Lessico

Sm. [sec. XIII; dal francese jardin].

1) Terreno recintato e curato dall'uomo, ricco di superfici erbose, piante e alberi, destinato ai giochi, alle passeggiate, ecc. Con significati particolari ed estensivi: giardino d'inverno, interno, protetto da una o più pareti vetrate; giardino botanico, sinonimo di orto botanico; giardino giapponese, riproduzione in miniatura, mediante impiego di piante nane, ghiaia, ecc., di un vero giardino; giardino magico, artificiale, formato da elementi finti che, mediante l'impiego di vernici speciali e opportuna illuminazione, dà vita a particolari effetti di luce; giardino zoologico, sinonimo di zoo; giardino pubblico, terreno più o meno vasto e con diversa ricchezza di vegetazione, aperto al pubblico e conservato a cura delle autorità comunali; giardini. d'infanzia, lo stesso che asili; giardino d'Epicuro, la scuola filosofica di Epicuro, così denominata nell'antichità perché egli soleva trattenersi in giardino con i suoi discepoli; giardino di acclimazione, dove si coltivano specie di piante di cui si vogliono studiare gli adattamenti alle condizioni ecologiche e climatiche del luogo; giardino alpino, situato in alta montagna e specializzato nella raccolta e nella coltivazione delle specie appartenenti alla flora alpina, a scopo di studio.

2) Fig., luogo, regione particolarmente amena e ridente: l'Italia era chiamata il giardino d'Europa; il giardino delle delizie, il paradiso terrestre, o, più in generale, luogo particolarmente ridente e suggestivo. Lett., viso o altre bellezze della donna amata.

3) Anche agg. inv., nella loc. città giardino.

Cenni storici: da Babilonia all'antichità classica

Famosissimi furono nell'antichità i giardini pensili di Babilonia, piantati, secondo la descrizione di Diodoro e Strabone, su colossali terrazze artificiali sorrette da pilastri e volte impermeabilizzate con asfalto. Erano considerati una delle meraviglie del mondo e da essi derivarono in parte i giardini-paradiso dei monarchi persiani, strappati al deserto con faticose opere di irrigazione e protetti dalla sabbia per mezzo di alte mura, in parte coltivati a fiori e alberi disposti con rigida simmetria, come i giardini assiri, e arricchiti da fontane e corsi d'acqua, in parte boscosi e selvaggi, costituenti riserva di caccia della corte. L'esistenza di giardini in Grecia è attestata già da Omero (quello di Alcinoo era coltivato a frutteto con vigna e orto); si distinguevano i giardini privati, orti e frutteti a impianto geometrico, e i giardini o boschetti sacri annessi ai santuari, ornati di rocce, grotte e corsi d'acqua; famosi, nel sec. VII a. C., i roseti del re Mida in Macedonia. Nella Grecia classica ed ellenistica, oltre ai giardini annessi alle case, erano numerosi quelli pubblici collegati a templi o ad altri edifici, ornati di portici, statue, fontane; famosi i giardini del Liceo e dell'Accademia di Atene in cui i filosofi insegnavano passeggiando. Vi erano inoltre i giardini funerari (kepotáphia). Nella Roma più antica l'hortus aveva anzitutto scopo pratico, ma già alla fine della Repubblica fu distinto dagli horti, parchi signorili in cui il topiarius, cioè il giardiniere, tagliava le piante secondo figure geometriche o anche umane e animali, sino a comporre scene di caccia o episodi mitologici. I giardini delle ville signorili avevano lunghi viali per passeggiate a piedi (ambulationes) o in lettiga (gestationes), portici coperti (porticus, xysti), esedre, fontane, tempietti. A Roma il Pincio era detto per antonomasia collis hortorum, l'Esquilino era stato bonificato da Mecenate per crearvi i suoi famosi giardini. A Pompei si sono trovati numerosi giardini (viridaria) annessi alle case (Casa di Loreio Tiburtino con giardini attraversato da un euripo e con alberi e pergolati disposti geometricamente). Immagini di giardini sono frequenti nella pittura romana (pitture della Villa di Livia a Prima Porta, oggi al Museo Nazionale Romano). Il giardino medievale, di cui sono fornite numerose descrizioni dalle fonti letterarie e che compare in pitture e miniature dell'epoca, era racchiuso entro i recinti dei chiostri religiosi o le cinte dei castelli, sempre diviso, comunque, dal paesaggio circostante per mezzo di muri.

Cenni storici: dal Rinascimento all'Ottocento

Nel Rinascimento lussuosi giardini vennero realizzati dai signori non solo nei palazzi urbani, ma anche nelle ville suburbane e di campagna. Gli apporti della scienza geometrica e della cultura razionalistica codificarono i caratteri fondamentalmente architettonici del futuro giardino all'italiana d'impianto simmetrico, in cui la successione di dislivelli e pendenze era sfruttata per ottenere effetti prospettici mediante terrazze, gradinate, rampe, fontane, catene e mostre d'acqua e per stabilire un legame visivo tra giardino, paesaggio e architetture. Il giardino così concepito divenne una delle più importanti espressioni dell'architettura cinquecentesca e in essa si esercitarono artisti come il Bramante (giardino del Belvedere in Vaticano), Raffaello (villa Madama, Roma), Vignola (ville Farnese, Caprarola), il Tribolo, il Buontalenti, Ligorio (fontane e giochi d'acqua di Villa d'Este, Tivoli, 1550-72). Nel Seicento e Settecento il giardino italiano ampliò la sua strutturazione architettonica sulla base della più dinamica spazialità barocca, confluendo nella nuova visione di A. Le Nôtre. Questi, architetto dei giardini di Luigi XIV, con Versailles e Vaux-le-Vicomte creò il giardino alla francese (poi imitato presso le maggiori corti europee: giardino di Potsdam, Nymphenburg, Schönbrunn, ecc.), trasportando quello all'italiana in un ambiente più vasto, fatto di prati, foreste, specchi d'acqua, con ampi viali ombrosi e spiazzi ornati di statue, di fontane e di grotte, destinati ad accogliere la folla dei cortigiani del re. Il giardino francese, aperto su una natura pianeggiante e meno movimentata di quella del giardino italiano, ne assunse in definitiva gli elementi architettonici essenziali trasferendo il senso dell'adesione al paesaggio in una aumentata spazialità prospettica. Una svolta si ebbe con la moda del giardino all'inglese, nato come reazione al giardino formale di stampo italiano e francese, la cui prima motivazione fu il ritorno al gusto della natura libera e del pittoresco propagatosi col neopalladianesimo e impostosi col romanticismo. A opera di scrittori come A. Pope e di un gruppo di architetti (W. Kent, L. Brown, H. Repton, R. Castell) e giardinieri (S. Switzer, J. C. Loudon) nacque e si diffuse in tutta Europa la moda del giardino paesaggistico. Nell'era dell'urbanesimo e della rivoluzione industriale il giardino divenne un problema sociale. Già nel 1833 i politici radicali della scuola utilitarista inglese introdussero il problema del “verde attrezzato”, mentre si realizzavano i primi esperimenti di parchi pubblici come il Birkenhead Park (1844-45) presso Liverpool, disegnato da J. Paxton. Sia lo spirito della scuola utilitarista sia l'opera di Loudon e di Paxton furono determinanti nella formazione di A. J. Dowing e di F. L. Olmsted, che con C. Vaux realizzò il Central Park di New York (dal 1857). Successivamente si aprì un discorso generale sull'uso razionale della natura, il cui studio, condotto su scala urbana, regionale e nazionale, abbracciò il problema attualissimo delle attrezzature verdi della metropoli contemporanea.

Cenni storici: sviluppo e tipologie in Oriente

Per quanto riguarda i giardini in Oriente, quello cinese, riservato a una strettissima élite, intende riprodurre una immagine amabile e pittoresca dell'impero nel suo insieme; molto importante la componente acquatica, carica di una folta schiera di simboli: i laghi e i canali serpeggiano attraverso tutta la composizione, dando luogo a leggeri ponti e a isolette su cui sorgono piccoli padiglioni. Il giardino giapponese è più luogo di meditazione che di svago. Nei templi buddhisti e shintoisti sono frequenti i kare-sansui (paesaggio arido), nei quali viene simbolicamente rappresentato il mare con ghiaietto bianco rastrellato a piccole onde; pietre di diversa forma e dimensione raffigurano le isole, cascate di rocce più alte sovrapposte l'una all'altra rappresentano le montagne (kare-sansui nel tempio Ryōan di Kyōto). Quanto ai giardini arabi, è probabile che i loro ideatori, specialmente durante le dinastie degli Omayyadi e degli Almoravidi di Spagna, unissero al gusto persiano per le aiuole a forma di tappeto le conoscenze tecniche in agronomia e idraulica dei Romani. I giardini sono direttamente inseriti nell'architettura delle residenze principesche tramite la sistemazione di piccoli patii: il padiglione del Generalife nell'Alhambra di Granada e i giardini dell'Alcázar di Siviglia ne sono gli esempi più significativi. I giardini persiani (chahār bāgh, “i quattro giardini”) esaltavano l'amore per il paesaggio e per il “paradiso” con fiori e piante disposti in elegante ordine geometrico intorno all'acqua. Lo schema base era costituito dall'incrocio di due canali d'acqua, che dividevano determinate superfici in riquadri, a loro volta suddivisi in otto parti, secondo il modello del perfetto giardino del Paradiso promesso ai fedeli nel Corano. I canali si riversavano in una vasca centrale, che misurava talvolta dieci cubiti per dieci (misura ideale prescritta per le vasche delle abluzioni rituali). Lungo i canali venivano piantati cipressi, simbolo dell'immortalità, e alberi da frutto, rappresentanti il rinnovarsi della vita. Famosi erano i giardini dell'Esfahan safavide (sec. XVI-XVIII) e quelli della Shiraz Qajar (fine sec. XVIII-inizi XIX). I giardini moghūl in India ripresero lo schema di quelli persiani, e spesso venivano racchiusi fra alte mura, per tenere lontana la sabbia sollevata dal vento e assicurare nel contempo protezione e segretezza. L'acqua ne costituiva la componente fondamentale, poiché rappresentava, simbolicamente e fisicamente, una sorgente di vita. Oltre agli alberi della tradizione persiana, i canali dei giardini moghūl, si arricchirono di un'infinità di piantagioni e di fiori, che, col favore del clima, li rendevano dei veri paradisi lussureggianti. Bâbur ne fece costruire diversi, poiché ne aveva appreso il gusto nella Samarcanda dei Timuridi, ma i più famosi sono quelli costruiti da Jahanġir a Śrinagar, nel Kashmir (Shalimar Bāgh, Nishat Bāgh, Chashma Shahi), ove ai muri d'ambito della tradizione persiana si sostituì la cerchia dei monti intorno, e vi si aggiunsero padiglioni, che dovevano favorire l'incanto della riflessione nelle acque, rallegrate da zampilli e fontane. Un altro Shalimar Bāgh (Giardino della Beatitudine) venne creato a Lahore da Shah Jahan: consta di tre grandi terrazze, disposte su diversi livelli, con canali, vasche, padiglioni, fontane e cascatelle di marmo bianco, situati in un vasto insieme rallegrato da odorose piante in fiore, e piattaforme erbose, atte a favorire il riposo all'ombra confortevole degli alberi.

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