Nuovo Coronavirus e Covid-19: tutto quello che c'è da sapere

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Che cosa sono i coronavirus, la mappa del contagio in Italia e nel mondo, i sintomi, i numeri, la gestione della pandemia.

Cosa sono i coronavirus

Con il termine coronavirus (abbreviato in CoV) si intende un’ampia famiglia di virus respiratori, suddivisi in quattro sottofamiglie contrassegnate dalle lettere greche alpha, beta, gamma e delta. Il nome, che deriva dal greco κορώνη (ghirlanda), è legato al fatto che la superficie dei virioni sia coperta da “punte” (che in realtà sono glicoproteine) che assomigliano, appunto, a una corona.

La maggior parte dei coronavirus colpisce le specie animali, come cammelli e pipistrelli. Molto più rari sono quelli che infettano l’uomo, provocando malattie banali come il comune raffreddore, oppure sindromi respiratorie molto più gravi.

L’ Istituto Superiore di Sanità riporta l’elenco dei sette coronavirus umani che sono stati identificati dagli anni Settanta in poi:

  1. 229E (coronavirus alpha), colpisce umani e pipistrelli e nella stragrande maggioranza dei casi provoca un semplice raffreddore, che si evolve in bronchiolite o polmonite solo quando entrano in gioco altre infezioni.
  2. NL63 (coronavirus alpha), è stato identificato per la prima volta nel 2004 in un bambino olandese ammalato di bronchiolite.
  3. OC43 (coronavirus beta), infetta l’uomo e il bestiame e causa il 10-15% dei casi di raffreddore, soprattutto nei mesi invernali.
  4. HKU1 (coronavirus beta), si genera nei topi e attacca anche l’uomo, scatenando in prima battuta un raffreddore che può poi progredire in polmonite e bronchiolite.
  5. MERS-CoV (coronavirus beta), è all’origine della Mers (Middle East respiratory syndrome). Tale patologia si è diffusa soprattutto nel Medio Oriente, provocando 616 casi accertati e almeno 624 decessi tra il mese di aprile del 2012 e il 13 ottobre 2015.
  6. SARS-CoV (coronavirus beta), provoca la Sars (Severe acute respiratory syndrome), una patologia influenzale che nel 5-10% dei casi richiede la ventilazione assistita o il ricovero in terapia intensiva. L’epidemia si è scatenata tra Hanoi, Hong Kong e Singapore, per poi diffondersi in tutto il Sudest Asiatico e raggiungere anche l’Europa e il Nord America a causa dei viaggi intercontinentali. Tra il 2002 e il 5 luglio 2003, quando l’Oms ha dichiarato ufficialmente che poteva dirsi sotto controllo, sono stati registrati circa 8000 casi e più di 700 decessi.
  7. SARS-CoV-2 (coronavirus beta), causa il Covid-19.

Cosa significa Covid-19

“Le autorità cinesi hanno accertato in via preliminare l’esistenza di un nuovo coronavirus, identificato in un paziente ricoverato per polmonite a Wuhan. I ricercatori cinesi hanno sequenziato il codice genetico del virus, isolando un campione da un paziente positivo”. Inizia così il comunicato stampa del 9 gennaio 2020 con cui l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) comunica ufficialmente la scoperta del virus, che in un primo momento era stato chiamato 2019-nCoV e in seguito è stato ribattezzato come SARS-CoV-2.

Il nome Covid-19 si riferisce invece alla malattia. A comunicarlo per la prima volta, l’11 febbraio 2020, è stato il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus. Le autorità – ha spiegato – hanno volutamente messo a punto un nome che non facesse riferimento esplicitamente a una località geografica, a un animale, a una persona o a un gruppo di persone e che al tempo stesso fosse facile da pronunciare in tutto il mondo. Alla data della conferenza stampa erano stati confermati 42.708 casi in Cina ed era già stata superata la soglia dei mille decessi. Al di fuori dai confini cinesi, i contagi accertati erano 393 con un decesso.

La differenza tra SARS-CoV-2 e Covid-19

Riassumendo, quando si parla di SARS-CoV-2 ci si riferisce al virus, che può presentarsi nell’uomo e negli animali. Quando infetta l’uomo, il virus può provocare la malattia chiamata Covid-19.

La pandemia di Covid-19 del 2019-2020

Era la fine del 2019 quando, nei mercati di animali vivi della provincia cinese dello Hubei, il SARS-CoV-2 ha fatto il cosiddetto “salto di specie” passando dall’animale all’uomo. Da lì ha preso origine quella che l’Organizzazione mondiale della sanità ha definito ufficialmente come una pandemia. Si fa ricorso a questo termine quando:

  • l’agente patogeno risulta particolarmente aggressivo e resistente;
  • il contagio si diffonde in modo esponenziale;
  • i focolai si scatenano contemporaneamente in tante località diverse tra loro.

Quella di SARS-CoV-2 è la seconda pandemia del ventunesimo secolo. È stata preceduta nel 2009 dal virus A H1N1, cioè dalla cosiddetta “influenza suina” che si diffuse dagli Usa al resto del mondo, lasciandosi alle spalle un bilancio compreso tra le 100mila e le 570mila vittime (per l’80% di età inferiore ai 65 anni).

Mortalità e letalità del Covid-19

Se all’inizio il pericolo legato al Covid-19 è stato forse sottovalutato da una fascia della popolazione, è proprio perché mostra parecchie caratteristiche in comune con la ben più innocua influenza stagionale. Sorge spontanea dunque una domanda: tra le persone che si ammalano di Covid-19, quante perdono la vita? Dare una risposta è tutt’altro che scontato perché impone di fare alcune riflessioni e incrociare numerosi dati, che peraltro sono in costante aggiornamento.

Per fare chiarezza è bene partire dalla terminologia, spiegata in modo puntuale dall’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale):

  • La letalità del Covid-19 è la percentuale di persone che muoiono sul totale di quelle positive.
  • La mortalità del Covid-19 è la percentuale di persone che muoiono sul totale della popolazione di un certo territorio.

Se in un paese di 1000 abitanti si accertano 100 contagiati e 50 morti, quindi, il tasso di letalità è pari al 50% e quello di mortalità invece è pari al 5%. Ma occorre operare anche un’altra distinzione:

  • Il tasso di letalità apparente (case fatality rate) è la percentuale di decessi sul numero di contagi confermati. Va da sé che si tratta di un dato più facile da misurare ma parziale, perché ci sarà sempre un certo numero di malati (in primis gli asintomatici) che non vengono sottoposti al tampone.
  • Il tasso di letalità plausibile (infection fatality rate) è la quota di decessi sul totale dei contagiati, anche quelli che non sono mai stati accertati con un test ufficiale. In questo caso l’unica possibilità è quella di fare una stima statistica, incrociando una serie di parametri.

Una volta dissipati i dubbi sulla terminologia, si può passare ai dati:

  • In Italia, dall’inizio del contagio fino al 16 aprile 2020, sono stati riportati 159.107 casi di Covid-19 e 19.996 decessi. Sulla base di questi fattori dunque si può calcolare un tasso di letalità apparente pari al 12,5%, che ovviamente varia di Regione in Regione. A fornire i numeri è il bollettino emanato dall’Istituto Superiore di Sanità.
  • L’Istituto Superiore di Sanità ha preso in esame un campione di 19.996 pazienti deceduti, rilevando che la loro età media è di 79 anni e le donne sono il 34,7%.

L’analisi dell’Ispi tuttavia sottolinea come il dato sulla letalità apparente sia molto criticabile, proprio perché una larga quota delle persone infette (soprattutto quelle con sintomi impercettibili o quasi) non è stata sottoposta al test. Le stime più accreditate, pur con una forbice di errore molto ampia, ritengono che il totale dei contagiati sia dieci volte più alto rispetto ai casi ufficiali. Per giunta, ogni Regione ha criteri diversi per effettuare i tamponi; e il divario si accentua quando si prova a fare una comparazione tra Stato e Stato.
Nei prossimi mesi (o addirittura anni), conclude l’Ispi, sarà possibile calcolare in modo più affidabile la letalità plausibile, che comunque è legata anche alle caratteristiche del territorio: è lecito attendersi che in Italia sia più alta che in Cina, non perché nel nostro Paese il virus sia più pericoloso ma semplicemente perché la popolazione è mediamente più anziana.

Coronavirus (Covid-19): tutti i sintomi

Uno degli aspetti più sfidanti del coronavirus è rappresentato dal fatto che i suoi sintomi si possono facilmente confondere con quelli delle altre sindromi influenzali. Tra i più diffusi, l’Organizzazione mondiale della sanità cita febbre, stanchezza e tosse secca. Alcuni pazienti possono manifestare anche dolori muscolari e un generale senso di indolenzimento, o ancora congestione nasale, naso che cola, mal di gola o diarrea.

Non bisogna quindi immaginarsi una malattia che “esplode” immediatamente in modo inequivocabile, quanto piuttosto un malessere che insorge gradualmente. Otto malati su dieci guariscono senza bisogno di essere ricoverati in ospedale o di sottoporsi a terapie particolari. Esistono anche pazienti asintomatici, il che complica parecchio il tracciamento del contagio.

All’incirca una persona infetta su sei, invece, sviluppa il Covid-19 in forma più seria. Il primo segnale d’allarme sono le difficoltà respiratorie: proprio per questo, l’Oms raccomanda di chiedere immediatamente soccorso se alla febbre e alla tosse si accompagna un senso di oppressione e fatica a respirare. Le categorie più a rischio sono le persone anziane o già soggette a patologie croniche come ipertensione, diabete o problemi cardiovascolari. 
Nei casi più gravi l’infezione si evolve in polmonite, sindrome respiratoria acuta grave o insufficienza renale e può provocare la morte.

Meno noto è il fatto che il Covid-19 possa improvvisamente alterare o ridurre il senso dell’olfatto (in questo caso si parla di iposmia) o addirittura azzerarlo per un certo periodo (anosmia). Una sua logica conseguenza è la perdita del gusto (ageusia), visto che il naso è determinante per distinguere i sapori, tanto quanto la lingua. Come spiega il professor Alberto Albanese, responsabile di Neurologia I all’ospedale Humanitas, questo sintomo è particolarmente comune. Secondo i primi dati mappati tra Cina, Italia e Corea del Sud, l’anosmia interessa una percentuale compresa tra il 30 e il 60% delle persone colpite da Covid-19, anche in assenza di altri sintomi. Tale fenomeno è ancora oggetto di studio.

Coronavirus: come avviene il contagio

Il SARS-CoV-2 è un virus respiratorio che si trasmette da uomo a uomo. Considerato che il suo veicolo principale sono le goccioline del respiro delle persone infette, le principali occasioni di contagio sono:

  • Tosse e starnuti: è quindi importante prendere l’abitudine di tossire in un fazzoletto di carta usa e getta, da gettare subito via, oppure nell’incavo del gomito.
  • Toccare con le mani una superficie contaminata e poi portare le mani alla bocca, al naso o agli occhi; da qui il consiglio di lavare spesso le mani, usare i guanti e igienizzare tavoli, maniglie delle porte o simili spazi che vengono toccati da tante persone diverse. Come sottolinea il ministero della Salute, gli scienziati sono al lavoro per capire con esattezza quante ore sopravviva il virus sulle superfici.
  • Contatti stretti con una persona infetta, dovuti per esempio al fatto che si vive nella stessa casa, che le si presta assistenza, o semplicemente che si trascorre del tempo insieme in ufficio, in un locale o sui mezzi pubblici.
  • Contatto con le feci di una persona infetta, ma questo appare come un rischio secondario sul quale i medici stessi hanno dei dubbi. Un’accurata igiene personale è comunque caldeggiata.

In questo periodo stanno circolando parecchie fake news sulle modalità di contagio, che rischiano di generare allarmismo e distrarre dalle precauzioni davvero importanti. È bene dunque smentire queste false credenze:

  • Non c’è alcuna prova del fatto che gli animali domestici, come cani e gatti, trasmettano il coronavirus.
  • Cambiarsi i vestiti e togliersi le scarpe quando si fa ingresso in casa è una normale precauzione igienica, soprattutto in presenza di bambini. È però improbabile che il coronavirus contamini il cappotto o la suola, soprattutto se si mantengono le distanze di sicurezza.
  • Il virus non si trasmette per via alimentare. Ciò non toglie che i professionisti che manipolano pane fresco, frutta e verdura debbano rispettare le norme igienico-sanitarie vigenti.
  • Non ci sono prove del fatto che le zanzare siano un veicolo di contagio.
  • L’acqua del rubinetto è sicura, perché viene sottoposta a un accurato iter di depurazione e disinfezione.
  • Ricevere spedizioni dall’estero non espone a rischi particolari.

 

Come proteggersi dal Covid-19

Se è vero che soltanto a medici e ricercatori spetta il compito di studiare il Covid-19, assistere i malati e cercare una cura, è vero anche che ogni membro della collettività ha una responsabilità di primo piano: quella di proteggere sé stesso e gli altri. Ripercorriamo quindi le principali precauzioni che tutti sono chiamati ad adottare, indipendentemente dall’età o dallo stato di salute.

Lavarsi le mani

Il lavaggio e la disinfezione delle mani sono la chiave per prevenire l’infezione”, afferma il ministero della Salute, che ha pubblicato anche un tutorial video. La prima scelta è quella di lavarsi con acqua e sapone, frizionando palma, dorso, dita e polso per 40-60 secondi, per poi asciugarsi accuratamente con una salvietta monouso. Se non si ha accesso a un bagno, si può eseguire lo stesso procedimento con un apposito disinfettante a base alcolica (la concentrazione deve essere almeno del 70%).

È fortemente consigliato anche disinfettare ogni giorno gli oggetti che vengono toccati in continuazione (come il cellulare o gli auricolari) usando un panno imbevuto di prodotti a base di alcool o candeggina.

Indossare le mascherine

“Indossa una mascherina soltanto se mostri i sintomi del Covid-19 (soprattutto la tosse) o ti stai prendendo cura di una persona potenzialmente contagiata”. In caso contrario, “stai sprecando una mascherina. Considerata la carenza globale di mascherine, l’Oms esorta la popolazione a farne un uso saggio”. Queste le disposizioni ufficiali dell’Oms.

Considerato però che diverse Regioni italiane hanno imposto l’obbligo di mascherina per chiunque esca di casa, diventa importante imparare a indossarla correttamente, proprio per evitare inutili sprechi. Queste le indicazioni ufficiali:

  • Lavarsi le mani prima di mettere la mascherina e dopo averla tolta, evitando di toccarla durante l’uso.
  • Tenere sempre coperti naso e bocca con la mascherina, assicurandosi che sia ben allacciata e che i bordi aderiscano al viso.
  • Le mascherine monouso non vanno mai riutilizzate; tutte le altre vanno comunque sostituite appena diventano umide.
  • La mascherina non autorizza a soprassedere alle altre norme di sicurezza, in primis quella di igienizzare le mani e mantenersi ad almeno un metro di distanza dagli altri.

Come scegliere la mascherina più adatta? Il ministero della Salute le suddivide in tre macro-categorie:

  1. Mascherine chirurgiche. Sono dispositivi medici indicati per chi lavora in ospedale e in altri luoghi dove ci si prende cura dei malati. Sulla base di una specifica normativa (UNI EN 14683:2019), devono garantire la resistenza agli schizzi liquidi, la traspirabilità, l’efficiente filtrazione batterica e la pulizia di microbi. Il loro scopo è quello di impedire che la persona che le indossa contamini l’ambiente con le goccioline della propria saliva.
  2. Mascherine FFP2 e FFP3. Anch’esse sono dispositivi medici, regolati dal D.lgs. n. 475/1992 e dalla norma UNI EN 149:2009. Questi facciali filtranti si distinguono perché proteggono sia chi li indossa sia le altre persone, bloccando (seppur parzialmente) il passaggio degli agenti potenzialmente contaminanti sia verso l’esterno sia verso l’interno.
  3. Tutte le altre mascherine reperibili in commercio (fatte di stoffa, carta e così via) possono essere prodotte e usate purché rispondano a certi requisiti di base in termini di sicurezza, in primis non irritare la pelle e non essere altamente infiammabili. Tuttavia non sono dispositivi medici né dispositivi di protezione individuale e, di conseguenza, non vanno utilizzate in ambiente ospedaliero.

Mettere i guanti

Indossare i guanti in lattice è un’altra abitudine che si è affermata durante le settimane di distanziamento sociale. L’Istituto Superiore di Sanità chiarisce che i guanti monouso sono indispensabili per chi assiste i malati e fortemente consigliati per chi lavora in comparti delicati come le pulizie, la ristorazione e il commercio di alimenti. In linea generale possono risultare utili a tutti, a patto però che non vengano intesi come un’alternativa alla corretta igiene delle mani (che rimane imprescindibile) e che al termine di ogni utilizzo siano smaltiti nei rifiuti indifferenziati. Anche chi indossa i guanti deve prestare attenzione a non toccarsi il viso, la bocca e gli occhi.

Mantenere le distanze

Una delle misure più destabilizzanti per la comunità, ma al tempo stesso più utili, è il distanziamento fisico (anche noto come distanziamento sociale). Come sottolinea l’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC), esso può essere praticato a due livelli:

  • Le persone che hanno una diagnosi di Covid-19, che manifestano sintomi sospetti o che risultano particolarmente esposte (per età o per la presenza di altre patologie) possono scegliere di auto-isolarsi in casa per un certo periodo.
  • I governi possono imporre misure restrittive per la popolazione, come la cancellazione di eventi, la chiusura di scuole, luoghi di culto, negozi, ristoranti e bar, i limiti alla mobilità tra un territorio e l’altro e così via. È quello che sta succedendo in Italia e in molti altri Paesi del mondo.
  • Le misure di distanziamento fisico sono fondamentali per rallentare il ritmo del contagio, continua l’Ecdc, ma il loro successo dipende da due fattori:
  1. Devono essere portate avanti con costanza e rigore per un periodo di tempo sufficientemente lungo.
  2. Le persone devono avere a disposizione telefoni e collegamenti a internet per mantenersi in contatto con la famiglia, gli amici e i colleghi.

 

Evitare carne cruda o poco cotta

Ad oggi, spiega un paper dell’Organizzazione mondiale della sanità, non è stato provato nessun caso di contagio per via alimentare. Visto però che non c’è ancora chiarezza su quanto tempo riesca a sopravvivere il virus, ci si interroga sui rischi legati ai cibi crudi di origine animale. Di norma i vari coronavirus sopravvivono senza problemi al congelamento e agli ambienti refrigerati, mentre sono suscettibili alle normali temperature di cottura (circa 70 gradi centigradi). Come regola generale, l’Oms suggerisce quindi di evitare il consumo di carne cruda o poco cotta.

Stare in quarantena

I soggetti che hanno ricevuto una diagnosi di Covid-19, o che sono stati a stretto contatto con un caso positivo, in Italia devono sottostare per legge a quattordici giorni di isolamento domiciliare (la cosiddetta quarantena). Anche per gestire al meglio questa circostanza, che può risultare inedita, l’Iss ha messo nero su bianco una serie di linee guida. Per citarne alcune:

  • La persona infetta deve soggiornare in una stanza singola ben ventilata, mantenere una distanza di almeno un metro dagli altri familiari e non ricevere visite.
  • Chi la assiste deve godere di buona salute, indossare una mascherina chirurgica e lavarsi le mani spesso e con cura.
  • La raccolta differenziata va sospesa, per evitare che i materiali potenzialmente contaminati si accumulino troppo a lungo.
  • Bisogna evitare di condividere con il malato asciugamani, biancheria da letto, utensili da cucina, sigarette, spazzolini da denti ecc.

Coronavirus: mappa del contagio e gestione della pandemia

Il 20 aprile 2020 si contano 2.319.066 casi di coronavirus accertati in 213 Paesi del mondo, per un totale di 157.970 decessi. La diffusione della pandemia nei vari Paesi non è però uniforme, così come non sono uniformi le misure di contrasto adottate dai governi.

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CORONAVIRUS IN ASIA

Coronavirus: la Cina

Tutto è cominciato a Wuhan, metropoli da oltre 11 milioni di abitanti nella provincia cinese dello Hubei. Dopo diversi casi sospetti di polmonite che si erano susseguiti per qualche settimana, il 31 dicembre le autorità hanno allertato l’Oms. Il giorno successivo hanno disposto la chiusura del mercato di animali in cui il virus avrebbe compiuto il “salto di specie”, arrivando prima a contagiare l’essere umano e poi a trasmettersi da uomo a uomo.

Anche dopo il primo decesso accertato (un uomo di 61 anni), il 18 gennaio si è comunque tenuta la tradizionale cena per festeggiare la fine dell’anno lunare, che ha portato milioni di lavoratori immigrati a spostarsi dalle città alle campagne. Nell’arco di pochi giorni si sono moltiplicati i nuovi casi disseminati nel vasto territorio cinese.

Il 23 gennaio, quando il virus si era già diffuso oltreconfine, l’intera città di Wuhan è stata messa sotto quarantena. Seppur giudicati tardivi da molti osservatori internazionali, i provvedimenti adottati si sono rivelati estremamente severi, con lo stop a qualsiasi spostamento su mezzi pubblici o privati, la chiusura di esercizi commerciali, bar e ristoranti, la consegna di camion di provviste da parte del governo per frenare la speculazione dei prezzi, la riconversione di molte strutture pubbliche in ospedali (a cui si vanno ad aggiungere i due che sono stati costruiti a tempo record per i malati di Covid-19).

Anche nelle altre metropoli cinesi sono state imposte misure di distanziamento sociale più o meno severe. Le autorità di Pechino hanno messo in campo un’imponente campagna di misurazione della temperatura, isolando le persone sintomatiche all’interno di apposite “cliniche della febbre”.

A partire dalla metà di febbraio la curva dei nuovi casi e quella dei decessi hanno iniziato dapprima a stabilizzarsi e poi a calare. L’8 aprile, dopo 76 giorni ininterrotti, la città di Wuhan è uscita dalla quarantena. Il bilancio complessivo (aggiornato al 20 aprile) conta 84.239 casi di Covid-19 e 4.642 decessi, che attestano la Cina all’ottavo posto nella graduatoria dei Paesi più colpiti, dopo la Turchia.

Coronavirus: il Giappone

Rinviare le Olimpiadi di un anno. Questa decisione, che rappresenta un unicum assoluto nella storia, resterà senza dubbio nella memoria collettiva come un simbolo di questa pandemia. Ma non si tratta dell’unico pesante sacrificio che il Giappone ha dovuto affrontare durante il 2020. Il 20 aprile il Paese asiatico ha sfondato il muro dei diecimila casi confermati (171 i morti), con una rapida impennata nell’arco di poche settimane. Se è vero che le cifre sono ancora lontane rispetto a quelle segnalate in Europa, è vero anche che il bilancio supera come gravità quello della Corea del Sud e si attesta subito dopo Cina e India. 
Da quando il primo ministro Shinzo Abe ha raccomandato alla popolazione di ridurre in modo drastico i contatti sociali, il consueto affollamento dei mezzi pubblici è visibilmente calato. Ma molti negozi e ristoranti restano aperti e alle persone è consentito uscire di casa senza grosse limitazioni.

Coronavirus: la Corea del Nord

A causa della sua politica di isolamento, è molto difficile ottenere informazioni attendibili sulla situazione sanitaria della Corea del Nord. Ad oggi le autorità di Pyongyang negano che ci siano stati casi di Covid-19. Se è vero che i controlli alle frontiere sono stati ulteriormente inaspriti, è vero anche che il Paese confina per circa 1.500 chilometri con la Cina, che è il suo unico partner commerciale stabile. Secondo indiscrezioni riportate dalle agenzie di stampa internazionali, durante alcune occasioni pubbliche sarebbe stata ammessa l’esistenza di contagi entro i confini del Paese, senza fornire ulteriori dettagli.

Coronavirus: la Corea del Sud

La Corea del Sud è stata uno dei primi territori in cui si è diffuso il contagio. Intorno al 20 febbraio si è assistito a un’improvvisa impennata presumibilmente dovuta alla cosiddetta Paziente 31, che aveva preso parte a un’affollata cerimonia religiosa nella città di Daegu. 
Il modello coreano di gestione della pandemia è stato preso a esempio a livello internazionale, spesso come termine di paragone rispetto a quello più draconiano della Cina. Anche in virtù di una legislazione sulla privacy più blanda rispetto a quella europea, le autorità sanitarie hanno adottato una politica di contact tracing, cioè di tracciamento minuzioso della rete di relazioni di ogni contagiato. Come prima cosa gli si chiede di elencare i luoghi che ha frequentato negli ultimi giorni, per poi incrociare le informazioni con i dati rilevati da carte di credito, smartphone e telecamere di sorveglianza. Così facendo è stato possibile sottoporre a un’estensiva campagna di screening anche decine di migliaia di persone (asintomatiche o quasi) che avevano soltanto frequentato luoghi “sospetti”. Parallelamente sono state adottate anche misure di distanziamento sociale, incoraggiando lo smart working e gli ingressi scaglionati nelle aziende.
L’approccio è stato premiato dai cittadini, che alle elezioni del 15 aprile hanno assegnato un’ampia maggioranza al Partito Democratico sudcoreano guidato dal presidente Moon Jae-in. Soprattutto, la curva dei contagi si è effettivamente appiattita. Dall’inizio della pandemia sono stati accertati più di 10.600 casi, ma a partire da aprile ne vengono rilevati molto meno di 100 al giorno, fino ai 13 del 20 aprile. L’allerta comunque resta viva, tanto più perché a 124 soggetti guariti è stato nuovamente diagnosticato il virus.

CORONAVIRUS IN EUROPA

Coronavirus: l’Italia

Dal 21 febbraio, data in cui è stato ricoverato il famoso “paziente 1” di Codogno (nel lodigiano), la pandemia di Covid-19 si è propagata in Italia a ritmi esponenziali. Stando ai dati diffusi dal ministero della Salute nella serata del 20 aprile, il nostro Paese conta 181.228 casi confermati di cui 108.237 attualmente positivi, 48.877 guariti e 24.114 deceduti; solo Usa e Spagna hanno subìto un bilancio più grave. 
Fin da subito il contagio si è radicato nelle regioni del Nord. Prima fra tutte la Lombardia, che da sola sfiora il 40% dei casi totali e il 51% dei morti (vale a dire, rispettivamente, 66.971 e 12.376 persone), numeri tuttora in crescita. È stato contrassegnato da subito come “zona rossa” anche il Veneto, dove il focolaio si è originato nel piccolo comune di Vo’ Euganeo, in provincia di Padova. La regione del Nord Est ha però optato per un approccio diverso, facendo ricorso in modo massivo ai tamponi anche quando l’andamento dei contagi (e soprattutto dei decessi) ha assunto un ritmo molto più moderato rispetto a quello lombardo. 
Il Covid-19 è arrivato anche al Sud, senza però raggiungere i drammatici picchi riscontrati nelle regioni settentrionali. Tra le grandi città si possono segnalare i 2.181 casi di Napoli, i 1.138 di Bari e i 420 di Palermo. 
Il governo guidato da Giuseppe Conte è intervenuto inizialmente su scala locale, disponendo severe misure di contenimento nei Comuni dove si sono verificati i primi contagi. A partire dall’8 marzo è scattata la “chiusura” della Lombardia e di altre 14 province del Centro Nord, ma soli due giorni dopo l’intero territorio della Penisola è diventato zona protetta, venendo sottoposto a limitazioni via via più stringenti. 
Fino al 3 maggio resteranno chiusi asili, scuole e università, luoghi di culto, locali pubblici (bar, ristoranti, club) e negozi (fatta eccezione per quelli che vendono beni essenziali come supermercati, farmacie e parafarmacie, a cui sono stati aggiunti anche librerie e negozi di articoli per l’infanzia). Sono cancellati tutti gli eventi sportivi, fieristici, culturali e sociali; fortemente limitati gli spostamenti delle persone, che devono essere giustificati da motivi di forza maggiore.

Coronavirus: la Francia

La Francia è uno dei Paesi più drammaticamente coinvolti dalla pandemia, con 114.657 contagi confermati, di cui 30.584 ricoverati, e oltre 20mila deceduti (aggiornamento del 20 aprile delle autorità sanitarie transalpine). 
Nella serata del 12 marzo il presidente Emmanuel Macron si era rivolto alla nazione per annunciare la chiusura di asili, scuole e università. Nei giorni successivi le misure di confinamento sono state rese via via più severe. Fino all’11 maggio i cittadini d’Oltralpe sono autorizzati a uscire di casa soltanto per comprare farmaci e generi alimentari, recarsi dal medico, lavorare (laddove non è possibile lo smart working) e fare una passeggiata o una corsa, ma rigorosamente in solitario e senza allontanarsi troppo da casa.

Coronavirus: la Germania

Niente Oktoberfest nell’autunno 2020. Una festa popolare del genere sarebbe “irresponsabile”, ha dichiarato il presidente della Baviera Markus Soeder il 21 aprile, giorno in cui la Germania raggiunge le 143.457 infezioni da coronavirus, per un totale di 4.598 vittime dall’inizio dell’epidemia. Proprio la Baviera d’altronde è la regione più colpita, con 38.310 casi e 1.336 decessi.

Terminata la fase 1 del distanziamento sociale, alcune restrizioni sono state gradualmente allentate a partire dal 20 aprile, con la riapertura di alcuni piccoli negozi. Termina il 3 maggio l’obbligo di mantenere la distanza interpersonale di un metro e mezzo e di circolare da soli, o al massimo in compagnia di un’altra persona. Ma la cancelliera Angela Merkel ha già chiarito che le limitazioni potranno essere reintrodotte al primo segnale di aumento dei contagi.

Coronavirus: l’Olanda

L’Olanda rappresenta un’eccezione in Europa per la sua scelta di adottare un “lockdown intelligente”: al posto della chiusura totale con i suoi costi economici e sociali, il governo ha preferito porre uno stop soltanto a quelle attività che prevedono un contatto fisico troppo ravvicinato, imponendo limitazioni più blande per tutte le altre. Tra le altre cose, per esempio, è stata imposta una distanza interpersonale di 1,5 metri e sono stati vietati gli assembramenti di più di tre persone; per chi contravviene è prevista una multa di 390 euro. L’intento è quello di permettere al virus di diffondersi in modo controllato, favorendo il graduale sviluppo dell’immunità di gregge.

I dati sull’avanzata della pandemia, tuttavia, ad oggi non sembrano particolarmente incoraggianti se rapportati a quelli degli altri Paesi. Nella serata del 20 aprile le autorità sanitarie olandesi hanno aggiornato a 33.045 il numero dei contagi e a 3.751 quello dei decessi, con 750 nuovi casi e 67 morti nell’arco delle ultime 24 ore.

CORONAVIRUS IN AMERICA

Fino al 26 febbraio, data in cui il coronavirus si era già spostato dalla Cina all’Europa, gli Stati Uniti potevano ancora vantare a malapena una quindicina di contagi. Nell’arco delle due settimane successive l’emergenza è letteralmente esplosa. A poco più di un mese di distanza, con 723.605 casi accertati, gli Usa sono nettamente in vetta alla graduatoria delle nazioni più colpite, distanziando in modo abissale la Spagna, seconda a quota 195.944. 
L’atteggiamento iniziale di Donald Trump è stato ritenuto piuttosto attendista da diversi osservatori. Durante la prima conferenza stampa sul tema, tenuta il 27 febbraio, il presidente americano ha paragonato il virus all’influenza stagionale ipotizzando che fosse destinato a sparire con l’arrivo del caldo. Con l’aggravarsi della crisi sono state imposte misure di lockdown paragonabili a quelle degli altri Paesi, come il divieto di assembramenti, la chiusura di ristoranti, bar e scuole, lo stop ai viaggi internazionali, la cancellazione di fiere ed eventi sportivi.

Il simbolo indiscusso è la città di New York, dove il 23 marzo è scattato un confinamento che durerà almeno fino al 15 maggio. Hanno fatto il giro del mondo le immagini della fossa comune di Hart Island, dove sono stati sepolti decine di corpi che non erano stati riconosciuti da alcun familiare. Il 20 aprile nello Stato di New York si segnalavano 252.094 casi confermati e 18.929 morti (il 45% del totale Usa).

La gestione tuttavia è stata notevolmente complicata dall’ampio margine d’azione in materia sanitaria da parte dei singoli Stati, oltre che da una serie di dichiarazioni contrastanti sulle tempistiche per il ritorno alla normalità. Dopo la metà di aprile si sono registrate le prime manifestazioni di protesta. In diverse città, tra cui Concord, Austin, Olympia, Denver, Nashville, gruppi di cittadini (spesso armati) si sono riuniti per denunciare il pesante costo economico dell’isolamento forzato. La tenuta dell’economia d’altra parte è un tema molto delicato, considerato l’appuntamento con le elezioni presidenziali previsto per novembre.

 

Coronavirus: come si cura

Sul tema delle possibili cure per il Covid-19, l’Oms si esprime in modo inequivocabile:
Gli antibiotici contrastano le infezioni batteriche: ciò significa che sono assolutamente inefficaci per la prevenzione e la cura di quelle virali. 
Esistono alcune terapie farmacologiche e casalinghe apparentemente capaci di alleviare i sintomi del Covid-19, che in questo momento sono oggetto di studio da parte degli scienziati. Fino a oggi però non è stato identificato alcun farmaco che abbia il potere di prevenire l’insorgere del Covid-19, né tantomeno di sconfiggerlo. 
Chi è malato (o sospetta di esserlo) non deve fare esperimenti di automedicazione bensì rivolgersi al più presto a un medico.

Coronavirus: il vaccino

Il coronavirus è una malattia nuova per la quale non esiste ancora un vaccino. 
La comune vaccinazione antinfluenzale non protegge dal Covid-19, poiché le due patologie sono innescate da virus distinti. Resta comunque fortemente consigliata soprattutto per le categorie più esposte (in primis gli anziani) perché, in caso di infezione, agevola ai medici il compito di distinguere i casi di coronavirus da quelli di influenza stagionale.

Il ministero della Salute si è attivato per smentire la notizia, circolata tra stampa e social network, per la quale il vaccino contro la tubercolosi (TBC) ha un effetto protettivo nei confronti del Covid-19. In realtà non esistono evidenze scientifiche in tal senso; per giunta la TBC è una malattia completamente diversa perché è causata da un batterio. Ciò non toglie che la popolazione dei Paesi più soggetti (come Cina, Giappone e Corea del Sud) debba continuare a vaccinarsi.

Vale un discorso simile per il calendario vaccinale ordinario previsto per bambini e adulti. In questo periodo però è molto probabile che i centri vaccinali operino a ritmo ridotto, sia perché le risorse della sanità pubblica sono state dirottate verso l’emergenza, sia perché la mobilità dei cittadini è fortemente limitata. L’Oms si è subito spesa su questo tema, pubblicando una serie di linee guida per i governi: un crollo della copertura vaccinale infatti provocherebbe un picco di persone suscettibili alle cosiddette VPD (vaccine preventable diseases), con un ulteriore aggravio per i sistemi sanitari.

Vaccino anticoronavirus: chi ci sta lavorando

Gli occhi dei governi e delle autorità sanitarie, ma anche dei semplici cittadini, sono tutti puntati sul futuro vaccino. Per ora infatti non si può fare altro che curare (peraltro senza disporre di un farmaco specifico) chi ha già contratto il nuovo coronavirus: la situazione cambierebbe radicalmente se il nostro sistema immunitario venisse istruito a reagire da solo all’attacco del virus.

L’Oms ha reso pubblico un database aggiornato dei vaccini anticoronavirus su cui università e case farmaceutiche stanno lavorando. Il gruppo conta 70 nomi, ma solo tre sono in fase di sviluppo clinico, ovvero con sperimentazioni nell’uomo già avviate. Tali progetti fanno capo a:

  • L’Istituto di Biotecnologie di Pechino in partnership con l’azienda cinese CanSino.
  • La statunitense Inovio Pharmaceuticals.
  • La casa farmaceutica (anch’essa americana) Moderna.

Vaccino anticoronavirus: quando arriveranno i primi test

Nella seconda metà di aprile 2020 sono previsti i primi test sull’uomo anche per altri vaccini tratti da questa lunga lista. Come quello su cui stanno lavorando i ricercatori dello Jenner Institute of Oxford, che utilizza un virus modificato (adenovirus). A dare quest’anticipazione è stato l’immunologo italiano Giacomo Gorini, intervenuto il 19 aprile alla trasmissione Che tempo che fa. Dopo i buoni esiti dei test sugli animali, la fase successiva coinvolgerà circa 5.000 volontari suddivisi in due gruppi: il primo assumerà un placebo, il secondo il vaccino vero e proprio. "Il fatto che ci siano tante strategie è una buona idea, si diversificano gli investimenti", ha commentato.

Gli addetti ai lavori, nel frattempo, invitano alla prudenza. “Mettere a punto un nuovo vaccino richiede un percorso lungo e laborioso per garantirne sicurezza ed efficacia”, ha spiegato al Corriere della Sera Sergio Abrignani, immunologo ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare “Romeo ed Enrica Invernizzi”. Di norma, tra l’idea e l’immissione sul mercato trascorrono almeno otto anni: “Nel caso di Sars-CoV-2 le prospettive sono di 2-3 anni, grazie a un impegno senza precedenti”.

Valentina Neri