Le origini: generalità

Si chiama canzone un breve brano cantato o cantabile, ballabile, facile da memorizzare, che circola attraverso i mass media ed è destinato a un pubblico vasto e generico, che lo consuma nel giro di una stagione. Non si tratta di musica popolare, anche se ogni tanto vi fa capolino qualche melodia popolare autentica. Tuttavia ne ha ereditato le funzioni: fa ballare, fa divertire, accompagna la festa e i riti di socializzazione. La storia della canzone è dunque la storia di come l'antica “canzone a ballo”, creata gratuitamente dalla gente per il comune piacere, sia diventata una merce in vendita. La canzone è antica quanto l'umanità: le sue origini sono oscure, ma osservando le culture primitive tuttora esistenti possiamo farcene un'idea. Inoltre molti aspetti della musicalità primitiva sopravvivono nel mondo moderno, sia nello strato folclorico della società (agricoltori, pastori), sia in particolari ambiti (ninne nanne, giochi di bambini, riti religiosi). Nei più arcaici gruppi nomadi di cacciatori-raccoglitori (rappresentati da sparse tribù di boscimani, ottentotti, pigmei, aborigeni australasiani e amerindi) ha poco senso distinguere la canzone dal canto in genere. Questo accompagna ogni gesto quotidiano: lavoro e svago, nascita e morte, riti e giochi. Ogni canto ha un significato verbale, anche se eseguito su strumenti. Alcuni canti hanno poteri magici: guariscono, fanno piovere, inviano sventure. Vi sono canti che solo a certe persone (sacerdoti, sciamani) è consentito cantare, mentre sono tabù per gli altri. E vi sono canti associati alla danza, come la canzone moderna. Le società primitive nomadi non hanno però musicisti di professione: autore, esecutore e pubblico sono persone comuni, che si scambiano tali ruoli ogni volta. Tutt'al più un individuo può distinguersi perché è più bravo, o conosce più canti. Ogni canto ha un singolo autore, che non sempre è anonimo: anche le culture più arcaiche riconoscono infatti forme di proprietà del canto, specie se esso ha poteri magici. Poi però la melodia inizia a circolare e, per effetto di vuoti di memoria, varianti individuali, mutamenti linguistici, migrazioni o altre cause, se ne diramano versioni differenti.

Le origini: i cantori

Nelle società di agricoltori, pastori, artigiani, organizzate in villaggi, compare la figura del cantore professionista. Invalido che vive di carità o menestrello alla corte del re, egli è comunque un individuo non produttivo, che la comunità può sfamare grazie alla produzione di un surplus alimentare. Il cantore, dedicandosi solo alla musica, diviene un virtuoso del canto, di uno strumento, della poesia estemporanea, della mnemotecnica. Di regola è anche danzatore, attore, mimo, artista del corpo. Ora non è più uno qualunque: è un artista il cui talento è riconosciuto e ricordato a lungo dalla comunità. Dalla precedente fase culturale dei cacciatori-raccoglitori eredita anzi un alone di sciamano e veggente (non di rado è cieco). Ha in repertorio canti tradizionali, ma anche canzoni proprie. E ha molte funzioni: rallegra la gente nei momenti di svago; girovagando tra i villaggi raccoglie e riporta notizie; commenta i fatti del giorno; satireggia persone e usanze; tramanda il ricordo di eroi; fa da archivio vivente memorizzando liste e genealogie secolari, vasti cicli mitologici e cronache di eventi storici. Con la formazione delle società statuali il cantore può diventare artista di corte, al servizio del re. Tale ruolo è raffigurato nei personaggi degli aediFemio e Demodoco nell'Odissea. Talora può perfino esercitare un rispettato ruolo di “opposizione di Sua Maestà”: se ne riconosce traccia nella figura del buffone di Re Lear, che ha il diritto di criticare il re. Un esempio tuttora presente in Africa è la figura del griot, un menestrello di professione, che si accompagna con una specie di arpa e svolge tutte le funzioni prima citate nella vita di villaggio e di corte: il presidente della Repubblica del Gambia ha ancora i suoi griot. Analogo ruolo dei cantori è attestato presso numerose culture dell'Oceania. In Europa l'equivalente è dato da figure come l'aedo nella Grecia omerica, il bardo suonatore d'arpa in area celtica (specie in Irlanda) e i vari cantastorie finnici, balcanici e del nord della Russia, che suonano il salterio. Nel Mediterraneo e nel Vicino e Medio Oriente i cantori suonano invece un liuto a manico lungo o un piccolo violino verticale: sono ozan e bahshi turkmeni, sha'ir uzbeki, ashughi di area caucasica, gurgulugu tagiki, ertekshi e zhyrshi del Kazahstan, gusan armeni, mestvire georgiani (suonatori di cornamusa), guslari serbi e macedoni, kobzari ucraini.

Il mondo antico

Con l'invenzione della scrittura, serbata come prezioso segreto dalla classe dominante, la musica delle cerimonie religiose e civili del potere diventa monopolio di una casta di sacerdoti-sapienti. Essi detengono nozioni di acustica, teoria musicale e prosodia che, combinate con conoscenze astronomiche e credenze religiose, danno vita a complicate cosmogonie. Questo sapere magico-scientifico diviene misterioso, impenetrabile al popolo; si formano così due culture separate: una cultura scritta, mentale, meditativa, astratta, e una cultura orale, concreta, corporea, gioiosa. La cultura scritta accelera i processi storici e i cambiamenti; la cultura orale è, nel bene e nel male, un tenace fattore di conservazione, ed è quindi vista da potenti e sapienti come ostacolo, resistenza. Il cantore popolare, perdute le antiche attribuzioni di sacerdote-sciamano che gli conferivano un alone di sacralità, diventa il paladino della cultura orale contro la cultura scritta: un dissacratore, e quindi un indesiderato, un marginale, un reietto. Privo di potere, egli può solo “canzonare” potenti e sapienti. La sua è ora musica “profana”. Nelle società dotate di scrittura egli precipita al gradino più basso della gerarchia sociale e musicale. Dai Sumeri ai Babilonesi, dall'Egitto all'India, dalla Cina al Giappone, dal mondo classico greco-romano all'Islam e all'Etiopia, gli scritti teorici sulla musica che ci sono pervenuti esprimono concordi un profondo disprezzo per i generi inferiori come le canzoni dei cantastorie, sempre e dovunque definite rumorose, rozze, prive di dignità e di moderazione. Ne restano perciò scarsi documenti (iconografia, alcuni testi poetici). Solo nel sec. XVI, in Europa, alcuni cantastorie iniziano a far stampare fogli volanti e libricini con i soli testi verbali delle loro creazioni. Si tratta comunque di cantori semi-colti: le ricerche sul campo hanno ritrovato tra i cantori analfabeti ben poche storie note da fonti a stampa. Comunque solo nel XX sec. l'etnomusicologia ha avviato uno studio sistematico di quanto sopravvive di tali musiche presso le classi subalterne. Pur nell'enorme diversità di queste culture, l'arte dei cantori popolari, che improvvisano poesia e musica sulla base di formule tradizionali cantando e accompagnandosi con uno strumento, si presenta comunque come un fenomeno abbastanza omogeneo. Dall'altro lato, anche la musica “alta” dei sacerdoti-sapienti presenta alcuni caratteri universali. È (e deve essere) calma e solenne, spirituale e contemplativa, e ha il compito di favorire la meditazione, l'astrazione dalle cose terrene: una sorta di vibrazione mistica che avvicina l'uomo alla divinità e ai misteri cosmici. Per contro, la musica “bassa” dei cantori popolari eccita gli istinti corporei, invita alla danza, al piacere fisico, alla volgarità delle passioni, al demoniaco. Questa contrapposizione, diffusa in tutto il mondo antico, è teorizzata, tra gli altri, da Platone, il quale esclude i cantori dalla sua Repubblica.

Il Medioevo

Le idee di Platone vengono recepite dalla Chiesa, che attinge i propri canti dalle tradizioni colte d'Oriente (canto gregoriano) e cerca poi di imporli a forza. Le canzoni popolari e pagane vengono perseguitate nel sistematico tentativo di estirparle. Tale genocidio culturale non riesce e durante il Medioevo la canzone profana, sebbene quasi mai documentata per iscritto, sopravvive accanto al gregoriano, talora con curiosi scambi di repertorio: come nel caso della canzone erotica O admirabile Veneris idolum che diviene l'inno di pellegrini O Roma nobilis orbis et domina. Dopo il Mille, passata la paura della fine del mondo, quando l'Europa torna a respirare, a vivere, a godere, la canzone profana riprende vita e anche la documentazione scritta si infittisce. La principale forma di canzone profana in latino è il conductus, nato forse in Francia e poi diffusosi in Spagna, Inghilterra e Germania. In origine canto religioso, diviene poi un genere di canzone conviviale che tocca anche temi politici, erotici e d'attualità. Quanto alla canzone in volgare, nell'area neolatina è praticata fin dal sec. IX dal giullare, gaia figura di poeta, musico e attore libero e girovago, del cui repertorio ci restano più testi che musiche. In area anglosassone compaiono le figure più austere dello skòp teutonico e dello skald scandinavo, eredi dei bardi celtici: poeti dalla tecnica raffinata e padri fondatori delle rispettive letterature. Verso il sec. XI, da un lato il giullare ambulante tende a trasformarsi nel menestrello, cantore di corte (o comunque al servizio di un nobile) e spesso membro di una corporazione. Dall'altro compaiono i primi trovatori e trovieri, nobili che per diletto compongono e poetano al modo dei menestrelli . Essi danno vita al genere poetico della chanson, e le loro canzoni circolano proprio grazie a giullari e menestrelli, nonché in codici manoscritti, più e più volte ricopiati. Essi sanno scrivere la musica: sono dunque musicisti colti, non popolari. L'esempio francese del troubadour produce in Germania il Minnesänger, anch'egli nobile, dilettante di poesia e musica, le cui canzoni hanno però un tono più spirituale. Verso il 1175 la creazione di canzoni si diffonde tra la borghesia con i Meistersinger, giullari girovaghi o musici organizzati in scuole, che nei secoli successivi daranno vita a corporazioni di lunghissima durata (le ultime chiuderanno nel sec. XIX), ma che ben presto declinano in una gratuita artificiosità. Figure analoghe sono anche i bardi regös in Ungheria e i giullari skomorokhi in Russia. Oltre al repertorio trobadorico e al Minnesang, dei sec. XI-XIII ci sono note canzoni inglesi, spagnole, tedesche. Della prima metà dell'XI sec. sono i Carmina Cantabrigiensia, una raccolta di canzoni compilata a Canterbury su testi di poeti classici e medievali. Del 1230 ca. è il manoscritto dei Carmina Burana, gigantesca antologia di canzoni goliardiche, amorose, religiose, morali e conviviali, in parte scritte in una notazione musicale vaga. Numerosi cancioneros ci tramandano poi le cantigas spagnole e portoghesi, tra cui le mirabili Cantigas de Sancta María, una raccolta ordinata dal re Alfonso X il Dotto, con forti influssi arabi. Nel sec. XIV si irradia dalla Francia una scuola internazionale di compositori che preferiscono applicare complicatissime procedure compositive dotte alle forme della canzone (chanson) e della ballata: è l'Ars nova. I suoi esponenti voltano le spalle al rigido e astratto formalismo della musica sacra di allora e guardano all'immediatezza espressiva della canzone popolare che accettano come modello e adornano con la propria sapienza e capricciosa inventiva. Verso il 1400, divenuta sempre più complessa ed enigmatica, l'Ars nova tramonta. Nella musica colta si apre l'immenso arco storico della polifonia fiamminga. Ma sotto questo grande ombrello spuntano timidi alcuni generi locali di canzoni: a Venezia, Firenze, Napoli si chiamano villotte, giustiniane, canti carnascialeschi, strambotti, barzellette. Sono canzoni spesso ballabili, talora improvvisate da famosi cantori, citati nelle cronache del tempo, come il Cariteo, o Serafino Aquilano. Alla fine del secolo tale repertorio confluisce in un genere nuovo, tipicamente italiano, la frottola, una piccola pagina vocale in cui le tecniche dotte della polifonia sono usate al minimo, in modo che la melodia rimanga semplice, fresca e orecchiabile. In Francia, accanto alle grandi opere dei maestri della polifonia compare anche un genere, detto chanson rurale, più semplice e chiaro, basato su canzoni popolari trascritte e cautamente rielaborate, i cui testi briosi ed erotici anticipano il moderno vaudeville. In Germania l'arte dei Minnesänger e Meistersinger produce dapprima canzoni a voce sola dette Volkslieder (canzoni popolari) oppure Hofweise (canzoni di corte). Verso il 1380 queste ultime diventano polifoniche. Per tutto il secolo la vita musicale tedesca ruota intorno a canzoni popolari arrangiate a più voci e raccolte in antologie come il Glogauer Liederbuch, il Lochamer Liederbuch e i canzonieri di Hartmann Schedel e di Peter Schöffer. Anche in Inghilterra il song è scritto in versione polifonica, sebbene si tratti spesso di elaborazioni di canzoni popolari: la più nota è Angelus ad Virginem, citata da Chaucer. Nel 1501 Ottaviano Petrucci, geniale pioniere della stampa musicale, pubblica l'Harmonice Musices Odhecaton, un'antologia di frottole. Essendo un libero imprenditore non può stampare solo Messe, ma deve mettere sul mercato prodotti più vendibili: canzoni e balli alla moda iniziano a circolare attraverso i mass media.

L'età moderna: le origini

Nel sec. XVI la musica profana uguaglia l'importanza della musica sacra. A ciò contribuisce proprio la stampa musicale, che si espande pubblicando canzoni celebri in arrangiamenti a una o più voci, per liuto, per cembalo, o “per cantar o sonar con ogni sorte di stromenti”. Editori come Thylman Susato, Robert Ballard, Pierre Attaingnant, Pierre Phalèse sono spesso anche gli arrangiatori delle canzoni, alcune delle quali, grazie a loro, si diffondono in tutta Europa: per esempio, la spagnoletta (Guardame las vacas), la romanesca, la monica, la bergamasca, l'aria di Ruggero, l'ungaresca. Analogo destino hanno canzoni a ballo arrivate dal Nuovo Mondo, come la follia. I maestri della giovane musica strumentale per liuto e clavicembalo (Milàn, Cabezón, Merulo, Andrea Gabrieli) attingono alle medesime canzoni come spunto per pagine dette canzoni strumentali (o alla francese) in cui la melodia originale è sottoposta a fastose variazioni. In campo vocale, dotti madrigalisti come Lasso, Marenzio e Monteverdi compongono canzonette, villanelle, balletti, cui corrispondono in Francia la chanson polifonica (Janequin), in area spagnola il villancico e altre pagine polifoniche destinate al far musica per diletto. Fra queste le canzoni moresche di Lasso, ispirate ai canti degli schiavi africani portati in Europa. La polifonia è comunque ormai al crepuscolo: arte dotta, talora difficile, essa diviene infine così complicata da provocare per reazione (come già l'Ars nova) un bisogno di melodia semplice.Verso fine secolo, per ragioni di gusto, praticità esecutiva, economia di stampa, moda culturale, si torna a preferire la musica monodica (una voce accompagnata). In Inghilterra fiorisce il song per voce e liuto, genere raffinato, nutrito della linfa del canto popolare inglese, che ha il suo genio in John Dowland. Nella Germania di Lutero la pratica della polifonia rimane invece più diffusa. Qui, a seguito della Riforma, a note canzoni profane (d'autore o anonime) viene applicato un testo religioso (contrafactum): la canzone Mein Gmüth di Hans Leo Hassler diviene così il coraleHerzlich tut mich verlangen, poi rielaborato anche da Bach. Ai primi del sec. XVII alcune grandi figure di autori isolati (come Girolamo Frescobaldi) portano al massimo sviluppo l'arte di comporre fantasie strumentali basate su canzoni (Capriccio sopra la Girolmeta). Ma ormai hanno preso il sopravvento i generi monodici: opera, cantata, sonata strumentale. Quest'ultima, che non ha ancora un proprio linguaggio, se ne forgia uno prendendo di peso le canzoni a ballo più in voga, nella sequenza allemanda-corrente-sarabanda-giga. Questi balli hanno strutture corte, semplici e ripetitive, numero di battute fisso e pari, frasi simmetriche, armonie prevedibili; sono soggetti ai capricci della moda, circolano attraverso la stampa: sono insomma canzoni ballabili nel senso moderno del termine. Per contro la parola canzone quasi scompare: quando la si trova (per esempio in Tarquinio Merula) ha significato generico di “brano musicale”. Nel contempo, generi musicali brevi e semplici, variamente chiamati chanson, song o Lied circolano in tutta Europa in “canzonieri” che sono di regola compilazioni, a cura e a gusto dell'editore, di musiche di autori vari e di origine colta o popolare, antica o recente, profana o spirituale, senza rigide distinzioni. Particolare fortuna ha il genere vaudeville in Francia. Il vocabolo è di origine e significato oscuri: documentato fin dal 1400 come vau de Vire o voix de ville o altro, per lungo tempo indicò un tipo di canzone assai semplice, diffusa sia oralmente sia in raccolte a stampa. Creata in origine da una sorta di corporazione di menestrelli, mantenne sempre un carattere giocoso, danzante, satirico, con intercalari sillabici senza senso (larirà). Solo alla fine del sec. XVII si iniziò a chiamare vaudeville anche un genere di teatro musicale leggero. Nell'Inghilterra democratica e liberoscambista, la vita musicale consiste nel consumo di canzoni leggere, che proprio allora iniziano a essere chiamate canzonetta (in italiano). Esse circolano sia in antologie a stampa, sia in spettacoli teatrali (come la celebre Beggar's Opera di Gay e Pepusch, che ispirò Brecht), sia nei Pleasure Gardenslondinesi, i primi locali pubblici a unire, fin dal 1600, la mescita di bevande e acque termali all'intrattenimento musicale. Nella stessa epoca si definiscono le due forme più tipiche di canzone corale conviviale inglese (che peraltro ha antecedenti nei canti da taverna fin dal Medioevo): il glee, i cui testi inneggiano alla gloria patria, e il catch, la cui trama più intricata nasconde spesso giochi di parole licenziosi. Mentre durante l'età di Bach e Händel la musica colta ridiviene un linguaggio elaborato, destinato alle corti o a fastosi allestimenti teatrali, intorno al 1740 vi è una nuova inversione di tendenza: compare lo stile galante; si torna alla semplicità nella forma e nell'espressione. Questo stile evolve poi nel classicismo e si impone ovunque, attenuando i confini tra arte e intrattenimento. Esso affonda le radici melodiche nel canto popolare dell'Europa centrale, cui, per esempio, il croato Haydn attinge a piene mani (noto esempio il Corale di S. Antonio della Feldpartita, poi variato da Brahms). Si scrive molta musica facile, da suonarsi in famiglia, e i massimi compositori non disdegnano di cimentarsi con i generi leggeri: Haydn compone canzonettas e Mozart sforna ballabili alla moda per i carnevali. Nel periodo della Rivoluzione gli ideali di libertà e uguaglianza portano anche in musica la riscoperta del popolo. Compaiono i primi segni di interesse per il canto popolare: Giovanni Battista Viotti trascrive un ranz de vachessvizzero e Jean-Jacques Rousseau raffronta tre melodie popolari, svizzera, amerindia e cinese. Gli editori di musica inglesi sfruttano il momento pubblicando raccolte di canzoni di vari Paesi europei armonizzate per canto e strumenti. A questo lavoro si dedicano anche Haydn e, più tardi, Beethoven. Già nell'età napoleonica, tuttavia, solo Schubert, Weber o Rossini riescono ancora a comporre senza fatica tanto opere e sinfonie quanto canzoni e ballabili. Da Beethoven in poi si riforma una gerarchia: in cima è il compositore puro, un intellettuale che crea arte per l'arte, e può perfino non avere alcun contatto concreto con la pratica musicale (Berlioz). Un gradino sotto sta il virtuoso, i cui concerti pubblici sono spettacolari esibizioni: egli deve conoscere arie d'opera e canzoni in voga, e viene chiamato a variarle improvvisando a richiesta del pubblico (Paganini, 60 Variazioni sulla canzonetta genovese Barucabà). Se è pianista eseguirà anche ballabili (Liszt, Gottschalk, Herz, Thalberg), che possono essere tuttavia portati al più alto livello d'arte (Chopin). Un altro gradino più giù sta lo specialista dei nuovi balli di moda, valzer, polka, mazurca, schottische, quadriglia, galop, richiesti da un pubblico borghese sempre più vasto (Johann Strauss). Da ultimo viene il consumo casalingo delle musiche da salotto, come la celebre Prière d'une vierge di Tekla Badarzewska. Fonti inesauste di tale produzione di canzoni, romanze e ballabili sono le case editrici, vere fabbriche di pezzi “in stile” pronte a rispondere a tutti i desideri: melodia sentimentale o marcia patriottica, elegante ballo alla moda o danza popolaresca, tarantella napoletana o csárdá ungherese, pezzo di genere di facile esotismo, alla turca o spagnoleggiante. Questo repertorio viene poi eseguito da orchestrine nei caffè e negli stabilimenti termali, e dalle bande in piazza e nei parchi; inoltre entra in spettacoli di teatro leggero (operetta, opéra-comique, zarzuela, vaudeville, music-hall, cabaret, extravaganza, ballad opera, burlesque). Mentre la vera musica popolare sopravvive nelle campagne, tramandata oralmente, in città si consuma dunque una “musica leggera urbana”. A metà secolo il nazionalismo produce però un'ingenua riscoperta della musica popolare: canzoni popolari vere o presunte vengono stampate con falsanti accompagnamenti per piano (come la vasta raccolta di canzoni ungheresi di István Bartalus). La musica “popolaresca” viene così scambiata per vero folclore: Liszt scrive perfino un libro sulla “musica zigana” prendendo per tale le canzoni popolaresche di autori ungheresi che gli zingari suonano per denaro nei caffè di Budapest. Tuttavia, il fatto che tale musica urbana non sia genuinamente popolare, che ripeta alla nausea logori stilemi, che nasca come prodotto effimero, non toglie che essa abbia i suoi pregi.

L'età moderna: il café-concert

Fino al 1914 predomina in Europa il modello parigino del café-concert (caffè-concerto), con la sua variante più intellettuale, il cabaret. La canzone francese, erede del secolare vaudeville, si vale del contributo di poeti e musicisti di vaglia, ha un riconosciuto ruolo nella vita culturale della città ed è appannaggio di attori-cantanti (all'inizio solo uomini, anche en travesti) creatori di macchiette graffianti: il soldato, l'ubriacone, il cascamorto, il malavitoso, lo storpio. Si ricordano tra i maggiori interpreti Aristide Bruant, Yvette Guilbert e Thérésa. Allo Chat Noir, un cabaret fondato nel 1881, si danno convegno gli intellettuali parigini; al pianoforte è spesso Erik Satie, che compone per esso alcune splendide canzoni. In Italia l'atmosfera dei caffè-concerto (tra cui il celebre Salone Margherita di Napoli), pur francesizzante, è più rozza e sguaiata. Nomi di rilievo sono Nicola Maldacea (le cui macchiette sono comunque più recitate che cantate) e Gennaro Pasquariello, cantore dialettale di ruvida drammaticità. Un certo pregio ha poi la fioritura della romanza da salotto, in cui è maestro Francesco Paolo Tosti.

L'età moderna: la canzone napoletana

Più importante di tutte è comunque la canzone napoletana, che ha radici nell'opera (la canzone Io te vojo bene assaje è attribuita a Donizetti) e si sviluppa per proprio conto mantenendo per alcuni decenni un dignitoso, e talora pregevole, livello qualitativo. Principali esponenti ne sono Luigi Denza, Ernesto De Curtis, Eduardo Di Capua, Salvatore Gambardella, E. A. Mario, Enrico De Leva, Vincenzo Valente. In Germania si sviluppa un'originale esperienza di cabaret satirico, fin dalla fondazione dell'überbrettl (1901), per il quale scrive canzoni anche Arnold Schönberg. Negli stessi anni il cabaret si diffonde in Spagna, Svizzera, Polonia, Boemia, Russia, sempre però con un taglio più letterario che musicale. In Inghilterra fiorisce la ballata da salotto vittoriana, corrispettivo della romanza italiana, e nasce il music-hall, spettacolo d'arte varia con canzoni, che ingloba tutti gli altri generi di intrattenimento.

L'età contemporanea

Dal 1920 la canzone inizia ad assumere il suo volto attuale per effetto di due eventi: il trionfo mondiale della canzone americana e l'invenzione del disco. In America, fin dal 1600 il contatto tra coloni europei e schiavi africani aveva partorito una grande famiglia di ritmi, danze, generi e stili musicali: la musica afro-americana. Le sue prime forme si delineano nelle colonie spagnole, dove autori per lo più nati in Europa compongono villancos in dialetti locali per la conversione di indigeni e schiavi. Un secolo dopo, nei salotti della borghesia brasiliana e portoghese risuonano la modinha e il lundu, forme di canzone melodica sentimentale con accompagnamento sincopato di piano o chitarra. Nel sec. XIX si formano le moderne nazioni indipendenti dell'America Latina: qui una neonata borghesia che smania dal desiderio di emulare quella europea riceve dall'Europa le sue mode musicali. In ciascuna nazione nasce così una musica da salotto, vocale e pianistica, basata sulle più comuni danze europee (polka, mazurca, quadriglia, schottische), in varianti sincopate indigene. Il centro focale è Cuba, dove nascono la habanera, la danza e la contradanza (che diventano di gran moda in Messico) e il tango, che dopo un lungo viaggio si stabilirà in Argentina intorno al 1900. La habanera è il primo genere afro-americano a conquistare l'Europa: in Spagna si affianca alle danze locali; in Francia viene adottata da compositori colti (Bizet, Saint-Saëns, Chabrier, Debussy, Ravel, Satie). Una habanera, La paloma, diviene famosa nel mondo. Analogo tragitto compie il tango argentino intorno al 1910; la sua ricca letteratura poetica e musicale è tuttavia quasi sconosciuta all'estero, dove è circolata in forme volgarizzate. Il suo maggiore esponente è Carlos Gardel; in epoca più recente si è distinto Astor Piazzolla. Altre danze afro-latine sono il merengué (Haiti), la beguine (Martinica), il paseo (Trinidad), il maxixe e il samba (Brasile). Negli Stati Uniti è del 1782 il primo documento musicale afro-americano, un Negro Jig incluso in una raccolta di canzoni a ballo dall'editore scozzese James Aird. Negli stessi anni, nei teatri di varietà compare la macchietta del bianco truccato da nero che fa strane danze. Verso il 1820 essa sfocia in un genere codificato di teatro leggero, il minstrel show, le cui esili e gaie canzoni (ethiopian songs) di impronta anglosassone sono lievemente sincopate. Queste, insieme alle canzoni e danze europee, sono quasi le uniche musiche urbane diffuse negli USA fino alla Guerra Civile (1861-65). Geniale autore di canzoni è Stephen Foster, che pratica ambedue i generi, europeo ed ethiopian, in pagine da salotto di fresca ed elevata ispirazione. Anche i pochi compositori colti, tra cui il grande Louis Moreau Gottschalk, sfornano soprattutto variazioni su canzoni famose come Yankee Doodle e Battle Cry of Freedom. A Gottschalk si devono anche numerosi pezzi pianistici che citano alla lettera canzoni popolari della Louisiana. Dopo il 1865 i neri liberati invadono il campo della musica e ne diventano i dominatori: si diffondono i canti corali detti spirituals, che passano per folclore ma sono in realtà canzoni religiose popolaresche in arrangiamenti da salotto. Compaiono minstrels neri (truccati da neri), che immettono un soffio di genuinità in un genere già divenuto scolastico; alcuni, come James Bland e Gussie Davis, sono geniali autori di canzoni. Compaiono anche canzoni umoristiche di soggetto nero, dette coon songs. Verso il 1895, dal confluire di ethiopian songs, coon songs, marce militari e danze per pianoforte nasce il ragtime. I suoi ritmi sincopati invadono la canzone americana, che acquista così la sua fisionomia moderna. A New York, nella strada detta Tin Pan Alley, si concentrano le case editrici musicali, che iniziano a produrre canzoni per il teatro e per l'intrattenimento a ritmi industriali. Così, accanto a un ristretto nucleo di autentiche canzoni ragtime d'autore si diffonde un diluvio di canzoni pseudo-ragtime scritte da bianchi che sfruttano la moda (per esempio, Alexander's Ragtime Band di Irving Berlin). Più o meno negli stessi anni, il fonografo a cilindri, inventato da Edison nel 1877 e poi trasformato da Emil Berliner in grammofono a dischi piatti, entra nelle case d'Europa e d'America rivoluzionando l'economia della musica. I primi cilindri e dischi contengono canzoni e ballabili, arie d'opera e (specie in Europa) brevi pagine classiche. Ma il disco, a differenza dell'edizione a stampa, si vende anche a chi non legge la musica: vasti strati di popolazione vanno a formare una clientela nuova. Le case discografiche, specie negli USA, si lanciano a incidere dischi per le varie minoranze etniche: il disco fa così affiorare un panorama di canzoni e balli popolari e urbani che la vecchia industria della stampa musicale aveva trascurato.

L'età contemporanea: il jazz e la sua influenza

Fra le musiche così scoperte vi è il jazz dei neri di New Orleans (1917). Esso impone un nuovo, più eccitante modo di scandire il ritmo, fa sparire le vecchie voci dei cantanti impostate al modo lirico, cambia il gusto timbrico. Negli anni Venti, in tutto il mondo le canzoni assumono in prevalenza il ritmo del jazz, su cui si ballano il fox-trot e le sue varianti. È la grande rivincita della musica del corpo, demoniaca e inferiore, dei giullari e dei griot, sulla musica alta, contemplativa, dei sacerdoti asiatici e giudaico-cristiani. Il ragtime e il jazz vengono bollati d'infamia e osteggiati in ogni modo: ma la rivoluzione umanistica della musica nera è inarrestabile, e riceve nuova forza dall'arrivo della radio e del cinema sonoro (Al Jolson, protagonista del primo film sonoro, The Jazz Singer, è un minstrel ebreo). Questi moderni mass media, a differenza della stampa musicale, diffondono non astratte combinazioni di note, ma i timbri, le voci, le inflessioni dialettali, le sfumature di tensione ritmica, il carisma degli interpreti. Gradualmente, l'interprete diventa così più importante del compositore e della canzone stessa. La canzone americana conosce la sua grande fioritura a partire dagli anni Venti: Jerome Kern, George Gershwin, Cole Porter, Richard Rodgers, Hoagy Carmichael e altri compongono senza posa migliaia di canzoni che, nella loro veste formale nitida, semplice e modesta, sembrano incarnare meglio di ogni altra musica il carattere dell'uomo moderno. La loro arte nasce in simbiosi con quella dei grandi jazzisti neri, alcuni dei quali (come Duke Ellington), oltre a improvvisare sulle canzoni, ne compongono a loro volta di stupende. Il jazz e la canzone americana, parallelamente al tango, conquistano il mondo. Ovunque le orchestrine da ballo aggiornano lo strumentario e lo stile. Quasi tutti i grandi compositori colti accolgono spunti dal jazz. La canzone francese si rinnova adottando il ritmo del jazz, con Charles Trenet, Maurice Chevalier e l'immigrata Josephine Baker. Il cabaret berlinese produce il suo capolavoro, l'Opera da tre soldidi Bertolt Brecht e Kurt Weill, rielaborando in chiave satirica l'influsso del jazz. L'Inghilterra diviene il più attivo centro europeo di produzione di musica da ballo e canzoni in stile americano (Jack Hylton). A Budapest e Praga come a Parigi e Stoccolma la diffusione del jazz ha l'effetto di una scossa elettrica sulla vita notturna, nelle sale da ballo, negli ambienti artistici. In Italia l'effetto è meno marcato, ma penetra ugualmente attraverso l'operetta, che con il jazz e con il musicalamericano ha rapporti stretti, tuttora poco studiati. Un'apertura al jazz viene poi, nel cabaret più intellettuale, attraverso i futuristi (Rodolfo De Angelis), analogamente a quanto avviene a Mosca tra i futuristi russi. Più tardi cantanti come Alberto Rabagliati e Natalino Otto, e direttori d'orchestra come Pippo Barzizza e Gorni Kramer, contribuiranno a consolidare tale influsso, con esiti comunque effimeri. La tradizione della canzone melodica napoletana resiste, pur senza rinnovarsi, e con essa le tradizionali figure dei cantanti-attori comici (Petrolini) e delle sciantose (Gilda Mignonette).

L'età contemporanea: blues e country and western

Sempre negli anni Venti, il mercato discografico USA dà spazio anche a due generi di musica rurale. Uno è il blues, una forma di canzone popolare nera, diretta antecedente del jazz, dall'apparenza rozza, ma i cui più alti interpreti (Blind Lemon Jefferson, Charlie Patton, Robert Johnson) sono sommi poeti orali, ultima incarnazione dell'aedo e del griot. L'altra è la musica country and western dei contadini e montanari bianchi, lontana parente del ragtime. Entrambi i generi sul momento passano quasi inosservati fuori delle comunità di appartenenza. La parola blues è anzi vittima di un equivoco: vengono definite blues alcune canzoni che non lo sono affatto, sull'onda della suggestione emotiva della parola. Il dominio del jazz sulla canzone tocca l'apice nel cosiddetto periodo swing, che si conclude con la seconda guerra mondiale. La gaia e ottimistica musica swing, fatta di canzoni cullanti dalla struttura rigidamente standard, trionfa proprio durante la guerra, quando i generali di tutti gli eserciti si accorgono che quella musica tiene alto il morale delle truppe e allestiscono orchestre swing per rallegrare i soldati al fronte. In Italia, tali canzoni vengono associate all'euforia della Liberazione. Fra di esse, un ritmo di danza ossessivo e irresistibile, detto boogie woogie: un particolare tipo di blues basato su figure ritmiche usate dai griot dell'Africa occidentale e tramandate oralmente per secoli. Il jazz trascina con sé alla conquista del mondo anche i vari ritmi latino-americani, che dagli anni Trenta in poi vengono di moda or l'uno or l'altro (conga, mambo, rumba, cha cha cha, merengué, beguine, samba, baião, calypso): solo il tango, associato ad atmosfere malinconiche e demodé, non risorge. Dopo il 1945 il jazz imbocca una strada che lo rende difficile e astruso per la massa: cessa così di influenzare direttamente la canzone, anche se continua a usare canzoni come materiali di base per improvvisazioni sempre più ampie e complesse. Nel contempo la canzone americana si adagia in rilassanti, e un po' mielose, esecuzioni con violini, affidate a cantanti come Frank Sinatra, Nat King Cole, Frankie Laine. Nel 1951 in Italia nasce il Festival di Sanremo, dove ha la sua rivincita l'Italietta provinciale, abbarbicata alle sue melodie operettistiche, popolaresche, ottocentesche. Più rilevante la produzione francese, che vive con l'esistenzialismo una feconda stagione di sintesi tra melodia nazionale, influsso del jazz (attinto alle fonti, e al più alto livello), contributi poetici di Jacques Prévert, Jean-Paul Sartre, Boris Vian e interpretazioni di Juliette Gréco, Gilbert Bécaud, Yves Montand, Léo Ferré, Edith Piaf, Marcel Mouloudji.

L'età contemporanea: l'interesse per il canto popolare

Nel frattempo, negli USA il movimento del folk revival ha stimolato negli intellettuali e nei giovani un nuovo interesse per il canto popolare e per le culture subalterne: cantastorie neri e bianchi si esibiscono in club circondati da reverente rispetto. Il movimento si estende poi in Europa, con molteplici effetti: vengono scoperti il blues rurale e la musica country and western; si rivalutano stili di folclore locale ritenuti (a torto o a ragione) genuini; si acquisisce il gusto per l'espressione vocale ruvida e aperta, non “civilizzata”. Anche la canzone leggera prende una certa tinta folk (Domenico Modugno, Lu pisci spada), aprendo così la strada ai cantautori, moderna incarnazione dei giullari che intrattengono, divertono, satireggiano, protestano, canzonano. Non a caso la figura del cantautore ha avuto i suoi fasti maggiori negli anni Sessanta, all'epoca della contestazione giovanile (Bob Dylan, Joan Baez).

L'età contemporanea: il rock and roll

Intorno al 1954, il blues nero basato sul boogie-woogie (detto rhythm and blues) si incrocia con la musica country bianca producendo una miscela esplosiva: il rock and roll. Musica elementare, ripetitiva, ballabile, dai contenuti adolescenziali, il rock and roll rappresenta il nuovo folclore urbano di tutto il mondo e si diffonde in un baleno, sia nelle più genuine espressioni nere (Fats Domino), sia nelle più plateali versioni bianche (Elvis Presley, Jerry Lee Lewis). Le sue canzoni recano disegni melodici semplici e ripetuti di continuo, di origine blues. Esso cancella l'influsso del jazz sulla canzone, sebbene del jazz sia in effetti una variante semplificata. A causa della sua forte connotazione giovanile, il rock non scalza tuttavia altri filoni di canzoni: i primi anni Sessanta vedono ad esempio la fioritura della bossa nova, elegante combinazione del samba brasiliano con il jazz, i cui protagonisti sono João Gilberto, Antônio Carlos Jobim, Luiz Bonfà. È però indubbio che dagli anni Sessanta il rock abbia imposto i suoi ritmi a tutta la canzone mondiale (e anche le sue melodie blues, ma trovando più resistenza). Nel 1966-75 il rock ha conosciuto una fase di esplosione che ha portato i suoi maggiori esponenti (Beatles, Pink Floyd, King Crimson) a creare non piú canzoni ma complesse suites di lunga durata. La canzone di tre minuti non è però mai scomparsa, anzi ha poi ripreso vigore; ma ormai nei concerti dal vivo il rock appare tendere sempre più a una dimensione di spettacolo barocco in cui la singola canzone quasi si dissolve.

L'industria della canzone

Con il rock la canzone è diventata un prodotto industriale: l'atto di creare una melodia e un testo è solo la prima fase di una catena di montaggio in cui sono coinvolti creativamente il direttore musicale o arrangiatore, gli esecutori, il tecnico di incisione, il grafico di copertina e coloro che decidono della pubblicità e dell'immissione sul mercato del prodotto. Stilisticamente il rock è una musica eclettica, tipica espressione della civiltà dei mass media, che ha ormai messo tutti in comunicazione con tutti, sospingendo l'intero pianeta dentro una centrifuga che rimescola tutte le culture preesistenti. Accade cosí che nel panorama della canzone ricompaiano, come relitti galleggianti, spezzoni di tutte le forme di canzone inventate dall'umanità. La conversione delle masse giovanili verso l'ecologia ha anzi prodotto una riscoperta delle forme più pure e arcaiche di canto popolare (world music), che vengono fruite non come un prodotto storicizzato, ma come musica del tutto attuale.

B. Disertori, Le canzoni strumentali da sonar a 4 di C. Merulo, 1943; K. Jeppesen, Die italienische Orgelmusik am Anfang des Cinquecento, Copenaghen, 1943; A. Einstein, The Italian Madrigal, Princeton, 1949; G. Reese, Music in the Renaissance, New York-Londra, 1959; E. Gramotti, G. Giovancarli, Canzoni e ballate, Milano, 1979.

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