Marcia su Roma, la notte della democrazia

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Il 28 ottobre 1922 le camicie nere marciarono verso la Capitale, nella manifestazione eversiva che consegnò il potere a Benito Mussolini. Contesto storico, scenario politico, preparazione, messa in atto e conseguenze: le cose da sapere.

Il 28 ottobre 1922 aveva luogo la marcia su Roma. Episodio cruciale del Novecento italiano, fu una manifestazione armata eversiva, organizzata dal Partito Nazionale Fascista di Benito Mussolini, volta al colpo di Stato con l'obiettivo di favorire l'ascesa di quello che poi sarebbe diventato il Duce. Le cose da sapere, dal contesto storico all’organizzazione, fino alla messa in atto e alla conseguenze.

Il contesto storico

La marcia su Roma avvenne dopo anni di violenze squadriste contro sedi e iscritti di partiti e sindacati di sinistra, in un contesto democratico compromesso dal susseguirsi di governi deboli e di forti tensioni sociali.

Le tensioni del dopoguerra

L’Italia, che aveva appena vissuto l’esperienza della prima guerra mondiale, con l’esito di quella che molti definirono una “vittoria mutilata”, stava vivendo una profonda crisi: la lira si era svalutata, mentre il costo della vita era aumentato. L’apparato produttivo del Paese non era inoltre in grado di assorbire la manodopera di ritorno dal fronte. Povertà e disagio portarono a un clima da guerra civile, con scontri tra manifestanti e forze dell'ordine. È in questo contesto che si inserisce il “biennio rosso”, caratterizzato da una serie di lotte operaie e contadine che ebbero il loro culmine nell'occupazione delle fabbriche nel settembre 1920.

Lo scenario politico

Le principali forze politiche del primo dopoguerra erano il Partito Socialista e il raggruppamento dei liberali, che aveva vinto le ultime elezioni prima del conflitto (1913). Nel 1919 fu fondato il Partito Popolare, guidato da don Luigi Sturzo: il movimento era stato voluto dallo stesso papa Benedetto XV, che per allontanare le masse dal socialismo arrivò ad abolire il non expedit, cioè il divieto per i cattolici italiani di partecipare alle elezioni e in generale alla vita politica. Le frustrazioni della destra nazionalista trovarono sfogo  nell’impresa di Fiume di Gabriele d’Annunzio, che nel 1919 occupò la città con un governo provvisorio, chiamato Reggenza italiana del Carnaro. Nel periodo dell’ascesa del fascismo nacquero anche il Partito Comunista (da una scissione socialista) e il Partito Liberale Italiano, che rappresentava la tradizione moderata.

I fasci di combattimento e l’ascesa di Mussolini

In questo scenario presero corpo i Fasci italiani di combattimento, movimento politico fondato da Benito Mussolini (in precedenza esponente di spicco del Partito Socialista Italiano) sulle ceneri del Fascio d'azione rivoluzionaria, movimento interventista nato allo scoppio della prima guerra mondiale. 

Il programma dei fasci di combattimento

Il 23 marzo 1919, nella sala riunioni del Circolo dell'alleanza industriale di piazza San Sepolcro a Milano, furono ufficialmente fondati i Fasci italiani di combattimento. Il Programma di San Sepolcro, pubblicato il 6 giugno su Il Popolo d'Italia, quotidiano fondato nel 1914 da Mussolini per dare voce all’interventismo, si caratterizzò per le tematiche nazionaliste. Prevedeva numerose proposte di riforma politica e sociale: tra esse instaurazione della Repubblica, suffragio universale esteso alle donne, istituzione del referendum popolare, abolizione del Senato di nomina regia, titoli nobiliari, coscrizione obbligatoria. I Fasci di combattimento erano all’inizio un movimento eterogeneo, che intendeva canalizzare differenti correnti di opposizione, prive di solidi riferimenti politici.

Lo squadrismo

Lo squadrismo prevedeva l'uso di squadre d'azione paramilitari armate, che avevano lo scopo d’intimidire e reprimere violentemente gli avversari politici, bloccando scioperi e manifestazioni, sia quelle del movimento operaio che contadino. Le spedizioni punitive non prevedevano solo l’olio di ricino, ma anche manganellate e violenze di ogni genere: nel giro di un paio di anni ci furono centinaia di morti. Nel mirino delle “squadracce” finirono anche studenti universitari e persino la sede del quotidiano socialista Avanti!, diretto da Mussolini tra il 1912 e 1914, che fu incendiata.

I consensi del movimento

Il movimento fascista si basava su antisocialismo, nazionalismo e uso della violenza. Ebbe però tra i suoi fautori diversi intellettuali dell’epoca. Oltre al già citato Gabriele D’Annunzio, anche il poeta Giuseppe Ungaretti fu un fervente fascista e insieme a lui il collega Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo. E poi Luigi Pirandello, Curzio Malaparte, Salvatore Di Giacomo e Ildebrando Pizzetti, senza dimenticare Margherita Sarfatti, critica d’arte e frequentatrice di salotti, che aiutò il giovane amante Mussolini nella sua affermazione sociale: nel 1925 firmarono, insieme a molti altri, il Manifesto degli intellettuali fascisti.

Le elezioni politiche del 1919 e amministrative del 1920

L'attività fascista subì un arresto con i modesti risultati delle elezioni politiche del 1919, che videro l’ascesa di Partito socialista e Partito popolare, per poi prendere nuovo vigore nell’estate del 1920, in vista delle amministrative, con gli squadristi al servizio degli interessi agrari e degli industriali contro gli scioperi dei contadini e l'occupazione delle fabbriche. Il tutto nell’immobilismo delle amministrazioni e dell'esercito: le squadre fasciste, forti dell'inclusione di ex militari, iniziarono così a colpire sempre più forte. Il culmine fu raggiunto a Bologna con la strage di Palazzo d'Accursio: il 21 novembre un nutrito gruppo di squadristi attaccò la folla riunitasi in occasione dell'insediamento della nuova giunta comunale presieduta dal sindaco socialista Enio Gnudi. Ci furono 11 morti. In quell’occasione fu aggredito anche 
Nicolò Bombacci, allora deputato socialista, che poi sarebbe diventato un fedelissimo di Mussolini.

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La marcia su Roma

Il clima da guerra civile, facilitato dall’immobilismo delle istituzioni, preparò il terreno per la marcia su Roma. 

Le elezioni del 1921 e il patto di pacificazione

La situazione dell'ordine pubblico portò Giovanni Giolitti, Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia, a sciogliere il parlamento a marzo 1921, indicendo nuove elezioni per il 15 maggio. La tornata elettorale, che portò al governo Ivanoe Bonomi, vide una flessione per i socialisti e l'ingresso di una trentina di fascisti alla Camera, principalmente tramite le liste del Blocco nazionale. Il tutto in un clima di tensioni e violenze: da qui il 3 agosto la firma del patto di pacificazione tra socialisti e fascisti, accordo di tregua che voleva far uscire il Paese dalla china verso la guerra civile.

La nascita del Partito Nazionale Fascista

Il patto consisteva in un generico impegno di rinuncia alla violenza da ambo le parti, anche se esse venivano messe in atto nella stragrande maggioranza dagli squadristi. E, sostanzialmente, non fu rispettato: gli scontri non solo non si arrestarono, ma in varie località persino aumentarono. Il patto di pacificazione aveva tra l’altro portato a tensioni interne nel movimento fascista, in quanto i più intransigenti mal sopportavano il tentativo di Mussolini di accreditarsi come elemento moderato. A novembre, in occasione del terzo Congresso dei Fasci italiani di combattimento, Mussolini sconfessò così l’accordo. I fascisti riconobbero la sua guida politica e accettarono la trasformazione del movimento in un partito vero e proprio. Il 9 novembre 1921 nasceva così il Partito Nazionale Fascista.

Le minacce di un colpo di Stato

Rispetto ai Fasci di combattimento, il PNF abbandonò gli ideali tendenti al socialismo e repubblicani, per virare decisamente verso la destra dello scacchiere politico. Nella prima metà del 1922, l'azione dello squadrismo assunse un carattere sistematico e organizzato, in vista di eventi insurrezionali a livello nazionale. Dopo le violenze perpetrate in estate, si diffusero sempre più insistenti le voci di un colpo di Stato. 

«La marcia su Roma è in atto. Non si tratta, intendetemi bene, della marcia delle cento o trecentomila Camicie nere, inquadrate formidabilmente nel Fascismo. Questa marcia è strategicamente possibile, attraverso le tre grandi direttrici: la costiera Adriatica, quella Tirrenica e la valle del Tevere, che sono ora  totalmente in nostro assoluto potere. Ma non è ancora politicamente inevitabile e fatale [...] Che il Fascismo voglia diventare Stato è certissimo, ma non è altrettanto certo che, per raggiungere tale obbiettivo, si imponga il colpo di Stato», disse Mussolini in un’intervista a Il Mattino, pubblicata l’11 agosto. Il 20 settembre, in occasione di un comizio tenuto a Udine, escluse un attacco contro la monarchia, strizzando l’occhio a re Vittorio Emanuele III. A metà ottobre iniziarono i preparativi per la marcia su Roma.

La marcia e la posizione del Re

Nel corso di una serie di riunioni a Milano, i vertici del PNF stabilirono il piano della marcia su Roma, che comprendeva l’occupazione degli edifici pubblici nelle principali città del regno, un ultimatum al governo Facta per la cessione generale dei poteri dello Stato, l’entrata nella Capitale e la presa di possesso ad ogni costo dei Ministeri. Proprio nei giorni di una nuova crisi di governo, il 24 ottobre si tenne a Napoli il congresso del PNF («O ci daranno il Governo o ce lo piglieremo noi calando su Roma», disse Mussolini in un discorso), poi il 26 iniziò l’adunata a Perugia, città scelta come quartier generale. Da qui i quadrumviri Italo Balbo, Emilio De Bono, Cesare De Vecchi e Michele Bianchi, nominati qualche giorno prima da Mussolini, coordinavano le operazioni. L'obiettivo del futuro Duce era estromettere Facta e ottenere la guida del Paese forzando la mano al re, che avrebbe dovuto decidere, durante lo svolgimento di quella manifestazione eversiva, se cedere alle pressioni fasciste o dichiarare lo stato d'assedio, rischiando la guerra civile. I fascisti partirono alle prime ore del 28 ottobre marciando da Foligno, Monterotondo, Santa Marinella e Tivoli: erano in totale circa 16 mila. Quando il governo Facta decise di proclamare lo stato d’assedio, Vittorio Emanuele III rifiutò di firmare il decreto, circostanza che portò alle dimissioni del Presidente del Consiglio, lasciando il Paese senza governo e fuori controllo. In mancanza del decreto non dovevano essere applicati i relativi provvedimenti e dunque i fascisti non ebbero alcuna opposizione. La manifestazione terminò il 30 ottobre, quando il re incaricò Mussolini di formare un nuovo governo.

Il nuovo governo

Mussolini presentò la lista dei ministri la sera stessa. Il giorno successivo si svolse la sfilata dei fascisti all'Altare della Patria e al Quirinale. «Avrei potuto fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto», disse il 16 novembre, nel primo discorso in veste di Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia, alla Camera dei deputati. Mussolini formò un governo di coalizione, che fino all’1 luglio 1924 fu composto da esponenti fascisti, popolari, liberali e nazionalisti. Inizialmente lasciò appunto liberi stampa e partiti, dichiarando che lo Statuto Albertino non sarebbe stato toccato: ma già a dicembre iniziò l’istituzionalizzazione delle camicie nere con la creazione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, forza armata posta sotto il diretto controllo del capo del governo, in violazione appunto dello Statuto Albertino secondo cui tutte le forze dovessero essere sotto il comando del re. 

Controversie

Avvenuto in giorni di grande caos, l’episodio della marcia su Roma presenta alcune controversie.

La durata della marcia: era davvero il 28 ottobre?

C’è chi considera come data di inizio della marcia su Roma il 26 ottobre, giorno in cui i fascisti si adunarono a Perugia. Il programma prevedeva la presa di una serie di prefetture, che si verificò già il 27. E parte delle camicie nere, probabilmente, iniziò a marciare verso la Capitale già nella sera di questo giorno, giungendo a Roma alle prime ore del 28.

Il ruolo di Mussolini

Mussolini non marciò su Roma in prima persona. Mentre le camicie nere si avvicinavano alla Capitale, seguiva invece gli sviluppi da Milano, dove aveva la direzione del giornale Il popolo d'Italia. Fu una sorta di bluff: in caso di esito negativo dell’evento eversivo, Mussolini avrebbe avuto modo di fuggire. Giunse a Roma il 30 ottobre, viaggiando in treno, in vagone letto, solo dopo aver avuto la certezza che il re non aveva firmato il decreto per lo stato d’assedio e che, dunque, avrebbe avuto l’incarico di formare un nuovo governo.

Le elezioni del 1924, il delitto Matteotti e la dittatura

Il 6 aprile 1924 si svolsero le successive elezioni politiche, segnate da un clima di intimidazione e da ripetute violenze da parte dei sostenitori del Partito Nazionale Fascista, che alle urne ottenne il 65% delle preferenze. Il 30 maggio, durante una seduta parlamentare, il segretario socialista Giacomo Matteotti denunciò violenze e brogli elettorali: fu rapito e assassinato il successivo 10 giugno. Il 25 gennaio 1925, Mussolini tenne di fronte alla Camera un discorso convenzionalmente considerato come l’inizio della dittatura, in cui si assumeva la responsabilità dell’omicidio. Di fatto, quelle del 1924 furono le ultime elezioni multi-partitiche a sovranità popolare in Italia, prima dell'avvento della dittatura fascista. Con quelle del 1929 si aprì infatti la fase di "normalizzazione" del regime: da allora in poi i deputati non furono più determinati dalla sovranità popolare.