Lessico

(ant. sagro), agg. e sm. [sec. XIV; dal latino sacer sacri].

1) Agg., che appartiene o si riferisce alla divinità, che riguarda il culto della divinità, che è consacrato a Dio o agli dei: luogo sacro; i paramenti sacri; il sacro fonte, il fonte battesimale; i sacri bronzi, le campane; sacri palazzi, quelli destinati alla residenza del papa; la Sacra Famiglia, Gesù, Giuseppe e Maria; sacro fuoco, quello che, nelle religioni pagane, veniva tenuto sempre acceso in onore della divinità; fig., ardore, entusiasmo, zelo ardente per qualche cosa: animato dal sacro fuoco dell'arte. In particolare, che è di argomento religioso: avviso sacro; Libri sacri, Sacre Scritture, l'Antico e il Nuovo Testamento, la Bibbia; musica sacra; arte sacra, che tratta soggetti religiosi; sacre rappresentazioni, opere del teatro religioso del Medioevo (misteri) che ebbero modo di manifestarsi fin dal sec. VII a Bisanzio e che si svolsero più ampiamente in Europa nei sec. XII-XVI; guerra sacra, fatta per motivi religiosi.

2) Che ispira profondo rispetto, che è degno di venerazione: la persona del giudice è sacra; per gli antichi l'ospite era sacro; essere pervaso da sacro timore, da un timore quasi religioso. In particolare, inviolabile: un sacro diritto dei lavoratori. Per estensione, consacrato, dedicato: il Piave è un fiume sacro alla patria. Ant., esecrando: “o sacra fame / dell'oro” (Dante).

3) Sm., tutto ciò che rientra nella sfera della divinità e della religione, in contrapposizione a “profano”.

Religione ed etnologia

Il sacro è una categoria religiosa d'importanza tale che la sua stessa definizione può distinguere o accomunare i diversi indirizzi di studi. Una prima via esegetica è stata aperta dall'antropologia britannica mediante l'identificazione del sacro con il tabu. Una seconda via è stata aperta dall'irrazionalismo germanico con la concezione di un numinoso trascendente e assoluto, di cui il sacro sarebbe la definizione storica e relativa alle realtà umane; in tale funzione connotativa R. Otto (Das Heilige, 1917) ha accomunato al latino sacer, il greco hagios e l'ebraico qādosch. Quel “numinoso”, fonte di sentimenti (fascino e paura, timore e venerazione), ha trovato un riscontro nel filone antropologico con il concetto di mana, “forza impersonale”, così che tabu e mana sono stati connessi in una sintesi fenomenica del seguente tipo: tabu designa ciò che è provvisto di (troppo) . Questa sintesi, in formulazioni più articolate, costituisce il fondamento dell'indirizzo fenomenologico in storia delle religioni, per il quale la ricerca si riduce sostanzialmente a individuare le manifestazioni sacrali (ierofanie) e l'atteggiamento umano di fronte a queste manifestazioni (le formazioni religiose storiche), ponendo perciò al di là della storia, e della ricerca storica, la sostanza sacrale che si manifesta (Eliade). Si deve alla scuola sociologica francese (Durkheim, Hubert, Mauss) un indirizzo esegetico completamente diverso: sacro viene relativizzato a profano, e il suo valore si desume dalla dialettica sacro/profano da cui si fa dipendere ogni formazione religiosa. Nella formula della scuola sociologica francese l'atteggiamento dell'uomo nei riguardi del sacro è determinato dalla posizione dell'individuo privato (con un campo d'azione profana) nei riguardi della società che, come tale, trascende il campo d'azione privato. È una formula che ripete inconsciamente la connessione dei termini “sacro”, “profano”, “pubblico” e “privato”, fornita dalla cultura romana, e contenibile nella seguente proporzione: sacro/profano=pubblico/privato. Proprio per questo essa è valida soltanto per la cultura romana, o anche per la nostra cultura nei limiti in cui questa dipende da quella. Vale a dire, non necessariamente la società (o quel che per i Romani era la “cosa pubblica”) si pone come “sacralità” trascendente al campo d'azione individuale; tanto che i Romani costituiscono un caso sui generis: la trascendenza del “collettivo” rispetto “all'individuale” era contrassegnata presso di loro dal fatto che il sacro veniva considerato tale soltanto per decisione di una pubblica assemblea. Nelle altre culture non è possibile trovare una simile connessione tra un “civico” (individuato dalla dialettica pubblico/privato) e un “religioso” (individuato dalla dialettica sacro/profano); anzi non è neppure possibile individuare un “civico” alla maniera romana. Quel che resta nelle altre culture (e religioni) è la dialettica sacro/profano in cui il sacro ha una duplice funzione, positiva e negativa (donde la cosiddetta “ambivalenza del sacro” su cui c'è tutta una letteratura fenomenologica). La positiva è quella di connotare quanto non va mutato (istituzioni) o è ritenuto immutabile per natura (cicli temporali e ambiente) per fornire un orientamento fisso nel divenire storico ritenuto arbitrario e disorientante (ma essa è negativa rispetto al vivere responsabilmente nella storia, o all'esplicazione di una volontà illimitata). La negativa è quella di concentrare il metastorico in persone (operatori sacrali), in tempi (feste) e in luoghi (templi, sacrari, ecc.) definiti sacri, liberando il resto (le altre persone, il resto del tempo e dello spazio) alle attività profane (ma è positiva per quel che concerne l'effetto liberatorio). Nel secolo XX studi antropologici hanno messo in discussione il carattere di categoria autonoma e autoesplicativa del sacro: secondo R. Rappaport il sacro può essere considerato il risultato di un processo di sacralizzazione/desacralizzazione cioè di una costruzione culturale, questo senza però trascurare l'importanza del sacro nel dare un senso alla vita di individui e comunità.

Musica

Sono dette sacre sia le forme musicali di soggetto spirituale (in opposizione a musica profana), sia le forme specifiche destinate ai vari culti religiosi: nella prima categoria sono comprese tutte le composizioni basate su testi spirituali, originali o manipolati, quali la lauda, la sacra rappresentazione, l'oratorio, la cantata sacra e tutti i generi analoghi; la seconda comprende più propriamente i generi destinati all'esecuzione durante le cerimonie liturgiche, come la messa (nelle sue parti di proprio e ordinario), i mottetti, i salmi, ecc., il corale protestante, l'anthem anglicano. Nella civiltà occidentale, la musica sacra dette origine, nel Medioevo, alla teoria modale (a sua volta poggiata sul sistema musicale greco), che è alla base di tutta la serie di sviluppi che condussero alla polifonia, alla tonalità, all'armonia modernamente intesa: da un canto meramente monodico (il gregoriano) si passò, infatti, a forme sempre più elaborate di canto a più voci (scuola di Notre-Dame, scuola fiamminga, polifonia cinquecentesca), anche con accompagnamento di strumenti (basti citare Gabrieli e Monteverdi), per giungere, dopo l'esperienza settecentesca, ai grandi capolavori romantici e postromantici in cui il testo sacro fu trattato in imponenti affreschi sinfonico-vocali (basti ricordare la Messa, o il Requiem, affrontati da numerosi musicisti, da Haydn a Mozart, a Beethoven, da Berlioz a Liszt, a Verdi). Nel campo specifico della musica a uso della Chiesa si è assistito a una progressiva contaminazione tra musica sacra in senso rigoroso e composizioni in origine scritte a scopo non liturgico; questo perché, segnatamente nella Chiesa cattolica, dopo il Rinascimento non si riuscì più a individuare un valido veicolo di comunicazione con i fedeli (come avvenne invece presso i protestanti, con il corale): donde la continua oscillazione tra l'imposizione rigoristica di strutture linguistiche desuete e impossibilitate a qualsiasi tipo di rinnovamento e di evoluzione (il canto gregoriano, la polifonia “in stile antico” o “alla Palestrina”) e l'acquiescente accoglimento di modi e forme di chiara impronta profana (con particolare riferimento al melodramma). La crisi si è aggravata in seguito con l'abolizione del latino come lingua liturgica: la sostanziale messa fuori gioco del repertorio tradizionale ha posto in tutta la sua urgenza la necessità dell'elaborazione di un nuovo stile musicale liturgico e ha sollecitato una radicale revisione dello stesso concetto di musica sacra.

Teatro: la sacra rappresentazione

Sviluppatasi in seno alla Chiesa e portata nel popolo a opera di confraternite, la sacra rappresentazione ha caratteristiche analoghe in tutta la cristianità e ha influenzato anche il teatro profano, di origine classica, per le stesse tendenze a un realismo popolaresco ispirato dalle nuove classi sociali. Le cerimonie del culto cristiano, pubbliche dal sec. IV in poi, portavano in sé in embrione elementi drammatici: lo stesso simbolo di molte celebrazioni (fra cui quelle solenni del Natale e della Pasqua) induceva a esporre drammaticamente sia la vicenda terrena di Gesù e dei santi, sia la storia della stessa umanità dalla creazione in poi. Si è citato l'antico Uffizio canonico delle Ore modificatosi e unificato con l'Uffizio Romano. La salmodia in coro (Antiphona, con due cori alternati, verso per verso) porta a un nuovo carattere della liturgia romana dei sec. VIII e IX. Essa aveva atteggiamenti drammatici nella rievocazione della vita di Cristo, della Madonna e dei santi. I tropi dialogici (inseriti fra le parole dell'Uffizio) sono in germe elemento di dramma: esemplare è il Quem queritis?, come introduzione all'Introito nella messa di Pasqua (codice dell'Abbazia di S. Marziale a Limoges). È un vero spunto di rappresentazione drammatica (scena delle Donne al sepolcro di Cristo). In relazione con le Scholae cantorum di Roma anche la Schola di S. Gallo (in Svizzera) apportò aggiunte al testo liturgico con tropi e influenzò tutta Europa. Dal più antico codice conservato (sec. X, a S. Gallo) si perviene a precedenti tropi: e ancora più antico è quanto si trova nei codici di Montecassino, sec. XI o XII; è del XII il più antico testo della Passione del medesimo monastero. Si prolunga così il servizio divino con un'azione scenica: essa si svolge in Italia in relazione alla lauda volgare, che, fatta dialogica, diventa drammatica e passa quindi alla vera fase di una sacra rappresentazione. Più liberamente si svolge il teatro religioso fuori d'Italia, sempre in relazione alla liturgia della Chiesa. In modo particolare va citato con G. Contini il primo contributo che si trova a Bisanzio, con larga influenza dello stesso mondo drammatico greco antico: attribuita a San Germano di Costantinopoli (634-ca. 733) si ricorda l'Omelia per l'Annunciazione della Santissima Madre di Dio, e così di Ignazio Diacoli si citano i versi per Adamo in un piccolo dialogo per le sacre rappresentazioni di S. Sofia, e, inoltre, di autore incerto, nutrito di cultura classica, una Passione di Cristo, non priva di accenti sinceri, anche se è un centone cristiano-ellenico desunto da Eschilo, Licofrone, Euripide. È da notare l'influsso del teatro latino medievale sulla produzione drammatica sacra, specialmente in Francia; famosa è l'alternanza del latino e del francese nello Sponsus (Lo sposo), che ha appunto titolo latino, di anonimo, forse della prima metà del sec. XII. Il più antico testo in volgare d'Occidente, e di anonimo, rimane il Mistero d'Adamo, in francese (dei primi decenni del sec. XII), con schietti elementi clericali nel dramma. Si inizia la serie dei “misteri” (nel valore di macchina scenica, da ministerium, e anche di “servizio divino” o di vero e proprio mistero della fede). Sempre in Francia (che ha visto lo svolgersi del genere teatrale sacro fino alla metà del sec. XVI con la sua degenerazione) si citano: di Jean Bodel (m. 1210) il Miracolo di San Nicola, la prima opera firmata in volgare in Occidente, con elementi realistici ispirati a basse classi sociali; Cortese di Arras, di anonimo (sec. XIII), sulla storia del Figliuol Prodigo che ha avuto tanta fortuna; e dello stesso secolo: il Miracolo della Badessa incinta, di anonimo (della raccolta dei Miracles de Notre-Dame) e la Passione del Palatino (con le scene del mercato di Giuda, del Fabbro e di sua moglie per i chiodi della croce, e con la Resurrezione e il mercante di aromi). Ma in particolare si ricorda il Miracolo di Teofilo, di Rutebeuf (sec. XIII) per la problematicità della condanna o della salvezza del peccatore e per la personalità complessa dell'autore. In provenzale (nel sud della Francia) due opere anonime del sec. XIII si lodano per la loro vivacità di espressione: la Passion Didot (con la leggenda di Giuda) e il Miracolo di Sant'Agnese. Per la Spagna il Mistero dei Re Magi (in un frammento, forse del sec. XII); per la Polonia un Pianto della Madonna (non posteriore a tale secolo) e altre opere anonime (del sec. XIII); per la Germania anonimi componimenti drammatici, collegati col mondo latino fin nei titoli, per esempio con la Visitatio sepulcri in nocte Resurrectionis (Mistero pasquale di Erlau), mostrano la persistenza di un tema ispirato con la liturgia. Per l'Italia, in collegamento con l'eremita Ranieri Fasani e i flagellanti di Perugia (1259), si hanno laudi drammatiche nei sec. XIII-XIV: anonimi il Contrasto del Povero e del Ricco, L'Anticristo e il Giudizio finale, il Miracolo di Bolsena e la Discesa di Gesù all'Inferno; di Iacopone da Todi il Pianto della Madonna. Poliziano usò la struttura della sacra rappresentazione per un testo d'argomento classico, pagano, la Favola d'Orfeo (1480). A Firenze la sacra rappresentazione trovò terreno fertile, oltre che per la propria nobilitazione letteraria (ma alla forbitezza dei versi di certi scrittori si può anche preferire il soave misticismo di taluni anonimi, magari più arcaici), per la propria evoluzione spettacolare, cui concorsero tanto scene e costumi quanto musiche, canti e danze, insieme con gli elementi realistici e anche comici introdotti nei testi e un'ampia fioritura di motivi popolareschi (con la partecipazione di Lorenzo de' Medici con la Rappresentazione di San Giovanni e Paulo): degni di nota Feo Belcari, Rappresentazione di Abramo e Isacco e L'annunciazione; Castellano de' Castellani, Il Figliuol Prodigo e Sant'Onofrio, e, di anonimi, La Natività, La conversione di Maria Maddalena, La Resurrezione, Santa Margherita e il Miracolo dei Sette Dormienti. Con atteggiamenti romanzeschi e avventurosi si ricordano, di anonimi (sec. XV), La storia del Re Superbo e la Rappresentazione di Santa Oliva, e, nel teatro dialettale, di anonimo, La leggenda di San Tommaso, in abruzzese (e così nel sec. XVI Il Gelindo, in piemontese). In Francia fra il sec. XV e il XVI vi fu una grande produzione con Jean Michel, Mistero della Passione; Andrea della Vigna, Moralità del Cieco e dello Storpio; e con la macchinosa prolissa Passione dei fratelli Gréban. In Spagna si ebbero Juan del Encina, Passione e Resurrezione; Micael de Carvajal, La tragedia di Giuseppe; Juan de Timoneda, Auto (o sacra rappresentazione) della pecorella smarrita. Il Portogallo, con Gil Vicente, Trilogia delle Barche, e l'Inghilterra, con l'anonima Chiamata di Ognuno e altre rappresentazioni, recarono il loro contributo a un genere gradito al popolo (che lo rinnovava in riesumazioni liturgiche); anche la Croazia (sec. XV) ha una Passione del nostro Salvatore degna di ricordo. Nel complesso la sacra rappresentazione ha lasciato documenti storici e letterari di notevole interesse culturale e liturgico.

Per il teatro

C. Musumarra, La sacra rappresentazione della Natività nella tradizione italiana, Firenze, 1957; A. Fortini, La lauda in Assisi e le origini del teatro italiano, Firenze, 1961; P. Aebischer, Neuf études sur le théâtre en rond à la fin du Moyen Age, Parigi, 1973; M. Accarié, Le théâtre sacré à la fin du Moyen Age; étude sur le sens moral du mystère de la Passion de Jean Michel, Ginevra, 1979; H. Rey-Flaud, Pour une dramaturgie du Moyen Age, Parigi, 1980; C. Bernardi, La drammaturgia della settimana santa in Italia, Milano, 1991.

Per la religione

A.-J. Festugière, La sainteté, Parigi, 1949; M. Eliade, Das Heilige und das Profane, Amburgo, 1957; J. J. Altiber, M. Eliade and the dialectic of the sacred, Londra, 1963; R. Otto, Il sacro, Milano, 1966; M. Pisante, Il sacro e le religioni, Foggia, 1991.

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