiente ossigeno disciolto; qualora vengano immesse nelle acque sostanze organiche in forti dosi, esse vengono demolite da batteri aerobi e trasformate in sostanze più semplici tramite l'utilizzazione di una certa parte dell'ossigeno disciolto; se poi vengono liberati elementi inquinanti in concentrazioni più massicce, verrà consumato dall'attività batterica aerobia sia tutto l'ossigeno disciolto nell'acqua sia quello via via assorbito dall'ambiente esterno; in seguito si instaurerà una popolazione batterica anaerobia, indifferente all'assenza di ossigeno e capace di demolire i composti organici trasformandoli in sostanze nocive, letali per la vita della biocenosi acquatica vegetale e animale. Anche lo scarico di composti tossici e di rifiuti di origine industriale è fatale agli organismi acquatici: 0,14 mg/l di solfato di rame sono già sufficienti a uccidere una trota per asfissia a livello branchiale; solfuri, cianuri e ammoniaca invece ne determinano l'asfissia a livello del circolo sanguigno e delle cellule in genere. I detergenti, che sovente ricoprono con uno spesso strato schiumoso intere superfici d'acqua, per la loro complessa struttura chimica a catene ramificate difficilmente vengono aggrediti e degradati dai batteri in composti più semplici e meno nocivi; tali sostanze pertanto alterano fortemente le caratteristiche fisiche dell'acqua, modificandone la tensione superficiale e provocando la scomparsa, tra l'altro, della flora acquatica, del plancton e, con essi, dei componenti di tutta la piramide trofica. Ciò provoca, oltre all'estendersi di larghi strati superficiali di materie in decomposizione, con relativi miasmi e colorazioni varie, la diffusione in acque sia dolci sia marine di batteri e virus (del tifo, della dissenteria, del coleradell'epatite virale, ecc.) e l'assorbimento di questi microrganismi patogeni da parte di molluschi destinati all'alimentazione (quali mitili, ostriche e altri lamellibranchi eduli) e allevati in prossimità di sbocchi di scarichi con conseguente pericolo di gravi epidemie. Gli strati superficiali di petroli e altri idrocarburi costituiscono infine vere e proprie barriere impermeabili tra aria e acqua, impedendo il disciogliersi dell'ossigeno atmosferico nell'ambiente liquido e provocando la morte per asfissia dell'intero ecosistema sommerso. Tali sostanze recano danni anche alle spiagge, alla vegetazione litoranea e alla fauna acquatica di superficie: agli uccelli marini, per esempio, che, invischiati nei densi strati oleosi, trovano spesso la morte per insufficiente termoregolazione corporea e per avvelenamento. Un'altra forma di inquinamento delle acque del mare è costituita dalla formazione di mucillagini. Più grave è invece l'inquinamento che si verifica nei bacini lacustri in cui il rimescolamento tra ipolimnio ed epilimnio e il ricambio idrico siano piuttosto lenti. Nonostante i laghi siano relativamente più resistenti dei fiumi ai fenomeni di inquinamento, se questi oltrepassano un certo limite, si hanno conseguenze che durano anche decine d'anni dopo la completa cessazione degli scarichi inquinanti. Tale è la situazione che si verifica nel lago d'Orta, dove il CNR ha eseguito un esperimento di risanamento accelerato mediante immissione di ingenti quantità di carbonato di calcio.

Inquinamento del suolo

Risulta soprattutto dall'accumulo di rifiuti solidi e liquidi prodotti da attività domestiche e industriali e dall'uso non sempre accorto nelle attività agricole di fertilizzanti e pesticidi. Circa i rifiuti solidi urbani si possono distinguere quelli organici putrescibili a rapida decomposizione, temibili perché favoriscono la proliferazione di insetti e di roditori, vettori di malattie, e quelli non o lentamente biodegradabili, come materie plastiche, legno, carta, composti metallici, ganghe, materiali da demolizione, ecc. Gli scarichi industriali immessi direttamente nel terreno possono portare, se questo non è impermeabile, alla contaminazione delle falde acquifere pregiudicandone la potabilità. L'impiego massiccio di fertilizzanti favorisce per dilavamento del suolo condizioni di eutrofizzazione delle acque. I concimi chimici, inoltre, contengono come impurità tracce di sostanze tossiche (arsenico, cadmio, piombo, rame) che si accumulano nel suolo; oltre ad alternarne l'equilibrio naturale esse possono passare nelle parti commestibili dei vegetali, che possono così diventare pericolosi per la salute. Anche i pesticidi provocano interferenze gravi negli ecosistemi. Tali sostanze tossiche (DDT e simili) si ritrovano concentrate negli organismi di Vertebrati e Invertebrati, dopo esser passate attraverso tutte le tappe della catena alimentare, dai vegetali ai consumatori. Servirà di esempio il caso della crescente rarefazione di uccelli predatori, nel cui organismo è stata rilevata un'altissima concentrazione di pesticidi assunti con l'alimentazione e responsabili della completa sterilità di questi animali.

Inquinamento acustico

Si tratta di una forma di inquinamento particolare che riguarda soprattutto le grandi città, alcune industrie e particolari attività (per esempio aeroporti). Lo studio dei suoi effetti, sull'uomo e sull'ambiente, è solo agli inizi: vivissimo è l'allarme suscitato dalle acquisizioni sulla patologia del rumore. Indagini sono in corso anche sul piano ecologico in quanto sorgenti intense di rumore agiscono negativamente sulla fauna locale, non solo inducendola ad allontanarsi, ma altresì provocando su di essa danni fisiologici e, probabilmente, genetici. Inoltre la frequenza e l'intensità dei suoni diffusi sembra intervengano anche sulla crescita e sviluppo dei vegetali e, probabilmente, della microfauna, per lo meno di quelle aree non urbanizzate dove vengono installati centri industriali le cui apparecchiature sono particolarmente rumorose e finora prive di efficace isolamento acustico e di dispositivi antivibranti. Pertanto le grandi industrie hanno dimostrato un notevole interesse per i nuovi sistemi di assorbimento e di contenimento del rumore prodotto da macchine e impianti; inoltre l'uso di automatismi e di robot ha consentito di allontanare gli operatori dalle zone di alta rumorosità (e, in generale, dai punti dove maggiore è la presenza di fattori nocivi alla salute). Quasi del tutto insoluto è ancora il problema dell'inquinamento acustico delle città: si spera di ridurlo costruendo nuove linee metropolitane (sia interrate che a raso, ma su ruote gommate) e scoraggiando, in vari modi, l'uso delle auto private nelle zone di maggior traffico. Per quanto riguarda gli aeroporti, i nuovi progetti di aerei puntano non solo a una riduzione dei costi di esercizio, ma anche alla riduzione del livello di rumore al decollo; inoltre l'uso degli aeroporti più vicini alle zone densamente abitate è già vietato agli aerei più rumorosi.

Inquinamento e degrado del patrimonio culturale

Gravi sono le conseguenze dell'inquinamento per le città ricche di testimonianze del passato e costrette ad avere anche un ruolo industriale, come dimostra il deleterio connubio tra Venezia e Porto Marghera: sulla città lagunare l'inquinamento agisce in conseguenza del ristagno dei rifiuti gassosi emessi dalla fascia industriale circostante con un'intensità mille volte superiore a quella valutata negli anni Sessanta del Novecento. L'enorme e scarsamente tutelato patrimonio artistico e monumentale italiano ha sofferto al riguardo danni colossali e incalcolabili dal punto di vista economico. Ma il fenomeno ha purtroppo ormai portata mondiale: ad Atene, per esempio, sono risultati gravemente compromessi i marmi del celeberrimo Partenone e degli altri monumenti dell'Acropoli.

Effetti degli agenti atmosferici sull'inquinamento

Le concentrazioni degli inquinanti nell'aria dipendono non solo dal numero e dalla intensità delle sorgenti di inquinamento e dalla distanza da tali sorgenti, ma soprattutto dalle condizioni meteorologiche locali (per i fenomeni di inquinamento a scala locale) e dalle condizioni meteorologiche locali e a grande scala (per i fenomeni di inquinamento a grande distanza dalle sorgenti). Per i fenomeni di inquinamento a scala locale, l'influenza maggiore sul trasporto e la diffusione atmosferica degli inquinanti è dovuta all'intensità del vento, alle condizioni di turbolenza (meccanica e termodinamica) dei bassi strati atmosferici e a effetti meteorologici particolari quali le brezze (di mare o di monte), l'incanalamento del vento in valli strette, o nelle strade delle zone urbane, ecc. Per i fenomeni di inquinamento a grande scala, l'influenza maggiore sul trasporto e la diffusione degli inquinanti è dovuta alle variazioni del vento con la quota (shear del vento), alle condizioni di barotropicità o di baroclinicità dell'atmosfera, alla turbolenza a grande scala determinata dalle aree cicloniche e anticicloniche. In genere, a parità di emissione di inquinanti dalle sorgenti, le concentrazioni in aria a piccola scala (zone urbane, zone industriali, ecc.) sono minori quando il vento è moderato o forte e l'atmosfera è instabile nei bassi strati, oppure quando il vento è debole o assente ma vi è forte insolazione con cielo sereno e sole alto sull'orizzonte. Viceversa, le concentrazioni diventano elevate quando vi è inversione del gradiente termico verticale o in condizioni di alta pressione di notte e con vento debole, oppure in condizioni di nebbia persistente che provoca processi di accumulo di inquinanti in aria, a volte molto pericolosi per la salute umana.

Effetti dell'inquinamento sul clima

L'aumento del tenore di anidride carbonica nella troposfera, in conseguenza dell'incremento del consumo di combustibili e del diboscamento attuato per far posto a nuovi spazi agricoli, non è insignificante, essendo passato, nell'arco di un secolo, da 290 a 320 ppm (parti per milione) e previsto per il primo decennio del sec. XXI con valori tra 375 e 400 ppm. Dato che è soprattutto la presenza, seppur nel complesso modesta, di anidride carbonica e di vapor acqueo nella troposfera che, trattenendo la maggior parte del flusso di energia termica irradiata dal suolo in conseguenza del fenomeno noto come effetto serra, regola la temperatura del globo, una variazione sensibile della percentuale di anidride carbonica non può non avere ripercussioni climatiche. Per questo motivo da più parti si è messo in relazione l'aumento dell'anidride carbonica nell'atmosfera con l'aumento della temperatura media mondiale accertato durante i cento anni precedenti il 1940. Da allora però, nonostante l'anidride carbonica continui a essere immessa nell'atmosfera in quantità sempre maggiori, la temperatura media mondiale ha mostrato una leggera diminuzione che viene interpretata come conseguenza dell'aumentato potere riflettente, o albedo, della Terra, dovuto all'intensificarsi dell'intorbidimento atmosferico da parte dei fumi e delle polveri prodotti da attività industriali e agricole e da eruzioni vulcaniche particolarmente ricche di polveri (per esempio quella del Pinatubo, nelle Filippine, del 1991). Va ricordato che le particelle di fumi e polveri, agendo da nuclei di condensazione per il vapor acqueo, favoriscono la formazione di nubi che aumentano ulteriormente l'albedo. Gli effetti della torbidità atmosferica si manifestano soprattutto negli strati più bassi e in specie nelle aree altamente industrializzate con notevole riduzione della visibilità e aumento di foschie, nebbie, nuvolosità e precipitazioni, al punto che le città industriali hanno un numero di giornate nuvolose e piovose superiore a quello delle campagne circostanti. A causa dei contrastanti effetti dovuti all'aumento del tenore di anidride carbonica da una parte e alla nuvolosità e torbidità atmosferica dall'altra e inoltre delle incomplete conoscenze del ruolo dei numerosi fenomeni geofisici che intervengono nel bilancio di radiazione della Terra, è impossibile stabilire con sicurezza quali siano le conseguenze a lunga scadenza di questi mutamenti indotti dall'uomo sull'atmosfera. Un'altra conseguenza dell'inquinamento, con riflessi sul clima valutati dagli scienziati in modo controverso, è l'accumulo di calore di scarto liberato nell'atmosfera dalle varie attività produttrici di calore: per alcuni la quantità di calore somministrata all'ambiente è già superiore a quella smaltibile per irradiazione nello spazio e quindi la temperatura è destinata a salire con profonda alterazione del clima nell'arco di qualche decennio, per altri l'aumento di calore può essere compensato da attività che elevino l'albedo come l'espandersi delle superfici di cemento e di asfalto delle aree urbane o l'estendersi dei deserti. In definitiva non si sa molto sul complesso meccanismo di interazioni che regola l'ambiente fisico e sulla portata delle interferenze climatiche prodotte dagli inquinamenti atmosferici. Solo il controllo sistematico della dispersione e delle modalità di trasporto degli inquinanti, delle variazioni dei valori di torbidità atmosferica, anidride carbonica e vapor acqueo, e in definitiva di tutto ciò che ha effetti sull'albedo, condotto su scala mondiale con l'aiuto di adatti satelliti meteorologici, potrà fornire più precise indicazioni sull'effettiva portata dell'alterazione dell'ambiente fisico.

Difesa dall'inquinamento

Il vertice mondiale di Rio de Janeiro, svoltosi nel 1992, ha rappresentato una delle più importanti occasioni per concretizzare e rendere più efficace la lotta contro i fattori inquinanti, responsabili del rischio di collasso degli ecosistemi. L'obiettivo del risanamento ambientale del pianeta è stato inserito all'interno di un più vasto progetto, noto come "Agenda 21", che stabilisce una strettissima interrelazione tra più fattori, tra cui il controllo dell'inquinamento atmosferico e della crescita demografica, nonché lo sviluppo di una economia sostenibile, attribuendo loro un ruolo di primo piano nella generale lotta contro il dissesto ambientale. Il bilancio complessivo riguardo l'effettiva traduzione nella realtà degli impegni assunti a Rio, però, non può non essere negativo, pur se, innegabilmente, questa conferenza ha contribuito allo sviluppo di una maggiore consapevolezza dei problemi dell'ambiente e della necessità di contenerli, mirando a una maggiore armonizzazione delle diverse posizioni dei singoli Stati. L'ambito all'interno del quale il vertice ha dimostrato, in misura maggiore, la sua inefficacia e debolezza è quello relativo alla politica adottata nei confronti dei gas ritenuti responsabili di variazioni climatiche di ampia portata (effetto serra, riscaldamento del pianeta), fra i quali particolare importanza assume l'anidride carbonica o biossido di carbonio (CO₂). Benché ancora persistano dubbi sulla esistenza di una relazione diretta fra questi gas e il verificarsi di tali mutazioni del clima, la comunità scientifica internazionale tende sempre più a considerare l'aumento delle emissioni di anidride carbonica e l'aumento della temperatura media del globo terrestre, pari a 0,6 gradi Celsius negli ultimi cento anni, quali fattori di uno stesso, benché molto più complesso, fenomeno. Nel rapporto del 1995, elaborato dall'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che opera nell'ambito dell'ONU, si afferma che le variazioni nell'andamento climatico globale sono difficilmente imputabili solo a cause naturali. In questa direzione si sono moltiplicati gli studi e le osservazioni di eventi considerati particolarmente significativi e comprovanti gli studi fatti sull'argomento, quali, per esempio, il distaccamento di una grossa porzione della calotta antartica (più di 3000 km²), collassata nell'Atlantico meridionale, segno evidente del surriscaldamento dell'Antartide, oppure quelli che presentano una maggiore uniformità e continuità nel tempo, quali il ritiro dei ghiacciai alpini, che stanno scoprendo ghiacci e rocce rimasti sepolti per migliaia di anni, oppure la crescita del livello del mare, pari a 3 mm l'anno. A Rio le nazioni industrializzate sono state sollecitate, sebbene non costrette legalmente, a bloccare, nei primi anni del sec. XXI, le proprie emissioni industriali nazionali dei gas serra al livello uguale o inferiore a quello del 1990. Questo stesso obiettivo era stato stabilito nel quinto Piano di Azione Ambientale (PAA) dell'UE (1992), ma già nel 1994, in alcuni Stati industrializzati, le emissioni di biossido di carbonio erano al di sopra del livello del 1990 nella misura del 5%; in molti Paesi in via di sviluppo, le emissioni erano aumentate del 10, del 20 e anche del 40%. Nel 1995, inoltre, la concentrazione di biossido di carbonio nell'atmosfera aveva raggiunto le 360 parti per milione (ppm), il valore più alto in assoluto in 150.000 anni, e la sua velocità di crescita, negli ultimi tempi, è rimasta superiore al 2% annuo. In controtendenza rispetto a questi dati va collocata la decisione dell'UE, del marzo 1997, che, proseguendo sulla scia degli obiettivi fissati a Rio, ha stabilito la riduzione, entro il 2010, dei gas serra nella misura del 10% rispetto alle emissioni del 1990. Il raggiungimento di questo obiettivo ha richiesto la definizione di quote corrispondenti alla diversa capacità di adeguamento dei vari sistemi industriali dei Paesi europei e, se alla Germania è stata addossata la responsabilità maggiore, all'Italia è stato richiesto un taglio del 7% dei gas serra, che le impone seri interventi correttivi e la riduzione delle sue emissioni di circa un terzo. La necessità e l'urgenza di provvedimenti di tale portata sono evidenziate dalle proiezioni future riguardanti le emissioni di carbonio. Dei sei miliardi di t emesse ogni anno dal consumo di combustibili fossili, solamente 3 miliardi ca. restano nell'atmosfera; la restante quantità è assorbita dagli oceani e dalle foreste, che dunque difendono il pianeta dal pieno impatto delle emissioni dei gas serra. La capacità di assorbimento non è, però, stabile e continua nel tempo. Esiste la possibilità che gli oceani, a causa del loro riscaldamento, perdano azoto fissato, un essenziale fertilizzante che permette la crescita del fitoplancton, il quale assorbe e fissa il carbonio; allo stesso tempo la perdita di ampie porzioni di foreste, che molti scienziati ritengono possibile nei prossimi decenni, causerebbe il rilascio di una crescente quantità di carbonio. Sempre nell'ambito degli interventi diretti alla lotta contro l'inquinamento atmosferico, abbastanza soddisfacenti sono i progressi realizzati per bloccare le emissioni di idrocarburi alogenati, quali i clorofluorocarburi (CFC) e gli alon, responsabili dell'impoverimento della fascia di ozono che si trova nella stratosfera tra i 15 e i 20 km di altezza e che assorbe gran parte delle radiazioni ultraviolette del Sole, molto dannose per l'uomo, essendo fra le cause dei tumori della pelle. La produzione di CFC, dopo aver raggiunto il massimo storico di 1,26 milioni di t nel 1988, è diminuita fino ad assestarsi sulle 295.000 t nel 1994, realizzando un decremento pari al 76,5% in soli sei anni. Tuttavia, nonostante gli sforzi compiuti si sono avuti esiti positivi: la fascia di ozono continuerà a diminuire fino alla seconda metà del sec. XXI, a causa della lunga resistenza dei composti del cloro nell'atmosfera. Al di là dei problemi di inquinamento atmosferico che interessano la Terra nel suo complesso, particolare importanza rivestono anche quelli che riguardano singole regioni e, al loro interno, l'inquinamento dovuto alla acidità atmosferica e alle conseguenti deposizioni acide è di gran lunga il più rilevante. Si tratta di un fenomeno la cui origine è chiaramente connessa con l'attività antropica. Gli inquinanti che lo producono sono, infatti, il risultato dello sviluppo dell'industria, dei trasporti e della produzione di energia (anidride solforosa, SO₂, ossidi di azoto, NO, acido cloridrico, HCl) che, immessi nell'atmosfera e sottoposti alle radiazioni solari, si trasformano, dopo una serie di reazioni, in sostanze acide che possono ricadere sulla superficie terrestre sotto forma di deposizioni umide (pioggia, neve, grandine) o secche, nel caso in cui le sostanze vengono assorbite direttamente dalla vegetazione o dalle acque superficiali. Sono i laghi, in particolare, a soffrire maggiormente a causa delle deposizioni acide, soprattutto quelli che, come nel caso della Scandinavia, sono situati in zone prive di rocce calcaree, che hanno la proprietà di neutralizzare l'eccesso di acidità e quindi bloccare la formazione degli ioni alluminio, tossici per la vegetazione e per la vita animale. Per quanto riguarda le piante, l'influenza negativa delle deposizioni acide è esercitata direttamente sulle foglie, ma anche, indirettamente, sul terreno, la cui acidità risulta accresciuta, venendo modificata anche la struttura chimica dell'humus. Gli effetti più gravi dell'acidificazione dell'atmosfera si sono avuti nelle foreste dell'America Settentrionale, ma hanno colpito con particolare violenza quelle dell'Europa centrale e settentrionale (Germania, Svezia). Questo spiega l'interesse dimostrato a livello dell'UE nei confronti di questo problema, rispetto al quale, nell'ambito del quinto PAA, si è fissato l'obiettivo di ridurre nella misura del 35% le emissioni di anidride solforosa, rispetto ai livelli del 1985. L'obiettivo potrà esssere realisticamente raggiunto, ma il problema delle deposizioni acide non sarà del tutto risolto. Sebbene il loro livello sia diminuito (e continuerà a diminuire a causa della riduzione dello zolfo), si calcola che, nei primi anni del Duemila, l'entità delle deposizioni supererà i carichi critici acidi degli ecosistemi nel 25% della superficie totale dell'Europa (nel 1993 questa percentuale era pari al 34%). § Altro importante settore verso il quale si è rivolto l'impegno delle istituzioni europee, sempre nell'ambito del PAA, è quello del miglioramento della qualità dell'aria urbana. A questo proposito, i due problemi principali che si presentano in tutta l'UE, sono lo smog estivo e quello invernale. Nonostante i progressi realizzati a tale riguardo negli ultimi decenni del Novecento, le attuali concentrazioni di inquinanti sono ancora notevolmente superiori alle norme sanitarie. A causa dell'accentramento della popolazione (più di un terzo degli europei vivono nei centri urbani) e delle attività economiche, le principali zone urbane presentano i massimi livelli d'inquinamento e di esposizione ai rischi per la salute. L'aumento delle emissioni inquinanti provocate dal trasporto stradale, settore cruciale per quanto riguarda la qualità dell'aria, annullerà in parte tali progressi. In considerazione di ciò il Parlamento europeo, nel settembre 1998, ha decretato il divieto di commercializzazione dal Duemila, con possibile deroga fino al primo gennaio 2005, delle benzine con piombo. Nelle città il terzo grave problema ambientale, oltre alla congestione del traffico e all'inquinamento atmosferico, è quello del rumore: la percentuale della popolazione che vi è esposta a livelli di rumore inaccettabili è 2-3 volte maggiore della media nazionale. I trasporti, principale fonte dei disturbi provocati dai rumori, attualmente sottopongono, nella maggior parte dei Paesi europei, il 17% circa della popolazione a livelli di rumore superiori ai 65 decibel, vale a dire al limite massimo stabilito. § Egualmente negativo è il bilancio che emerge dal confronto fra l'obiettivo fissato dal PAA a proposito della produzione dei rifiuti e i risultati effettivamente prodottisi: si era previsto che, nel Duemila, i livelli della produzione pro capite di rifiuti urbani avrebbero dovuto stabilizzarsi su quelli del 1985, ma dal 1985 al 1993 si è registrato un aumento costante pari al 20% e, sulla base di tali dati, è stato stabilito che entro i primi anni del Duemila la produzione complessiva sarebbe aumentata nella misura del 30% rispetto al livello del 1985. Tuttavia, sono stati conseguiti notevoli successi nel riciclaggio della carta e del vetro (la percentuale di riciclaggio risulta del 50% ca.). Negli ultimi anni del Novecento sono emerse anche significative novità nell'ambito dei processi di smaltimento, riguardo, in particolar modo, la progressiva affermazione del sistema dell'incenerimento (il 30% dei rifiuti è smaltito negli inceneritori), rispetto a quello delle discariche, in piena conformità con la direttiva europea sulle discariche, la quale prevede una gerarchia di interventi che vede al primo posto il risparmio di energia e materiali, seguito dal riciclaggio, dal recupero energetico, dall'incenerimento e infine dalla discarica. Nel gennaio del 1997, colmando un pesante ritardo, anche l'Italia, con l'approvazione di una nuova legge, ha operato una svolta in senso europeistico nel campo dello smaltimento dei rifiuti per raccogliere in maniera differenziata il 35% dei rifiuti e il 50% degli imballaggi. Della restante quota di spazzatura (18 milioni di t) una significativa proporzione, superiore all'7-8%, verrà incenerita nei termovalorizzatori, che rappresentano una evoluzione rispetto ai vecchi inceneritori, in quanto producono minori emissioni e danno maggiore affidabilità. § La maggior parte degli europei (il 65%) usa acqua potabile ricavata da acque sotterranee, che si traduce in un eccessivo sfruttamento delle falde acquifere e, di conseguenza, in un abbassamento della superficie freatica, che può avere effetti dannosi fra i quali: intrusione di acque salate in falde acquifere costiere e prosciugamento di terreni paludosi. L'impiego di acque sotterranee per ottenere acqua potabile è minacciato dal fatto che in esse vengono filtrati pesticidi e nitrati usati in agricoltura, le cui concentrazioni sono in aumento tanto da impedire la realizzazione degli obiettivi fissati nel quinto PAA (completa eliminazione dei nitrati e dei pesticidi nelle acque sotterranee). Data la longevità dei nitrati nelle acque sotterranee, non è possibile pensare di bonificarle senza effettuare la denitrificazione delle acque. Grazie ai notevoli investimenti fatti nei trattamenti delle acque reflue, le condizioni dei principali fiumi europei sono migliorate nell'ultimo decennio del Novecento. Sono diminuite notevolmente le emissioni di sostanze che distruggono l'ossigeno e le emissioni di fosforo, di conseguenza sono aumentati i livelli dell'ossigeno e sono migliorate le condizioni per la fauna acquatica; i maggiori progressi in questo campo, tra i quali va sottolineata la bonifica del Tamigi, sono stati realizzati nelle regioni nord-occidentali dell'UE. Tra queste, la Germania ha assunto un ruolo di primo piano, ma non solo nell'ambito europeo e nella lotta all'inquinamento delle acque reflue. Essa infatti è riuscita a strappare agli Stati Uniti il primato mondiale dell'impegno ambientale. § Sebbene si collochi al quinto posto tra le nazioni maggiormente responsabili di emissioni di carbonio provocate dall'utilizzo di combustioni fossili, la Germania detiene il primato, nei confronti degli altri Stati occidentali, del più basso tasso di crescita di emissioni (nel 1994 erano inferiori al livello del 1990 nella misura del 10%). Ciò è dovuto, in parte, alla ristrutturazione industriale e alla diminuzione dell'utilizzo di lignite negli Stati dell'Est. Si tratta di soluzioni adottate all'interno del più generale piano per il clima, che include, inoltre, un buon numero di provvedimenti per migliorare l'efficienza energetica negli edifici e anche una legge per l'alimentazione elettrica che concede ai produttori di energia da fonti rinnovabili il diritto di vendere elettricità agli utenti a prezzi molto generosi. Per questo, nel 1994, la Germania ha installato più turbine eoliche di qualsiasi altra nazione. A fianco di questi provvedimenti va anche considerata l'influenza delle elevate tasse imposte sull'energia. In virtù di questa sua politica ambientale la Germania ha preannunciato, nel marzo 1995, durante la Conferenza delle parti per la Convenzione quadro sul cambiamento del clima, svoltasi a Berlino, che entro il 2005 ridurrà nella misura del 30% il livello di emissioni di carbonio rispetto ai valori del 1990. In confronto a quella tedesca, la politica ambientale degli Stati Uniti, che hanno il primato nella emissione di carbonio (1371 milioni di t) è risultata molto blanda. Il piano d'azione varato nel 1993, include 50 provvedimenti, principalmente di associazioni volontarie pubblico-private, volte a promuovere l'efficienza energetica, a commercializzare le tecnologie per l'energia rinnovabile e a incoraggiare il rimboschimento. Di conseguenza circa due terzi delle riduzioni di emissioni previste dal piano statunitense dipendono da programmi volontari e nemmeno se drasticamente imposti essi raggiungerebbero gli obiettivi fissati. Il Giappone, che è al quarto posto mondiale nelle emissioni di carbonio, ha attuato una politica ambientale simile a quella degli USA, avendo affidato ad associazioni volontarie gli sforzi per l'efficienza energetica. Tuttavia, le aziende elettriche giapponesi intendono incrementare l'uso di carbone e le tecnologie per le energie rinnovabili ricevono dal governo solo modesti aiuti e, quindi, è solo a causa del ristagno dell'economia nazionale e del trasferimento oltremare delle aziende che si è riusciti a stabilizzare il livello delle emissioni a quello del 1990. § Gli esempi più meritevoli di politica climatica pervengono da tre piccoli Paesi: Danimarca, Paesi Bassi, Svizzera. La Danimarca ha varato il suo piano ambientale per ridurre, nei primi anni del Duemila, le emissioni di carbonio del 20% rispetto al livello del 1988; i Paesi Bassi si sono proposti di eliminare il 5% delle emissioni nel Duemila, mentre la Svizzera ha previsto un concreto impegno in perfetto accordo con le industrie. Obiettivo primario per tutti gli Stati è lo sviluppo e lo sfruttamento di energie alternative ai combustibili fossili che non alterino il clima. Diverse fonti di energia solare (l'energia eolica, le celle solari fotovoltaiche, gli impianti solari e termici) hanno raggiunto ottimi livelli tecnologici che hanno favorito la diminuzione rapida dei loro costi. Sebbene l'energia generata dai diversi tipi di impianti solari sia minima in rapporto a quella prodotta con i combustibili fossili – l'energia eolica fornisce meno dello 0,1% dell'elettricità mondiale – gli elevati tassi di crescita che le energie alternative fanno registrare alimentano speranze incoraggianti. L'aumento della produzione di energia eolica del 1994 per esempio, (660 megawatt), porta il totale da 3050 a 3710 megawatt, vale a dire un'espansione annuale del 22%. Allo stesso tempo, la produzione di chip fotovoltaici al silicio, che producono direttamente elettricità dalla luce solare, è aumentata di oltre il 50% tra il 1990 e il 1994. In Italia la fonte di energia alternativa più matura è quella eolica, ma questo grado di maturità, è assolutamente risibile se rapportato a livello internazionale: i 23 megawatt installati alla fine del 1995 non reggono il confronto con i 1770 degli Stati Uniti, i 1137 della Germania, i 630 della Danimarca, i 250 dei Paesi Bassi, i 193 della Gran Bretagna. Nel tentativo di colmare questo divario, il Ministero dell'Ambiente ha sviluppato un progetto organico: alla fine del febbraio 1997 sono stati inaugurati i primi tre tetti fotovoltaici, altri dieci tetti sono poi stati sperimentati in Puglia e se i risultati di tali esperimenti limitati risulteranno positivi si procederà all'applicazione di altri 10.000 tetti. Al di là dello sviluppo di fonti di energia alternativa, la frontiera più avanzata della lotta all'inquinamento è rappresentata dai progetti di sviluppo realizzati nell'ambito dell'obiettivo delle emissioni zero. Lo studio di queste opportunità, affrontate all'interno dell'Università delle Nazioni Unite di Tōkyō (Zero Emission Research Initiative), tende a verificare le modalità attraverso le quali la produzione possa utilizzare completamente tutti i componenti in essa immessi, secondo la regola che, del resto, guida ogni ecosistema, ove ciascun elemento ha una sua funzione e il concetto di “rifiuto” è privo di significato. Nel 2002 si è tenuto a Johannesburg un Summit internazionale sullo sviluppo sostenibile, all'interno del quale si è trattato anche di inquinamento. Tra gli obiettivi fissati dai 189 Paesi partecipanti: minimizzazione degli impatti delle sostanze chimiche pericolose per l'ambiente e per la salute entro il 2020, incremento della produzione di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili e sostegno alle tecnologie a basso impatto ambientale, anche mediante la progressiva eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili. Si è svolto a Los Angeles, in California, il Globate Climate Summit 2, organizzato dall'ONU nell'ottobre del 2009. Obiettivi del convegno: stimolare gli sforzi di cooperazione da parte dei governi subnazionali a mettere in atto strategie che possano agevolare la crescita di un'economia verde, incrementare l'uso sostenibile di energia pulita, ridurre la dipendenza dal petrolio e le emissioni di gas a effetto serra a sostegno dell'accordo globale sui cambiamenti climatici, permettere investimenti a favore delle tecnologie, dell'ambiente e della ricerca. Nel dicembre dello stesso anno a Copenaghen, in Danimarca, si è tenuta la Conferenza delle Parti dell'ONU sui cambiamenti climatici, che ha riunito i delegati di 192 stati del mondo. Il dibattito, incentrato soprattutto sul riscaldamento globale e l'emissione di gas serra, era finalizzato a trovare un accordo sulla riduzione di emissioni di anidride carbonica e ad affrontare in generale le gravi conseguenze dell'inquinamento sull'ambiente. La Conferenza si è conclusa con l'approvazione di un accordo sul principio che siano necessari tagli alle emissioni di gas serra come sostenuto dalla comunità scientifica; il riconoscimento dell'importanza di un supporto finanziario allo sviluppo di tecnologie a basse emissioni, principalmente nei Paesi in via di sviluppo; la necessità di riduzione della deforestazione e del degrado del patrimonio forestale con l'ausilio di specifici programmi di finanziamento.

Diritto: generalità

L'inizio di una vera e propria legislazione contro l'inquinamento viene fatto risalire in Italia al 1966, quando con legge 13 luglio, n. 615, si è incominciato ad affrontare il problema dell'inquinamento atmosferico. A questo punto, la normativa, che fino a quel momento era considerata come un'applicazione, una specificazione del diritto alla salute riconosciuto dall'art. 32 della Costituzione, e quindi di un diritto soggettivo dell'individuo, si è allargata a “tutela dell'ambiente”. Le leggi sull'inquinamento sono così venute a interferire con varie altre discipline che a questa tutela si riferiscono, quali, per esempio, l'urbanistica e l'edilizia e a interagire con la regolamentazione di quei settori economici (come l'agricoltura e la pesca) che dal degrado dell'ambiente subiscono i danni maggiori. Divenendo l'ambiente oggetto diretto di tutela, le norme contro l'inquinamento si sono specificate in norme a tutela delle acque (inquinamento idrico), norme a tutela dell'aria (inquinamento atmosferico) e norme a tutela del suolo. Tutta questa complessa disciplina che comporta, per essere attuata, anche la trasformazione di impianti, sia civili sia industriali, sorti in epoca in cui tale normativa non era ancora stata adottata, porta come conseguenza anche la regolamentazione di chi debba assumersi gli oneri relativi. Come criterio fondamentale, si è stabilito che l'inquinamento, di qualsiasi natura sia o da qualunque soggetto provenga, non è consentito ed è a carico di chi inquina l'onere di provvedere a che ciò non avvenga, ossia alla depurazione. Quando, come nel caso per esempio delle pubbliche fognature, la depurazione avviene attraverso delle strutture pubbliche, questo servizio deve essere, dal soggetto inquinante, pagato.

Diritto: inquinamento atmosferico

La disciplina organica è stata emanata con legge 13 luglio 1966, n. 615. In essa si sono adottati provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico, suddividendo il territorio nazionale in due zone di controllo, adottando norme particolari per l'esercizio di quegli impianti, termici e industriali, particolarmente inquinanti l'atmosfera e anche contro i mezzi motorizzati, quando impianti e mezzi diano luogo a esalazioni tali da alterare le “normali” condizioni di salubrità dell'aria e, quindi, costituire pregiudizio “diretto o indiretto” per la salute dei cittadini. Anche in questo settore, con esclusione dell'inquinamento da “scarichi veicolari”, l'art. 101 del D.P.R. n. 616, ha trasferito alle Regioni le relative funzioni amministrative statali. È da sottolineare, poi, il fatto che lo stesso art. 101 ha trasferito alle Regioni anche le funzioni che riguardano il controllo e la prevenzione dell'inquinamento acustico, prodotto da sorgenti fisse o mobili, “se correlate a servizi, opere e attività trasferite alle Regioni”. Nonostante il trasferimento di competenza, numerose sono le disposizioni introdotte sia a livello nazionale sia comunitario, come il D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, emanato in attuazione delle direttive CEE n. 80/779, 82/884, 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell'aria e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali. La legge 29 ottobre 1987, n. 441, ha conferito al ministro dell'Ambiente il potere di definire i criteri per l'elaborazione e la predisposizione dei piani di smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Inoltre, prima il decreto ministeriale del 23 ottobre 1998 e poi quello del 21 aprile 1999 (n. 163), entrambi firmati dai ministri dell'Ambiente e della Sanità, visto l'aumento delle concentrazioni di sostanze inquinanti nell'aria altamente pericolose per la salute pubblica (fra cui benzene, idrocarburi policiclici aromatici, ossidi di azoto e monossido di carbonio) dovute anche alla circolazione dei veicoli nei centri urbani, hanno conferito maggiori poteri ai sindaci delle città con oltre 150.000 ab. e a quelli dei comuni considerati aree a rischio per limitare la circolazione dei veicoli motorizzati. In base a queste disposizioni, i Comuni, quale misura preventiva, possono vietare la circolazione nei centri abitati per tutti gli autoveicoli che non abbiano effettuato il controllo almeno annuale delle emissioni. I sindaci devono disporre, entro il 1° febbraio di ogni anno, dopo un attento monitoraggio della qualità dell'aria, le misure programmate, permanenti o periodiche, di limitazione o divieto della circolazione con un piano preciso che indichi fasce orarie, giornaliere e, nei periodi più critici, la circolazione dei soli veicoli elettrici e a gas. La legislazione italiana relativa all'inquinamento atmosferico si è arricchita alla fine degli anni Novanta con il recepimento delle direttive comunitarie 96/62/CE, in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente (decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351), e 96/61/CE, relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento (decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 372). Il 17 dicembre del 2008 l'UE ha approvato una strategia integrata in materia di energia e cambiamenti climatici che fissa obiettivi ambiziosi per il 2020. Finalità delle nuove misure - comunemente note come “Pacchetto 20-20-20” - è di orientare l'Europa verso un futuro sostenibile, sviluppando un'economia a basse emissioni di CO2 e improntata all'efficienza energetica. Gli obiettivi fissati al 2020 prevedono: ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra, portare al 20% il risparmio energetico e aumentare al 20% il consumo di fonti rinnovabili. Il pacchetto comprende provvedimenti sul sistema di scambio di quote di emissione e sui limiti alle emissioni delle automobili.

Diritto: inquinamento idrico

La normativa a tutela delle acque ha avuto inizio, in primo luogo, con la disciplina della “biodegradabilità dei detergenti sintetici” (legge 3 marzo 1971, n. 125). L'uso indiscriminato di detersivi per la pulizia, non biodegradabili, ossia non atti a subire una degradazione biologica, aveva determinato una situazione insostenibile di inquinamento delle acque pubbliche. Il divieto di produrre e porre in commercio detersivi e detergenti sintetici non biodegradabili almeno all'80% ha dato inizio a una presa di posizione seria di fronte al problema dell'inquinamento delle acque. Ma sono dovuti passare altri cinque anni prima di riuscire, da una parte, a disciplinare gli scarichi nelle acque marittime, dall'altra, a emanare una completa disciplina a tutela di tutte le acque dall'inquinamento. La legge 16 aprile 1976, n. 126 (Disciplina degli scarichi nelle acque marittime) ha subordinato ad autorizzazione del Ministero dei Trasporti e della Navigazione gli scarichi nelle acque marittime da qualsiasi parte provenienti, servizi pubblici, insediamenti civili o industriali. Più che una vera e propria “disciplina”, è stata prevista una forma di controllo sugli scarichi nelle acque marine, sia preventivo, con il rilascio dell'autorizzazione, sia successivo a opera delle capitanerie di porto. Una disciplina organica si è avuta con la legge 10 maggio 1976, n. 319 (Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento). È una disciplina complessa, più volte modificata e integrata con legge 24 dicembre 1979, n. 650 (e, ca. la biodegradabilità dei detergenti sintetici, con la legge 26 aprile 1983, n. 136). Particolari difficoltà e resistenze si sono incontrate nella sua applicazione, soprattutto per quanto concerne non tanto i nuovi insediamenti quanto i vecchi, che dovevano essere adattati alle nuove esigenze antinquinanti. Più volte i termini di applicazione della legge sono stati rinviati (con decreto legge 10 agosto 1976, n. 544, con decreto legge 24 settembre 1979, n. 467). La legge n. 319, cosiddetta “Merli”, disciplina ogni tipo di scarico, sia pubblico sia privato, sia diretto sia indiretto, in qualunque tipo di acque, superficiali o sotterranee, marine o interne, pubbliche o private, in fognature, nel suolo o nel sottosuolo. Le competenze in ordine a questo problema sono state ripartite fra lo Stato e le Regioni e l'esercizio delle funzioni statali è stato affidato a un apposito comitato interministeriale che ha già provveduto all'emanazione delle norme regolamentari che gli competono, in particolare i criteri, le metodologie e le norme tecniche per l'attuazione della legge stessa. Allo Stato competono funzioni di indirizzo, di promozione, di coordinamento e, in particolare, la redazione di un “piano generale di risanamento delle acque” sulla base di piani predisposti dalle Regioni. Per quanto riguarda le competenze regionali, il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, agli art. 101 e seguenti, ha stabilito il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato in ordine all'igiene del suolo e all'inquinamento; si sono così volute coinvolgere direttamente le Regioni, in particolare nell'esercizio dei controlli e nella programmazione degli interventi di conservazione e depurazione delle acque. Con la legge 2 maggio 1983, n. 305, l'Italia ha finalmente ratificato la convenzione internazionale (già aperta alla firma sin dal 29 dicembre 1972) sulla prevenzione dell'inquinamento marino causato dagli scarichi di rifiuti e altre materie.Con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 sono state trasferite alle Regioni e agli enti locali molte funzioni e compiti amministrativi, relativi alla tutela dell'ambiente dall'inquinamento, fino a quel momento riservati allo Stato; tra le funzioni trasferite ci sono la determinazione delle priorità dell'azione ambientale, il coordinamento degli interventi ambientali e la protezione ed osservazione delle zone costiere. Con il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 è stata introdotta la nuova normativa sulla tutela delle acque dall'inquinamento ed è stata abrogata la citata “legge Merli” del 1976. Il decreto n. 152 recepisce due direttive comunitarie: la direttiva 91/271/CEE (sul trattamento delle acque reflue urbane) e la direttiva 91/676/CEE (sulla protezione dai nitrati provenienti da fonti agricole); al fine della tutela e del risanamento delle acque superficiali e sotterranee vengono fissati “obiettivi minimi di qualità ambientale” per i corpi idrici significativi (per esempio laghi, fiumi, canali artificiali) e “obiettivi di qualità per specifica destinazione” per le acque destinate alla produzione di acqua potabile, alla balneazione, alla vita dei pesci e dei molluschi, da garantirsi su tutto il territorio nazionale. Le Regioni possono comunque definire obiettivi di qualità ambientale più elevati rispetto a quelli fissati a livello nazionale, nonché individuare ulteriori destinazioni dei corpi idrici e relativi obiettivi di qualità. Un apposito piano di tutela provvede al coordinamento degli obiettivi di qualità ambientale con i diversi obiettivi di qualità per specifica destinazione. Le nuove norme del 1999 disciplinano, inoltre, gli scarichi nel loro complesso (sul suolo, nel sottosuolo, nelle acque sotterranee e superficiali, nelle reti fognarie), anche di sostanze pericolose, individuando le autorizzazioni necessarie per gli scarichi stessi e definendo i controlli e le sanzioni in caso di inosservanza della legge.

Diritto: inquinamento del suolo

La disciplina organica per la difesa del suolo è stata emanata con legge 18 maggio 1989, n. 183. In essa sono stati individuati i soggetti preposti alla salvaguardia del suolo dalle differenti possibili fonti di inquinamento e sono stati definiti gli strumenti da utilizzare in caso di necessità. Con il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 è stata recepita nel nostro ordinamento la direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura. L'importanza della tutela dell'ambiente dall'inquinamento ha fatto sì che il problema fosse affrontato dal legislatore, a partire dagli anni Novanta, nel suo complesso e quindi con provvedimenti di carattere generale finalizzati alla difesa dell'ecosistema e della salute pubblica (legge 6 dicembre 1991, n. 394 per l'istituzione e la gestione delle aree protette, legge 28 dicembre 1993, n. 549 per la tutela dell'ozono stratosferico e dell'ambiente, legge 9 dicembre 1998, n. 426 e legge 23 marzo 2001, n. 93).

Bibliografia

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