Il Risorgimento italiano

I moderati: Neoguelfi e Liberal-radicali

Le continue sconfitte di Mazzini rafforzarono le teorie dei liberal-moderati. Due le correnti di pensiero: una, che vedeva nella Chiesa e nei Savoia potenti mezzi di unificazione spirituale e nazionale italiana, detta neoguelfa; l'altra liberal-radicale che, contro Mazzini e i moderati, auspicava una federazione repubblicana. Vincenzo Gioberti (1801-1852) fu il principale esponente del neoguelfismo. Egli, nell'opera “Del primato morale e civile degli Italiani” (1843), affermò che l'iniziativa per l'unificazione non competeva alle masse, ma ai governi costituiti. Fu Gioberti a teorizzare una confederazione di Stati capeggiata dal Papato. La sua idea aprì un dibattito cui partecipò anche Cesare Balbo (1789-1853). In Delle speranze d'Italia (1844), Balbo, realisticamente, auspicava una confederazione di Stati da realizzarsi, quando l'Austria avesse abbandonato spontaneamente il Lombardo-Veneto, sotto l'egemonia piemontese. Intervenne nel dibattito anche Massimo d'Azeglio che nell'opuscolo Degli ultimi casi di Romagna (1846) condannò ogni metodo insurrezionale. I Liberal-radicali di ispirazione repubblicana, dal canto loro, affondavano le proprie radici nella tradizione illuminista milanese. Carlo Cattaneo (1801-69, fondatore nel '39 della rivista Il Politecnico) e Giuseppe Ferrari (1811-76) entrarono in contatto con il razionalismo settecentesco grazie alla mediazione del filosofo Giandomenico Romagnosi (1761-1835). Essi avversavano tanto il misticismo romantico e la fiducia nelle cospirazioni di Mazzini, quanto le ipotesi di unificazione legate all'espansionismo di casa Savoia e alla superiorità spirituale della Chiesa. Cattaneo e Ferrari miravano a una confederazione repubblicana di Stati da conseguirsi attraverso un rivolgimento popolare.