PROTAGONISTI

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Ralf Dahrendorf Amburgo 1929 - Colonia 2009 sociologo e politologo tedesco naturalizzato inglese

Critico del marxismo dogmatico, Dahrendorf ridimensiona drasticamente l’importanza della lotta di classe come conflitto fra soggetti collettivi definiti dal possesso o meno dei mezzi di produzione. Anzi, la classe nel senso di Marx o in quello, più restrittivo, di Weber gli sembra come uno dei numerosi possibili gruppi d’interesse attivi in una società complessa. Il conflitto è perciò descritto principalmente da Dahrendorf come competizione fra gruppi sociali per la conquista di porzioni di quella merce scarsa e distribuita in modo disarmonico che è l’autorità. La relazione fra comando e obbedienza si rivelerebbe perciò assai più forte e decisiva nel produrre gerarchie e diseguaglianze di quella legata al possesso economico delle risorse. In questo senso, se si differenzia criticamente dal marxismo e dal conflittualismo radicale di parte della sociologia europea postbellica, Dahrendorf polemizza però anche con l’indirizzo struttural-funzionalistico nordamericano e con il suo principale teorico, T. Parsons. A questi, preoccupato soprattutto delle ragioni dell’equilibrio e dell’ordine all’interno del sistema sociale concepito come una sorta di organismo vivente e interconnesso, Dahrendorf oppone una visione intrinsecamente positiva del conflitto come elemento dinamico e rivelatore della vitalità di una società. In anni recenti si è dedicato a un’appassionata rivisitazione delle ideologie, sviluppando l’idea di un nuovo liberalismo progressista. Importanti i suoi contributi alla tematica europeistica. Sue opere principali sono: Classi e conflitto di classe nella società industriale (1957), Homo sociologicus (1964); Conflitto e libertà (1972), La libertà che cambia (1975), Il conflitto sociale nella modernità (1988), Riflessioni sulla rivoluzione in Europa (1990), Dopo la democrazia (2001).

Émile Durkheim Épinal 1858 - Parigi 1917 sociologo francese

La sua produzione scientifica lo colloca fra i massimi esponenti delle rinnovate scienze sociali europee. Durkheim rivendica anzitutto l’autonomia di contenuti e di metodi della sociologia rispetto alla tendenza a estendere allo studio degli uomini in società le regole e le leggi di proprie delle scienze naturali. Critico del biologismo, afferma il primato del “fatto sociale” anche nei confronti della psicologia, dimostrando come persino fenomeni tradizionalmente indagati a partire dalla sfera della soggettività debbano essere interpretati muovendo dalla loro configurazione sociologica. Esemplare è in materia la ricerca Il suicidio del 1897, che dimostra con rigore statistico il nesso fra declino della solidarietà e del sentimento di appartenenza comunitaria (anomia) e propensione a un tipo di suicidio “anomico”, appunto, del tutto diverso dal suicidio “altruistico” (basato sul sacrificio di sé motivato da una totale identificazione con i valori del gruppo) e da quello “egoistico”, prodotto di una disperata rivolta contro il rifiuto (tipico il suicidio d’amore). E a Durkheim appartiene la prima compiuta definizione del concetto di anomia come situazione di crisi del sistema di norme e valori capace di garantire la coesione di un aggregato sociale. Una crisi a cui sarebbero particolarmente esposte proprio quelle società della modernità industriale caratterizzate da un’accentuata divisione del lavoro e specializzazione delle funzioni. Al centro della teoria di Durkheim è, insomma, una visione complessa dell’evoluzione sociale, fuori delle ingenuità e degli schematismi della vecchia sociologia positivistica che tende a ricondurre al fatto sociale la stessa coscienza individuale. La società si presenta quindi, nell’approccio di Durkheim, come un insieme superindividuale, a forte connotazione etica e in cui la dimensione delle norme e delle istituzioni ha un ruolo centrale. In questa prospettiva, le relazioni fra soggetto individuale e aggregato sociale possono essere regolate da forme di solidarietà “meccanica” (legami primari di tipo familiare o comunitario, come nelle società primitive o tradizionali) o, viceversa, da dinamiche secondarie, connesse alla divisione del lavoro e a più articolate funzioni sociali (solidarietà “organica”). Critico verso tutte le pretese di individuare leggi dello sviluppo storico, Durkheim inaugura anche attraverso importantissimi studi etnoantropologici sul mito, il totemismo e la ritualità nelle comunità primitive australiane un indirizzo di indagine particolarmente attento al significato delle funzioni sociali. Al suo insegnamento si richiameranno infatti, seppure criticamente e con significative distinzioni di metodo, numerosi sociologi ed etnologi di scuola funzionalistica. Tra le opere: Sulla divisione del lavoro sociale (1893), Le regole del metodo sociologico (1895), Il suicidio (1897), Le forme elementari della vita religiosa: il sistema totemico in Australia (1912), Educazione e sociologiae L’educazione morale (postume, 1922 e 1925).