Le civiltà orientali

La Cina alla fine della dominazione mongola

Nella storia della Cina si possono elencare tre costanti: il sistematico ricambio delle sue élites dirigenti per rottura rivoluzionaria, a seguito di rivolte popolari o di invasioni; la straordinaria continuità del sistema di potere centrale e periferico grazie a una tradizione consolidata di apparati e di quadri amministrativi (mandarinati); la forte capacità da parte della civiltà autoctona di assimilare le civiltà esterne, che ha consentito alla Cina di estendere la propria egemonia politica e culturale su gran parte dell'Asia orientale. Dopo la dominazione mongola della dinastia Yuan (1271-1367) fondata da Kubilay Khan, nipote di Gengis Khan, una rivolta popolare guidata da Chu Yuan-chang scacciò l'ultimo imperatore mongolo Toghan Temur dal territorio cinese e conquistò la capitale Pechino. La dominazione mongola, pur cercando di assorbire la struttura amministrativa cinese, aveva imposto il suo dominio con la violenza, aumentato l'oppressione fiscale sui contadini, reclutati con la forza per eseguire i lavori di arginatura del Fiume Giallo, provocando violente ribellioni. Chu Yuan-chang, capo della vittoriosa rivolta contadina, assunse il nome di Hung-wu e fondò la dinastia Ming (della Luce), 1368-1644, che portò la Cina al suo massimo splendore. La dinastia Ming distribuì la terra appartenuta ai mongoli a tutta la popolazione, privilegiando i grandi latifondisti; ogni movimento terriero fu accuratamente censito nei libri catastali. Anche la popolazione fu tutta censita per rendere più efficiente il sistema di riscossione delle imposte. Sotto il regno di Yung-lo (1402-24) fu riedificata la città di Pechino destinata a ospitare la residenza imperiale (la Città Proibita). Durante la dinastia Ming fu incrementato lo sviluppo di un'imponente organizzazione burocratica centrale e periferica, conformata agli ideali confuciani e selezionata attraverso un rigido processo di formazione ed esami letterari, condotti sui cinque classici della letteratura cinese. I mandarini infatti erano gli alti funzionari cinesi civili e militari che costituivano uno strato sociale di elevata condizione economica, rispettati e stimati in quanto servitori dell'imperatore. Le fazioni di corte degli eunuchi (i servitori personali) e dei grandi segretari (i funzionari di carriera) durante la dinastia Ming daranno vita a durissimi scontri di potere per esercitare la propria influenza sulle decisioni dell'imperatore. La Cina all'inizio del `600 parve aprirsi alla cultura europea; Matteo Ricci missionario gesuita giunse nel 1601 a Pechino per evangelizzare la Cina. Godette della stima dell'imperatore Wan-li perché puntò ad assimilare nel cristianesimo le tradizioni culturali locali (per es. il culto degli antenati) scontrandosi dal punto di vista teologico con i missionari domenicani e francescani che giudicavano idolatri questi riti (controversia sui riti cinesi). Nel 1557 i Portoghesi si erano stanziati nel porto di Macao, ma l'apertura all'Europa si richiuse anche a causa di problemi interni. Il guerriero Nurhatsi formò un Regno autonomo nella Manciuria orientale (1580-1626). Le rivolte contadine sempre più incontrollabili convisero i Ming a chiamare in aiuto i Manciù che ripresero la capitale, occupata dai rivoltosi, e si impadronirono del potere. Nel 1644 venne fondata la dinastia Manciù dei Ch'ing che durerà sino al 1911, allargando i confini dell'Impero cinese con una lunga serie di guerre. La Cina occupò Taiwan (1683), il Turkestan (1696), la Mongolia (1697), il Tibet (1720), gran parte dell'Asia centrale fu assoggettata all'Impero durante il regno di Ch'ien-lung (1736-96). Numerose rivolte contro i manciù furono fomentate dalle società segrete cinesi (negli anni venti del `700 dalla setta delle Triadi, nel 1775 e 1793 dalla setta buddista del Loto Bianco).