opus

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s. neutro latino (propr. opera, lavoro) usato in italiano come sm. con alcune accezioni specifiche (pl. opera).

1) In musica, generalmente abbreviato in op., e seguito da un numero progressivo, indica il posto dato dal compositore a ciascuno dei propri lavori nell'ordinamento della produzione. Questa usanza divenne comune solo nella seconda metà del Settecento: in genere il numero d'opus, che in alcuni casi è assegnato dall'editore, rispecchia l'ordine di pubblicazione, che non sempre coincide con quello di composizione.

2) Nome dato a due tipi di ricami, l'uno inglese, l'altro tedesco. A) opus anglicanum, ricamo inglese medievale (sec. XII-XV) di grande raffinatezza, eseguito con sete colorate, talvolta rivestite di lamine d'oro e d'argento, prevalentemente a punto spaccato (l'ago divide a metà il filo del punto precedente). Di solito venivano rappresentati episodi di storia sacra, prima disposti in circoli concentrici poi in superfici ottagonali ed esagonali con archi e punte acute di stile gotico. Tali motivi erano intramezzati da ramoscelli fioriti e figure animali e dal caratteristico “angelo a cavallo”. Verso la fine del Duecento si ebbe l'affiancarsi dell'elemento geometrico e architettonico nella decorazione del fondo ma all'inizio del Trecento prevalsero i motivi vegetali e floreali. Esempi di questo ricamo sono sparsi in molte chiese europee che li ricevettero come prezioso dono da alti prelati o da privati. In Italia sono conservati paramenti in opus anglicanum nel tesoro della cattedrale di Anagni, alla Pinacoteca di Ascoli, al Museo Civico di Bologna, nel Museo del Duomo di Pienza, ecc. B) Opus teutonicum, ricamo tedesco medievale eseguito in filo di lino bianco (talvolta erano però usate seta chiara o lane colorate) su tela bianca con una grande varietà di punti (traforo, punto in croce) e con motivi inseriti tipo filet con stelle, rosette, lettere dell'alfabeto. Si tratta di un ricamo “povero”, se confrontato con il contemporaneo opus anglicanum, prodotto di solito nei monasteri e destinato all'arredo della chiesa (tovaglie di altare, veli da calice, drappi quaresimali). La maggior parte dei ricami in lino della Bassa Sassonia sono ancora nei monasteri dove furono eseguiti, altri sono stati riuniti, dopo il 1864, nel Kestnermuseum.

3) In archeologia, seguendo Vitruvio e altri autori antichi, accompagnato da attributi specifici, indica particolari tecniche di costruzione o tipi diversi di murature, pavimenti, rivestimenti, intonaci.

Archeologia

Nella terminologia architettonica si distinguono diversi tipi di struttura muraria, differenziati secondo i materiali utilizzati e la tecnica di assemblaggio: A) opus albarium, strato superiore dell'intonaco, di colore bianco (calce diluita o calce e gesso), usato come base di pitture a tempera e a fresco. B) Opus alexandrinum, tipo di decorazione pavimentale introdotto nell'età di Alessandro Severo (222-235) e costituito da lastre di marmi bicromi con largo impiego di porfido. Il termine è talora inteso nel significato generico di mosaico. C) Opus caementicium, vedi cementizio. D) Opus doliare, vedi opus latericium. E) Opus incertum, tecnica muraria consistente nel rivestire il nucleo interno della muratura con paramenti di pietre a contorni irregolari e irregolarmente disposte. Sistema più elaborato dell'opus caementicium, fu introdotto a Roma nel sec. II a. C. e trovò larghissima applicazione in età sillana (Palestrina, Terracina, Tivoli). F) Opus latericium, tipo di paramento murario costituito di mattoni di argilla uniti con malta e disposti a corsi regolari. Quando il mattone è cotto in fornace si usa più esattamente il termine di opus testaceum o doliare: è questo il sistema di costruzione che divenne comune nell'architettura romana a partire da Augusto. G) Opus mixtum, opera mista di pietre e mattoni in cui il laterizio si alterna al reticolato lapideo in fasce di diversa altezza oppure lo incornicia in specchi per lo più di forma quadrata. Fu in uso in età imperiale e in particolare sotto Domiziano. H) Opus poligonale, tecnica usata nell'antichità per la costruzione di mura fortificate, che impiegava grandi massi sommariamente squadrati e legati a secco (senza calce). La stessa denominazione viene usata impropriamente anche per indicare la muratura ciclopica (o pelasgica o tirinzia), attestata già in età protostorica. L'opus poligonale fu invece molto diffuso in età classica in Attica e nel Peloponneso e anche in Italia dal sec. VII al IV a. C., ed ebbe via via tessiture sempre più regolari fino alla sua identificazione con l'opus quadratum. I) Opus quadratum, tipo di muratura costruita con blocchi di pietra tagliati a parallelepipedi e disposti a strati orizzontali. Si distingue l'opera quadrata isodoma con blocchi eguali di altezza, lunghezza e profondità e la pseudoisodoma con blocchi diversi di altezza e lunghezza, tipica delle mura di fortificazione. Tale tecnica costruttiva è comune, sia pure con alcune varianti, al mondo greco (Partenone), etrusco (mura di Cortona e Fiesole) e romano (Carcere Tulliano, tempio di Saturno nel foro). J) Opus reticulatum, paramento dell'opus caementicium costituito da blocchetti a tronco di piramide con la base in facciata disposti secondo linee oblique di 45 gradi a formare un elegante reticolo. I blocchetti (cubilia o tesserae) sono generalmente di tufo e assai più raramente di cotto o marmo. Tale tecnica venne introdotta a Roma a partire dal 55 a. C. (teatro di Pompeo), raggiunse la perfezione nel periodo augusteo e si protrasse fino al sec. II d. C. alternandosi all'opus mixtum. K) Opus scutulatum, decorazione pavimentale di tessere di mosaico o di marmi policromi formanti rombi (scutulae) disposti in modo da costituire un disegno di cubi prospettici. L) Opus sectile, tipo di pavimentazione e di decorazione parietale ottenuta con lastre di marmo (crustae) formanti disegni geometrici e, più raramente, composizioni figurate. Tale tecnica, nata in Oriente e diffusa nel mondo greco agli inizi dell'ellenismo, fu largamente usata in ambiente romano (pavimenti della Villa Adriana a Tivoli; della curia nel foro; tarsie figurate nella basilica di Giunio Basso sull'Esquilino). M) Opus segmentatum, pavimento costituito di frammenti di marmo (per lo più porfido) incastrati in cocciopesto, tipico dell'età ellenistico-romana. N) Opus signinum, vedi cocciopesto. O) Opus spicatum, tipo di pavimento eseguito con laterizi disposti a spina di pesce o a spighe. P) Opus tectorium, intonaco protettivo, costituito di calce e arena. Q) Opus tessellatum, pavimentazione musiva costituita da tessere cubiche regolari (vedi mosaico). R) Opus testaceum, vedi opus latericium. S) Opus vermiculatum, tipo di mosaico a tessere finissime, di pietre varie e di vetri colorati, disposte in catene dall'andamento curvilineo. T) Opus vittatum, termine convenzionale con cui si indica il paramento di blocchetti quadrangolari di pietra, per lo più tufo, disposti in strisce orizzontali alternate talora a strisce di mattoni. È il tipo di muratura caratteristico del tardo Impero, ma usato già prima, in luogo del reticolato, in Italia settentrionale, in Spagna, in Gallia. È chiamato anche petit appareil e, per il suo proseguimento nel primo Medioevo, “opera saracena”.