Educazione

Il processo di trasmissione alle nuove generazioni di valori, conoscenze, competenze ha sempre assunto un ruolo centrale nella vita dell’umanità.

L’educazione nell’antichità

Nelle civiltà tradizionali l’educazione non è una funzione specializzata affidata ad alcune istituzioni; dopo il primo periodo di allevamento materno, essa avviene piuttosto nell’ambito collettivo, mediante l’inserimento del fanciullo nel gruppo dei coetanei
e grazie al rapporto diretto con gli anziani. Peraltro, a differenza di quanto avviene
nelle società moderne, in cui la fase giovanile tende a essere smisuratamente prolungata e in cui il raggiungimento dell’autosufficienza non viene favorito in alcun modo, nelle società del passato, e ancora oggi nelle civiltà che risentono in modo minore degli effetti dell’industrializzazione, i giovani raggiungevano la condizione adulta molto precocemente. Lo spirito essenzialmente maieutico che assumeva l’educazione presso gli antichi è illustrato in modo esemplare da Platone nella Repubblica con queste parole: “L’educazione non è tale quale certuni pretendono che sia. Questi, credo, affermano che quand’anche in un’anima non ci sia la conoscenza, essi possono mettervela, come si metterebbe la vista in occhi ciechi. (...) Mentre invece (...) nell’anima di ciascuno di noi vi è la facoltà di apprendere e l’organo mediante il quale ciascuno apprende; e che, come un occhio che non sia capace di volgersi dalla oscurità alla luce, se non con tutto il corpo; così quest’organo dell’anima deve essere stornato con tutta l’anima da ciò che è divenire, fino a che non si renda capace di contemplare l’essere e contemplarlo nella sua parte più luminosa che è, come affermiamo noi, il bene. (...) L’educazione, dunque, è l’arte di produrre questo rivolgimento, e produrlo nel modo più facile e più proficuo, non quella di immettere nell’uomo la facoltà visiva, ma di procurare a chi già possiede la vista, ma è volto male e non guarda dove dovrebbe, la possibilità di questa conversione” (VII, 4). Tipico dell’educazione alle competenze pratiche e lavorative fu invece l’apprendistato, che durò a lungo anche in epoca moderna, con le due dimensioni strettamente connesse dell’apprendimento e del servizio (tra casa e lavoro spesso vi era identità o continuazione). La sottrazione del bambino alla tutela familiare per impartirgli un’educazione comunitaria rigorosamente mirata a formarlo militarmente fu praticata a Sparta. Un paradigma educativo simile a quello spartano fu indicato da Platone, sempre nella Repubblica, opera nella quale propone per la casta guerriera (custodi) una concezione della famiglia estesa all’intera comunità sia relativamente alla procreazione (comunanza delle donne, anche se subordinata ad alcune regole precise) sia relativamente all’educazione dei fanciulli, i quali vengono allevati fin dalla tenera età senza conoscere l’identità dei propri genitori. Nella Grecia classica e poi in età ellenistica, si formalizzò invece per la prima volta un metodo educativo scolastico, imperniato sulla cultura retorico-letteraria e sull’addestramento fisico, inserito in una visione più ampia di formazione permanente dell’uomo (paidéia). Dopo il III sec. a.C., l’insegnamento, tenuto da insegnanti privati specializzati, seguiva le seguenti tappe: iniziava a sette anni presso il didàskalos, il quale insegnava al bambino (impegnato per la maggior parte del giorno) a leggere e a scrivere, i rudimenti della musica e dell’aritmetica, infine l’arte della ginnastica; seguiva quindi il discepolato presso il grammatikòs, maestro di letteratura che guidava la corretta lettura, la scansione metrica della poesia, infine l’esegesi storica e mitologica di capolavori della letteratura: in primis, Omero, quindi i tragici (Euripide), i lirici (Alceo, Saffo, Pindaro), i comici (Menandro); l’ultima fase dell’istruzione, ritenuta indispensabile per l’uomo colto, era impartita dal rhètor, il maestro di retorica, il quale curava l’eloquenza, la capacità di parlare in maniera persuasiva ed elegante. I docenti (retori e sofisti) erano privati e spesso itineranti, ma le funzioni degli insegnanti si specializzarono (lettura e scrittura, musica e ginnastica). Nell’età ellenistica si diffuse nell’area del Medio Oriente l’istituzione del ginnasio, sede, spesso in edifici di grande bellezza (si pensi ai tre ginnasi di Pergamo), dell’educazione dei giovani, diretta da un ginnasiarca. Diversi erano i modi dell’educazione filosofica, affidata a maestri e a scuole (dall’Accademia platonica di Atene, sopravvissuta per nove secoli fino al VI sec. d.C, fino alla scuola aperta a Roma da Plotino nel III sec. d.C.), spesso con sofisticati programmi di ricerca e di insegnamento, indirizzati a un numero di discepoli generalmente non elevato (anche se vi furono “scuole”, come quella cinica, propense a un largo proselitismo filosofico). A Roma, la ripartizione del curriculum scolastico, a partire dal II sec. a.C., ricalcò quella greca, anche grazie all’uso di chiamare maestri greci. Dal I sec. a.C. è ormai robusto lo sviluppo di una scienza grammaticale, di una retorica e di un’eloquenza latine. Ad esempio, negli scritti di Varrone (I sec. a.C.) era usuale distinguere la grammatica in quattro parti: lectio (con l’insegnamento di versi a memoria ed elementi di dizione); enarratio, ossia il personale commento letterale e letterario; l’emendatio, ossia il controllo testuale delle letture, quindi il controllo dello stile (pregi o difetti, originalità); iudicium, ossia una visione critica di insiene del testo, un giudizio estetico sull’opera letta. L’insegnamento era generalmente impartito in scuole tenute da maestri privati: non mancarono sovvenzioni pubbliche, in età imperiale, a grandi maestri (ad es. Quintiliano) e la creazione di cattedre universitarie sovvenzionate dallo Stato (Atene, città rinomata per i suoi insegnanti di retorica e di filosofia, Costantinopoli, Berito Beyrouth, sede di un’importante “università” giuridica). In seguito (sec. IV-V) le scuole si servirono sempre più frequentemente di insegnanti appartenenti al clero cristiano. In tutta l’antichità classica, comunque, l’istruzione scolastica superiore era un fenomeno che riguardava solo ristrette fasce sociali, mentre in alcune epoche e in alcune zone si presume che l’alfabetizzazione sia stata abbastanza alta.

L’educazione nel Medioevo

In età medievale l’educazione venne inserita strettamente all’interno del quadro simbolico delle tappe di avvicinamento a Dio. Il modello scolastico non scomparve: in epoca carolingia anzi si definì un sistema di scuole per imparare i rudimenti del sapere nelle parrocchie, distinte dalle scuole abbaziali o vescovili di livello elevato, mirate prevalentemente alla formazione della gerarchia ecclesiastica. Le scuole superiori comprendevano la formazione letterario-filosofico-scientifica secondo lo schema del “trivio” (grammatica, retorica, dialettica) e del “quadrivio” (aritmetica, geometria, musica, astronomia); completava il sistema la formazione teologica. In Occidente, il monopolio ecclesiastico della scuola popolare durò fino al ’700-’800, senza dimenticare la grande e disciplinata azione educativa delle scuole gesuitiche, diffuse in tutto il mondo cattolico fin dall’inizio del XVII sec. Nell’XI sec., intanto, presso gli studia organizzati nelle sedi vescovili, si era radunato un numero crescente di docenti e studenti, provenienti da ogni parte d’Europa, che dettero vita a gruppi di studio strutturati in corporazioni di docenti e studenti dette universitates magistrorum et scholarium (la più antica a Bologna nel 1088, poi a Parigi nel 1170 ca.), incrementate dalla disposizione papale del 1215, la quale prescriveva la libertà e gratuità degli insegnamento. Nei secoli successivi le Università si moltiplicarono, soprattutto in Italia, Francia. Inghilterra e nella penisola iberica dove costituirono un ponte tra il mondo europeo-cristiano e il mondo islamico: quest’ultimo divenne a sua volta intermediario, in particolare con l’averroismo, della cultura greca. Centro universitario di prima importanza fu lo Studium di Parigi, istituito con la bolla papale Parens Scientiarium nel 1231.

L’educazione nell’età moderna e contemporanea

Durante l’Umanesimo si assistette a un progressivo incremento dell’insegnamento laico. Nuovi modelli pedagogici vennero proposti e diffusi da Vittorino da Feltre (1378-1446, fondatore a Mantova della “Casa Zoiosa”) e dal Comenio (1592-1670): la formazione armonica spontanea della personalità veniva posta come fine principale dell’educazione. L’Università nel XV sec. raggiunse una vasta diffusione in tutta Europa, toccando zone prive di atenei, quali la Scandinavia (Uppsala, 1477), per poi diffondersi nel XVI sec. anche nel continente americano (Università di Lima). Lo spirito controriformistico diede particolare importanza alla formazione dei giovani: vennero fondati nuovi ordini religiosi destinati all’insegnamento, mentre i Collegi istituiti dai Gesuiti in tutta la Cattolicità furono, fino alla metà del XVIII sec., le sedi privilegiate per l’educazione delle classi dirigenti. Un minuzioso curriculum (ratio studiorum) regolava l’insegnamento, fondato sui classici latini e su manuali di filosofia scolastica (celebre la testimonianza di Cartesio nel Discorso sul metodo, 1637). L’Illuminismo introdusse l’epoca delle grandi discussioni intorno ai sistemi pedagogici per la formazione del cittadino, cercando di osteggiare l’educazione impartita dai religiosi (la pubblicazione dell’Emilio di J.J. Rousseau, sorta di romanzo pedagogico, è del 1762). Nell’Ottocento gli Stati liberali promossero la creazione di un sistema di educazione elementare di massa: la gratuità, la necessità e il carattere di mezzo di promozione sociale ne erano le caratteristiche principali. L’analfabetismo cominciò dunque lentamente a recedere, benché in generale la spesa per l’istruzione rimanesse bassa e la diffidenza delle classi subalterne permanesse forte. Un successo, ammirato da tutta Europa, fu il sistema educativo prussiano e quindi tedesco (ideato da K.W. von Humboldt). In Italia una riforma della scuola fu portata a termine da Gabrio Casati (1859-60): essa prevedeva un’istruzione elementare pubblica e obbligatoria della durata di due anni a partire dal sesto anno di età; con la legge Coppino (1877) fu portata a tre anni. La riforma Gentile (1923) introdusse infine il principio dell’esame di Stato, privilegiando un curriculum di tipo umanistico, benché fossero previsti un insegnamento medio di tipo tecnico e un liceo scientifico. La grande epoca della scolarizzazione di massa giunse però dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando l’educazione divenne oggetto della speculazione politica. Mentre i regimi totalitari comunisti (e in precedenza quelli nazisti e fascisti) avevano tentato d’inculcare nozioni politiche e di dare vita a un controllo ideologico degli alunni, gli Stati democratici avevano promosso gli esperimenti educativi più disparati per conciliare (spesso a scapito della cultura umanistica) un’istruzione specialistica con una visione generale della cultura; rilevanti furono anche gli apporti della psicologia, della pedagogia e della docimologia.