Piero Manzoni: biografia d'artista

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Ingegnoso, libero quasi ad apparire talvolta scandaloso: lo stile del lavoro artistico di Piero Manzoni ha reso immortale l'autore di Merda d'artista. Scopriamo i significati delle più famose opere del pittore nato a Soncino nel 1933 e scomparso prematuramente.

Piero Manzoni nasce a Soncino, nella provincia di Cremona il 13 luglio 1933, ma è noto ovunque per le sue opere esposte in tutti i principali musei del mondo. Idee dal carattere provocatorio, come la più nota: Merda d'artista, eppure dietro ogni capolavoro apparentemente dadaista si cela un'opera concettuale. Suo padre era conte, la famiglia della madre era proprietaria dell'azienda tessile Filanda Meroni.

Originario di Soncino, crebbe a Milano, dove terminò gli studi classici dai gesuiti, dopo dal 1950 prese lezioni private di pittura da cui apprese i primi rudimenti tecnici; avrà, in seguito, anche un breve passaggio alla scuola libera del nudo dell’Accademia di Brera. Infine, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza all'Università Cattolica. A Milano la famiglia si stabilì prima in via Saffi e, dal 1938, in via Cernaia 4, a un passo da via Brera, quartiere che Piero amava frequentare, stringendo molte amicizie nell'ambito dell'arte. Anche in vacanza andava al mare ad Albissola in Liguria, dove incontrò Lucio Fontana, il fondatore dello spazialismo, quindi, suo amico d'infanzia.

La sua formazione come artista avvenne in modo affatto didattico, pare anzi che egli assorbisse manualità e capacità creative dalle suggestioni scaturite in lui dagli incontri con gli artisti e i galleristi che costellavano la sua vita personale e professionale. Il 6 febbraio 1963, Manzoni neanche trentenne morì improvvisamente di infarto a Milano, nel suo studio in via Fiori Chiari. Maurizio Cattelan riconoscendo la portata rivoluzionaria di Manzoni nell'arte contemporanea, a Carrara, nel suo Cimitero degli artisti, gli dedica una lapide, una sepoltura certo non prestigiosa come quella che Alessandro Manzoni, gode nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano.

Piero Manzoni apparteneva a una corrente artistica?

Il famedio è destinato, infatti, alla sepoltura o alla memoria di personaggi illustri. Piero Manzoni lo fu a livello internazionale: immediatamente dopo la sua morte, sono arrivate richieste dall'Italia e dall'estero.  Come tutti i più grandi artisti, Piero Manzoni non può essere circoscritto a una sola corrente artistica, ma è un esploratore dei maggiori movimenti artistici del suo tempo, per cui non può che anche rappresentare il fondatore di alcuni di essi. Sicuramente è il più grande artista concettuale che l'Italia (e il mondo) possa vantare.

Le opere dell'artista irriverente

Nel 1953 Piero Manzoni inizia a dedicarsi più stabilmente alla pittura, suggestionato soprattutto dall’ambiente ligure dominato dalle fornaci ceramiche che attraggono molti artisti, Lucio Fontana su tutti. Passato all’Università degli Studi di Milano, inizia a frequentare stabilmente gli studi di Roberto Crippa e di Gianni Dova, legati al Movimento spaziale, promosso dal gallerista Carlo Cardazzo e raccolto intorno a Fontana, e stringe amicizia con i giovani Ettore Sordini e Angelo Verga, con i quali avviene l'esordio in ambito artistico nel 1956, quando Manzoni debutta alla IV Fiera mercato del castello Sforzesco di Soncino. Fu un successo e subito venne riconosciuto il suo spirito innovativo, come si legge in un articolo della “Provincia”: “Il Manzoni, seguace di un personalissimo stile surrealista ha iniziato un nuovo modo pittorico, dipingendo con chiavi intinte nel colore. Ne sono uscite due opere, Papillon fox e Domani chi sa permeate di strane tonalità, che hanno costituito un autentico fascino di richiamo per tutti i visitatori”.

Domani chi sa

Domani chi sa rappresenta proprio quelle chiavi intinte nel colore, anticipando le accumulazioni di Fernandez Arman e addirittura la reificazione degli attrezzi di Jim Dine, pop-artista che fa letteralmente entrare gli oggetti nelle sue opere, ricalcandone con il colore le sagome di attrezzi vecchi, che fanno parte di un’iconografia personale dell’artista, sono simboli autobiografici che rappresentano l’infanzia di Dine trascorsa a Cincinnati dove la sua famiglia era proprietaria di un negozio di ferramenta. 

Achromes

L'anno successivo partecipa alla mostra Arte Nucleare, alla galleria San Fedele di Milano: dipinge sagome antropomorfe e quadri con impronte di oggetti. Realizza inoltre i primi Achromes (1957) – neologismo introdotto da Piero Manzoni –, ossia grandi superfici bianche imbevute di colla e caolino (un'argilla bianca impiegata nella produzione della ceramica), che simboleggiano il punto zero dell'arte, cancellandone tutte le sovrastrutture, mostrandoci soltanto la tela e il colore non colore. Gli Achromes caratterizzeranno tutta la produzione di Manzoni con evoluzioni, come l'accumulo di oggetti, specialmente di alimenti, in particolare michette, e materiali soffici come la bambagia, o altre fibre sia naturali che artificiali, come il polistirene, sempre rigorosamente bianche o imbiancate. Così gli Achromes, da un lato mantengono la tradizione della pittura aniconica del secondo dopoguerra, dall'altro inventano un nuovo bassorilievo ready-made.

Fontana da amico diventa suo collezionista e ammiratore, come scrive nel testo introduttivo alla mostra “Manzoni, Sordini, Verga”, della galleria Pater di Milano: “Seguo da tempo l’attività, le ricerche, l’inquietudine di questi tre giovani artisti, ed anzi alcuni loro lavori fanno parte della mia piccola collezione d’arte moderna. Sono convinto che le loro recenti opere abbiano una parte importante nel campo della giovane pittura, perciò è con tutta stima ed entusiasmo che mi sento di appadrinare questa loro mostra”.

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Il progetto Azimuth

Nel 1958 espone insieme a Lucio Fontana ed Enrico Baj. Inizia la collaborazione con Enrico Castellani e Agostino Bonalumi. Nel 1959 fonda la rivista Azimuth, a cura di Manzoni e Castellani, con indirizzo quello di casa Manzoni in via Cernaia 4, e la Galleria Azimut. Si tratta di un'esperienza breve, ma intensa e radicale che lascerà segni profondi nella cultura artistica del Novecento; come il percorso di Manzoni. Due soli numeri per la rivista (settembre 1959 e maggio 1960), ma i giovani “curatori” riusciranno a coinvolgere personalità già affermate, come Lucio Fontana e Gillo Dorfles e soprattutto le nuove generazioni di artisti e intellettuali, da Vincenzo Agnetti a Yves Klein, fino agli esponenti del Gruppo Zero di Düsseldorf, pubblicando testi o immagini di autori per loro comunque “attuali”, da Kurt Schwitters a Jasper Johns, e molti altri.

Corpi d'aria e fiato d'artista

Lo stile di Manzoni diviene sempre più radicale. Come l'amico Lucio, supera la superficie del quadro e propone una serie di opere provocatorie, sempre più distanti dalla tradizione. Di questo periodo sono i Corpi d’aria e i Fiato d'artista, ossia palloncini gonfiati con il fiato di Manzoni, perché una costante dell'artista cremonese sarà mettere anima e corpo nelle sue opere, a rivendicarne l'indiscussa paternità, in un'epoca in cui potrebbe essere negata vista la sempre maggiore riproduzione in serie e la contraffazione.

Consumazione dell'arte dinamica del pubblico divorare l'arte

Lo fa soprattutto con le sue Impronte d’artista, apponendo a ready-made la sua impronta digitale, il sigillo più immediatamente riconoscibile e identificante. Ad esempio segnano la storia dell'arte le Uova con impronta, protagoniste il 21 luglio del 1960 alla Galleria Azimut di Milano di una delle performance più famose di Manzoni: la Consumazione dell'arte dinamica del pubblico divorare l'arte. L'artista firma con l'impronta del pollice alcune uova sode cotte in forno che vengono consumate o non consumate sul posto dal pubblico. Chi ne riconobbe l'impresa artistica, infatti non le mangiò, come i coniugi mecenati Boschi – Di Stefano, il cui uovo sodo, dalla loro casa-museo è passato ora al Museo del Novecento di Milano. La performance apparentemente semplice nel suo svolgimento, è filosoficamente complessa nella sua ideazione, perché simboleggia il pensiero artistico di Piero Manzoni: in un periodo in cui, in diversi casi, l’arte veniva concepita non solo sul piano concreto dell’opera ma anche sul piano concettuale, tentando di superare i limiti ancora legati a una visione materica di essa, l’unica via per permettere agli spettatori di poterne godere e poterla contemplare a pieno, era quella di metterli nella condizione effettiva di poterlo fare. Mangiare l'uovo marchiato da / di Piero significava, infatti, partecipare a una eucarestia, per cui ingerire il prodotto dell’artista avrebbe equivalso a vivere una sorta di comunione fisica con lui. L'uovo non è scelta casuale, ma simbolo in arte efficace dai tempi dei tempi. Compare già nella vita degli etruschi e poi dei romani come simbolo di ricchezza e di fertilità, apriva i pasti per il concetto di vita e di morte che racchiudeva in sé (il detto ab ovo usque ad mala, dall'uovo sino alle mele, stava proprio a indicare il riferimento ai pranzi romani, che appunto iniziavano con le uova e terminavano con la frutta), passando per la Madonna dell'uovo di Piero della Francesca, a Brera, in un certo senso già opera concettuale perché l'uovo pendente dalla conchiglia è anche il volume del volto della Vergine; sino alle uova d'oro con tagli (1967) dell'amico Fontana, rappresentazione del seme primordiale da cui tutto ha inizio. L'uovo con impronta segna un momento fondamentale per l'arte contemporanea, non solo con la nascita dell'arte concettuale, ma pure sollevando la questione della opposizione alla contraffazione e della conservazione di alcune opere dell'arte contemporanea, perché opere come le uova sono deperibili, o i tagli di Fontana sono logorabili e necessitano modi di conservazione e restauro completamente nuovi. 

La sera della performance Piero espone anche nuovi Achromes, realizzati con i materiali più vari, dalla fibra di vetro ai pani plastificati, alcuni rigorosamente bianchi, altri in colori fosforescenti.

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Foto di Laura Cusmà Piccione

Sculture viventi e il Socle du Monde

Nel 1961, alla galleria La Tartaruga di Roma, Piero Manzoni firma degli esseri umani messi su piedistallo per elevarli a Sculture viventi. Manzoni certificò l’autenticità di numerosi uomini-scultura. Anche Mario Schifano, che qualche mese prima aveva tenuto una personale nella stessa galleria, viene “firmato” da Manzoni. I modelli viventi sono resi sculture grazie a una base magica capace di elevarli a opere d’arte.

Nel 1961 Manzoni realizza la sua prima Base magica, da cui trae numerose copie. In particolare, il Socle du Monde con cui Manzoni si appropria con tracotanza della creazione del mondo intero con un gesto semplice e geniale: rovesciare una Base magica – come indica l’orientamento della scritta che vi è incisa, capovolta rispetto all’osservatore – in modo che, anziché “magicamente” rendere un’opera d’arte qualsiasi cosa venga posta su di essa, tramuti in opera d’arte l’intero pianeta che le sottostà. Il Socle du monde è un parallelepipedo di ferro di 82 x 100 x 100 centimetri che nell’estate del ’61 l'artista di Soncino colloca nel parco della fabbrica Angli, a Herning in Danimarca; e su cui sta scritto appunto “Socle du monde – Socle magique n. 3 de Piero Manzoni – 1961. Hommage à Galileo”, per il gesto copernicano che impone all'osservatore.

Merda d'artista

Nello stesso anno mette in vendita le scatolette di Merda d'artista, l'opera più ready-made e più intimamente corporale prodotta dall'artista. Inscatola in barattoli di latta le proprie feci. E poi appone l'etichetta: “«Merda d'artista. Contenuto netto gr. 30. Conservata al naturale. Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961”. E sulla parte superiore del barattolo è apposto un numero progressivo da 01 a 90, insieme alla firma del produttore.

Nessuno ha mai verificato il contenuto di Merda d'artista, o come ha rivelato Agostino Bonalumi, amico di Piero Manzoni, al Corriere della sera: “Posso tranquillamente asserire che si tratta di solo gesso. Qualcuno vuole constatarlo? Faccia pure. Non sarò certo io a rompere le scatole”. 

Nella sua arte Piero Manzoni mette davvero corpo e anima al punto che progettava anche di versare il suo sangue in fiale di ‘sangue d’artista’, che però non realizzò mai, colto ancora giovane da infarto.

Linee infinite

Insomma, non sapremo mai se si tratta di una burla di Piero che si divertiva con il pubblico, come con la serie di scatole cilindriche con dentro semplici linee tracciate di suo pugno, ma senza alcun disegno. Le linee sono tracciate su strisce di carta, arrotolate e chiuse in cilindri di cartone etichettati e firmati. Anche i Boschi -Di Stefano ne avevano una. La Linea di Herning (m.7200), realizzata in Danimarca nel 1960, è la prima di un progetto mondiale: linee sepolte nelle principali metropoli del mondo, per eguagliare con la loro lunghezza la circonferenza terrestre. La Linea di lunghezza infinita porta alle conseguenze estreme questo ideale artistico: un cilindro di legno senza aperture racchiude idealmente una linea che esiste soltanto come puro concetto.

Arte verbo-visuale

Nel 1962, Manzoni progetta con l'editore Jes Petersen la pubblicazione di un libro dalle pagine bianche: Piero Manzoni. The Life and the Works, aggiudicandosi un posto anche nell'arte verbo-visuale, che in realtà Piero Manzoni aveva già esplorato, “violando” l'assenza di colore dei suoi Achromes, nella serie Alfabeto, il cui primo esemplare del 1958 è realizzato a partire da una superficie di caolino – cioè, appunto, da un Achrome. In Alfabeto, a essere svuotato non è il colore, ma alla lettera alfabetica è cancellato il suo potenziale narrativo attraverso la riproposizione fredda e meccanica delle lettere A B C D E F G su sei colonne parallele realizzate con semplici stencil geometrici, a dare meri segni linguistici continui, uniformi, seriali, affatto privi di significante.

Laura Cusmà Piccione