Definizione

sf. [sec. XIV; dal greco epilēpsía, propr. attacco]. Gruppo di sindromi caratterizzate da un'alterazione dell'attività bioelettrica cerebrale, consistente in turbe parossistiche che tendono a ripetersi episodicamente, accompagnate da diversi fenomeni motori, sensoriali, vegetativi e a carico dei processi mentali.

Classificazione

Si distinguono un'epilessia idiopatica da una sintomatica (o, con più moderna classificazione, un'epilessia essenziale o primaria e una epilessia a focolaio, che presenta cioè un focus d'irritazione corticale). Nella prima la predisposizione alla crisi è presumibilmente costituzionale, nella seconda si collega a lesioni di varia origine (traumi cranici, encefaliti pregresse, tumori) dell'encefalo. Clinicamente si distinguono un'epilessia generalizzata, in cui la sofferenza interessa tutte le zone corticali, da una parziale, in cui la sofferenza è localizzata in un numero ristretto di aree. Tra le epilessie parziali merita un posto a parte l'epilessia psicomotrice, legata a una sofferenza del lobo temporale. L'epilessia generalizzata si distingue in grande male e piccolo male.

La crisi epilettica

La crisi di grande male inizia con una fase tonica, in cui si hanno arresto del respiro, perdita di coscienza e caduta a terra. Dopo circa trenta secondi segue la fase clonica, caratterizzata da scosse cloniche dei muscoli del volto e degli arti. Dopo qualche minuto il paziente entra in stato comatoso, da cui riemerge in qualche decina di minuti. La crisi di grande male può essere preceduta da uno stato particolare, detto aura, in cui possono essere presenti, variamente associati, fenomeni motori (per esempio, scosse cloniche), allucinazioni, ecc. Nel piccolo male si ha una grande varietà di sintomi: il più tipico è l'assenza – breve perdita di coscienza della durata di pochi secondi, di cui il paziente non conserva alcun ricordo, non seguita da caduta a terra – spesso difficilmente avvertibile anche all'osservatore esterno per la sua estrema transitorietà. Si possono avere anche il piccolo male mioclonico, con brevi scosse muscolari; le crisi acinetiche, con improvvisa perdita del tono muscolare e conseguente caduta a terra; la narcolessia parossistica, con improvvisa caduta nel sonno, ecc. La sintomatologia più tipica delle epilessie parziali è data dalle crisi jacksoniane. Si hanno crisi jacksoniane motorie, con lesioni nella circonvoluzione frontale prerolandica, costituite da scosse cloniche in gruppi muscolari limitati controlaterali; e crisi jacksoniane sensoriali, con lesione nella circonvoluzione parietale postrolandica e alterazioni della sensibilità (anestesie e parestesie) in regioni corporee controlaterali. Come sintomi di epilessia parziale possono anche aversi allucinazioni, crisi vegetative, ecc. Abitualmente il paziente conserva una perfetta coscienza. Nell'epilessia psicomotoria, infine, si ha la presenza di automatismi motori, più o meno complessi, e un notevole abbassamento del livello di coscienza, con presenza frequente di stato confusionale. Nella diagnosi di epilessia è estremamente prezioso l'uso dell'elettroencefalogramma, che rivela specificamente le alterazioni dei bioritmi cerebrali. L'epilessia fotosensibile si manifesta nella seconda infanzia o nel periodo adolescenziale (il suo picco d'incidenza è compreso tra i 12 e i 20 anni) e rappresenta l'1,5% di tutte le forme di epilessia. È dovuta a una particolare sensibilità, geneticamente determinata, alle luci a intermittenza che hanno di solito una frequenza compresa tra i 15 e i 20 Hz. Può essere pertanto scatenata da una prolungata visione degli schermi televisivi e da un uso eccessivo dei videogiochi e della discoteca. In quest'ultimo caso sono le luci stroboscopiche a causare le crisi convulsive. La fotosensibilità è tuttavia un fenomeno età-dipendente, che tende a scomparire con l'età adulta. Le raccomandazioni date dagli esperti sono pertanto quelle di mantenere un'adeguata distanza dallo schermo, utilizzare schermi televisivi a 100 Hz o a cristalli liquidi e di ricorrere a speciali lenti in grado di attenuare la fotosensibilità. Questa forma di epilessia alla pari delle altre, non pregiudica la capacità di apprendimento di un soggetto, che resta compromessa solo nel 17% dei bambini in età scolare. Il 70% degli adulti colpiti da epilessia è inoltre in grado di svolgere un'attività lavorativa.

La ricerca

Il mondo della ricerca ha intrapreso una serie di iniziative per approfondire le cause specifiche della malattia e per trovare nuove terapie con cui impedire la comparsa delle crisi di epilessia. Circa il 70% degli epilettici, infatti, può guarire con i farmaci attualmente in uso o perché la malattia regredisce spontaneamente; resta ancora un 30% che risulta refrattario alle cure. La ricerca genetica ha compiuto importanti passi avanti per l'individuazione di geni legati alle diverse epilessie. Nel 1996 è stato isolato il gene responsabile di una forma di epilessia mioclonica progressiva, detta malattia di Unverricht-Lundborg. Il gene, chiamato Epm-1, si trova sul cromosoma 21 e controlla la produzione della proteina cistatina-B, che apparentemente sembra non avere alcun rapporto con lo sviluppo dell'epilessia. La funzione della proteina è infatti quella di inattivare gli enzimi che degradano i prodotti di scarto delle cellule neuronali. Ma dato che nelle persone malate la produzione della cistatina-B è bloccata, i ricercatori ritengono che, non disattivati, gli enzimi “spazzini” possano migrare in zone della cellula diverse da quelle in cui svolgono normalmente la loro attività e diventare per questo improvvisamente tossici per la cellula stessa. È stato poi individuato un gene coinvolto nelle forme di convulsione benigne neonatali, finora di origine sconosciuta, che nell'85% dei casi cessano entro i sei mesi di età e negli altri casi evolvono verso un'epilessia cronica. Il gene è stato individuato nel braccio lungo del cromosoma 20. Un altro gene che predispone all'epilessia idiopatica generalizzata,sembra essere legato alla regione Hla (antigene leucocitario umano) del cromosoma 6. È questa una “porzione” molto importante del patrimonio ereditario, che controlla una serie di reazioni immunitarie dell'organismo. Queste forme di epilessia potrebbero così anche essere favorite da uno squilibrio in queste reazioni. Prosegue la ricerca anche sulla produzione nel cervello di alcuni neurotrasmettitori, poiché si presume che anche alcune forme di epilessia siano provocate da squilibri in tali sostanze. È stato già individuato come possibile neurotrasmettitore “candidato”, l'acido gamma-amminobutirrico (GABA), che verrebbe bloccato in alcune epilessie, soprattutto quelle trasmesse soltanto per via materna. Nel 2005 ricercatori italiani hanno ideato il modo per localizzare con precisione la zona del cervello che scatena le crisi epilettiche, metodo che permetterà di intervenire chirurgicamente. Il nuovo esame abbina la risonanza magnetica funzionale e l'elettroencefalogramma.

La terapia

La terapia farmacologica funziona nel 70-80% dei casi ricorrendo alle più collaudate molecole di prima generazione, come la carbamazepina, l'etosuccimide, il fenobarbital, l'acido valproico, il primidone e la fenitoina. Per il 20-30% dei pazienti che non risponde al trattamento medico tradizionale si pone il problema di utilizzare rimedi alternativi, come le molecole di seconda generazione, quali il vigabatrin, il gabapentin, la lamotrigina, il felbamato, il topiramato, la tiagabina, il levetiracetam e l'oxcarbazepina. Farmaci, questi ultimi, quasi sempre da utilizzare in associazione ai vecchi principi attivi, a eccezione della lamotrigina che può essere impiegata in monoterapia. Ricorrendo a questi rimedi è possibile ottenere un controllo migliore delle crisi nel 5-8% dei pazienti resistenti al trattamento farmacologico. L'intervento chirurgico è riservato a quel 20% di pazienti con epilessia parziale che non rispondono ai farmaci, che hanno una zona epilettogena unica, stabile nel tempo, non eccessivamente estesa e asportabile senza causare deficit neurologici cronici. L'indicazione principale è per l'epilessia temporale. In questo caso l'operazione guarisce completamente il disturbo nell'80% dei casi e riduce progressivamente i farmaci fino a sospenderli nel 35-50% dei pazienti che vi si sottopongono. I pazienti con epilessia farmacoresistente e che non possono sottoporsi all'intervento chirurgico, possono utilizzare la stimolazione del nervo vago, eseguita per la prima volta in Italia all'ospedale S. Martino di Genova nel 1995. Essa consiste nell'impianto di uno stimolatore elettrico in una tasca sottocutanea del torace, da cui parte un elettrocatetere che viene in seguito fissato al nervo vago di sinistra da due piccole spirali metalliche. Gli elettrodi inviano inizialmente una corrente di bassa intensità che viene in seguito gradualmente aumentata. A prevenire e a ridurre le crisi sarebbe la continuità della stimoazione, che determina modificazioni all'interno dell'encefalo tali da produrre alterazioni strutturali dei neuroni. Nel soccorso d'urgenza a un soggetto colto da crisi convulsiva, bisogna solo allontanare eventuali ostacoli contro cui egli possa urtare per evitare contusioni; inoltre dato che la contrattura è massiva e involontaria, non va in nessun modo trattenuto perché si possono produrre fratture; lo stato crepuscolare di sonno profondo non va turbato perché coincide con un suo recupero cerebrale dall'anossia subita, da cui si riprenderà, dopo un po' di tempo con piena lucidità di coscienza anche se non ricorderà l'accaduto (eclissi cerebrale).

Trovi questo termine anche in:

Quiz

Mettiti alla prova!

Testa la tua conoscenza e quella dei tuoi amici.

Fai il quiz ora