mezzadrìa

Indice

Generalità

sf. [sec. XVIII; da mezzadro]. Istituto giuridico con il quale il concedente e il mezzadro in proprio e quale capo di una famiglia colonica si associano per la coltivazione di un podere e per l'esercizio delle attività connesse al fine di dividerne a metà gli utili e i prodotti. Il concedente conferisce al mezzadro il godimento del podere dotato di quanto occorre per l'esercizio dell'impresa e di un'adeguata casa colonica; il mezzadro è obbligato a prestare il lavoro proprio e quello della sua famiglia, a risiedere stabilmente nel podere con la famiglia, a custodire il podere e mantenerlo in normale stato di produttività, conservando altresì le altre cose affidate dal concedente con la diligenza del buon padre di famiglia.

Cenni storici

La mezzadria compare nella storia come una forma più organizzata della colonia e si presenta come elemento liberatorio dalla servitù della gleba, dove i termini contrattuali erano ancora alla mercé del proprietario terriero. Il suo inizio si colloca nell'età comunale, quando una maggiore diffusione del benessere (almeno fino ai maggiori mercanti cittadini) consentiva loro d'investire una parte dei loro capitali anche in aziende agricole. Essi però non lasciavano il commercio e affidavano la conduzione del fondo a una famiglia contadina, dando al contratto la forma rigida della divisione dei prodotti agricoli in misura uguale fra proprietario e mezzadro. Un contratto però in cui il contadino entrava per la prima volta come libero contraente non andò esente da gravi abusi (forme dispotiche nel privare il mezzadro del fondo, spartizioni non eque, ecc.): a questo si accompagnarono nei sec. XIV e XV gravi crisi nell'agricoltura e queste si ripeterono lungo i sec. XVII e XVIII. In questa situazione la mezzadria non ebbe un largo sviluppo e il mezzadro condusse vita stentata. Nel frattempo i proprietari mercanti erano stati sostituiti in gran parte dai nobili, ma l'incuria da essi dimostrata non diede all'istituto nuovo incremento. Una felice eccezione è costituita dalla Toscana, dove le riforme (1785) del granduca Pietro Leopoldo fecero della mezzadria la forma più generalizzata di conduzione dei fondi. Nel sec. XIX la mezzadria, oltre che nella Toscana, era ancora praticata nell'Emilia, nelle Marche, nell'Umbria e nel Veneto, dove lo sviluppo capitalistico era ancora molto limitato; aveva perduto consistenza invece nelle regioni settentrionali a più forte sviluppo capitalistico; nel Sud la mezzadria era stata soffocata dalla persistenza in agricoltura di forme rimaste legate al feudalesimo. Nella dottrina giuridica frattanto si dibatteva la questione se considerare la mezzadria un contratto di locatio rei (locazione del fondo) o di locatio operarum (locazione d'opera), mentre altri giuristi volevano ravvisarvi un contratto associativo che s'instaurava fra padrone del fondo e mezzadro. Il movimento contadino nel primo dopoguerra portò alla riforma dei contratti agricoli e anche la mezzadria subì mutamenti contemplando un più largo intervento di capitali. Il fascismo, fautore della collaborazione fra padrone e famiglia colonica, riportò la mezzadria alla sua forma associativa. Nel secondo dopoguerra, con la ripresa del movimento contadino in un clima di democrazia, la mezzadria apparve un istituto ormai superato anche per le mutate condizioni sociali: da un lato l'assenteismo del concedente e dall'altro la diminuzione dei lavoratori della terra per il richiamo dell'industria e per l'introduzione della meccanizzazione portavano alla decadenza sempre più pronunciata di questo antico istituto. Queste considerazioni erano ormai patrimonio comune a larghi strati sociali e a gran parte delle forze politiche in Parlamento e si giunse così alla legge 15 settembre 1964, n. 756, per la quale, ferma restando la validità dei contratti di mezzadria in corso, è vietata la stipulazione di nuovi; la ripartizione avviene in misura del 58% al mezzadro e del 42% al concedente, mentre le spese sono divise a metà. Il concedente dirige l'azienda con la collaborazione del mezzadro; la famiglia mezzadrile può subire mutamenti nella sua composizione, purché non ne soffra la conduzione del fondo; il mezzadro ha facoltà d'introdurre innovazioni utili al miglioramento del fondo. La legge 11 febbraio 1971, n. 11, ha poi stabilito che i contratti di affitto di fondi rustici che risultino misti a contratti di mezzadria siano disciplinati dalle sole disposizioni che regolano l'affitto a coltivatore diretto. Infine, la legge 3 maggio 1982, n. 203, che per titolo principale ha la regolamentazione del contratto di affitto in agricoltura, stabilisce (art. 25 e seguenti) la conversione in affitto dei contratti agrari associativi.

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