Lessico

sm. [sec. XII; latino genus-ĕris].

1) In logica, la classe che ha maggior estensione. Aristotele lo definisce “ciò che si predica essenzialmente di molti che differiscono specificamente”. Pertanto il genere si pone estensivamente sopra la specie e questa sopra l'individuo. § In particolare, in zoologia e botanica, unità tassonomica in cui vengono riunite più specie aventi caratteri comuni. Il genere è compreso tra la specie e la famiglia; viene indicato con un sostantivo latino scritto con l'iniziale maiuscola. (per esempio Felis, Rosa, Brassica, ecc.).

2) Ordine o denominazione sotto cui si comprendono più cose o individui aventi caratteristiche comuni: è un genere di cose che non mi interessa; c'erano persone di ogni genere; cosa bella nel suo genere; del genere, simile: non ho mai sentito una cosa del genere; non è del mio o il mio genere, non è il mio tipo, non è adatto a me; in genere, generalmente, per lo più: in genere non compero a scatola chiusa; di genere, di pittura (o di opera letteraria) che ritrae scene ed episodi realistici della vita quotidiana. In particolare, nella stilistica letteraria, raggruppamento di opere d'arte simili tra loro nel contenuto e nello stile e che appartengono a una medesima tradizione letteraria: il genere epico, drammatico.

3) Categoria grammaticale per cui nomi, aggettivi, pronomi e alcuni numerali assumono forme diverse per indicare il maschile e il femminile.

4) Merce, prodotto (usato per lo più al pl.): generi alimentari.

5) In topologia, genere di un poliedro, chiuso e non intrecciato, è il numero intero, p, soddisfacente la relazione 2–2p=F–S+V, essendo F, S, V, rispettivamente, il numero delle facce, degli spigoli e dei vertici del poliedro. La caratteristica di Eulero-Poincaré è una generalizzazione del genere. Per p=0 si ha la formula di Eulero, cui soddisfano i poliedri regolari. In geometria, per genere di una curva, vedi curva.

Grammatica

Il genere maschile e quello femminile sono in italiano distinti o da una diversa desinenza (figlio, figlia), o da un diverso suffisso (benefattore, benefattrice) o da vocaboli completamente diversi (uomo, donna). Si dicono di genere comune o ambigeneri i nomi che si distinguono al maschile e al femminile solo per il diverso articolo (il nipote, la nipote); promiscui o epiceni sono detti invece i nomi che hanno un solo genere grammaticale; per questi ultimi la distinzione del sesso viene espressa, quando occorre, facendo seguire al nome la parola “maschio” o “femmina” (pantera maschio, pantera femmina). La maggior parte delle lingue indeuropee antiche (latino, greco, sanscrito, ecc.) ha però anche il genere neutro per gli esseri e le cose che non sono né maschili né femminili; questo genere è rimasto ancora vivo in tedesco, in russo e in altre lingue. Già fin da epoca antica l'armeno ha perso la distinzione del genere grammaticale, come è avvenuto sostanzialmente in inglese moderno a eccezione dei pronomi, mentre l'inglese antico possedeva i tre generi grammaticali.

Letteratura

Il concetto di genere letterario risale al periodo greco: Platone introdusse le prime distinzioni tra genere mimetico o drammatico (tragedia, commedia), narrativo (ditirambo, nomo) e misto (epopea). Prendendo spunto dalla classificazione platonica, Aristotele tracciò la bipartizione in drammatica e narrativa e indicò nella tragedia, caratterizzata dall'unità d'azione e culminante nella catarsi, la più alta espressione letteraria. Nell'età alessandrina, sulle orme delle teorie aristoteliche, si sviluppò una minuta precettistica che, con Teofrasto, assunse le sue formulazioni più rigide e trovò la sua sanzione, in età romana, nell'Ars poetica, opera di Orazio e nell'Institutio oratoria scritta da Quintiliano. Nel Medioevo la dottrina dei generi letterari si assimilò con quella dei tre stili, umile (elegia), medio (commedia) e sublime (tragedia), mentre sorsero generi letterari nuovi, non classificabili secondo la vecchia precettistica, come la chanson de geste, la sacra rappresentazione, il poema romanzesco. Il Rinascimento italiano, nel fervore di studi seguito alla riscoperta della Poetica di Aristotele (1536), ritornò a una rigida classificazione dei generi: accanto all'unità d'azione furono postulate l'unità di tempo (Scaligero) e l'unità di luogo (Castelvetro) e all'epica e alla drammatica si aggiunse la lirica. Alla fine del Cinquecento si avverte un'insofferenza verso l'eccessivo rigore assunto dalla teoria dei generi letterari: G. Bruno afferma con chiarezza, nei dialoghi Degli eroici furori, che “la poesia non nasce da le regole, se non per leggerissimo accidente, ma le regole derivano da la poesia”. Nel Seicento l'insofferenza diviene aperta ribellione contro ogni regola, in nome della sbrigliata libertà della fantasia; in Francia, però, l'affermazione alla corte del re Sole di un nuovo classicismo porta, con l'Art poétique, quattro canti di Boileau (1674), a una nuova, rigida formulazione della teoria dei generi letterari, che viene ripresa nell'età dell'Arcadia. Il romanticismo, che non tollera modelli prefissati ed esalta la libertà del genio poetico, mette in crisi il concetto di genere letterario, al quale si ritorna solo in clima positivistico, quando, in analogia con la dottrina darwiniana, si arriva a concepire il genere come un organismo vivente, che si sviluppa secondo proprie leggi (Brunetière). Nel Novecento, decisa è la polemica condotta dal Croce contro i generi letterari, relegati tra gli pseudoconcetti come strumenti di classificazione provvisoria ed empirica. Nonostante tale condanna, i generi sono stati usati dalla critica crociana come oggetto di studio storico, per analizzare l'opera di quegli autori che si inseriscono coscientemente nell'ambito di una particolare tradizione letteraria. Più di recente, la critica strutturalistica ha rivalutato la nozione di generi, in quanto consente la classificazione della letteratura non già secondo il tempo e il luogo, ma secondo certi tipi di organizzazione e di struttura specificamente letterari. Il critico anglosassone N. Frye, in particolare, ha ricondotto ogni manifestazione letteraria a un complesso schema di generi (i miti della generazione e della morte, i ritmi della vita e del sogno, le alternanze delle stagioni), alla base dei quali sono facilmente riconoscibili gli archetipi di Jung.

Bibliografia

Per la letteratura

M. Fubini, Critica e poesia, Bari, 1956; R. Wellek, A. Warren, Teoria della letteratura e metodologia dello studio letterario, Bologna, 1956; R. Wellek, Storia della critica moderna (1750-1950), Bologna, 1958 e seg.; N. Frye, Anatomia della critica, Torino, 1969; A. F. Sprani, La letteratura dei generi, i generi della letteratura, Milano, 1987.

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