Abruzzo regione ricca di tartufi: il profumo della tradizione dal territorio alla cucina

Un fungo che cresce sottoterra e per questo detto “ipogeo”, un prodotto talmente pregiato da arrivare a costare oltre 3000 euro al chilo: stiamo parlando del tartufo e delle sue molte varietà. Ma andiamo a conoscere più da vicino questo prodotto così particolare, fiore all’occhiello della gastronomia italica.
Il tartufo, appartenente alla famiglia delle Tuberaceae, è un fungo che cresce spontaneamente accanto alle radici di alcuni alberi, con i quali stabilisce un vero e proprio rapporto simbiotico che prende il nome di “micorriza” (dal greco mykos: fungo, e rhiza: radice).
Le fattezze di questo raro frutto della terra sono costanti: la superficie esterna del tartufo (peridio), liscia o rugosa soprattutto a seconda della specie di appartenenza e al terreno di crescita, racchiude un corpo interno carnoso di colore variabile. Dal rosa al grigio, l’interno di un tartufo può presentarsi anche con le tonalità del bianco e del marrone, a volte percorso da striature.

La ricerca del tartufo, prodotto tanto spontaneo quanto raro, è affidata a cercatori abili ed esperti che, accompagnati da cani addestrati, affrontano un’appassionante “caccia al tesoro”: la raccolta è lenta e meticolosa e questo, insieme alla rarità del prodotto e alla singolarità della formazione, rende il tartufo un alimento estremamente pregiato e, conseguentemente, costoso.

Eppure non tutti i tartufi sono commestibili: a fronte di oltre 60 specie di funghi classificate come “tuber”, solo 9 di queste possono essere utilizzate per scopi alimentari. In generale, le specie comunemente commercializzate sono sei e ognuna di queste varia in quanto a sapore e grado di pregio: c’è il tartufo nero liscio e quello nero invernale, il tartufo bianco (chiamato anche Magnatum Pico), il Bianchetto ed infine il tartufo estivo, detto anche “scorzone”.

Che dire, invece, della loro diffusione sulla penisola italiana? Nominare i tartufi significa associarli immediatamente al Piemonte. Eppure tale regione non è l’unica in cui è possibile imbattersi (con molta fortuna!) in questo pregiatissimo alimento: i tartufi crescono spontaneamente anche in Calabria, in Molise, in Emilia Romagna, nelle Marche, in Umbria e in Basilicata. Un posto d’onore va tuttavia riservato all’Abruzzo, vera e propria terra di tartufi.

In Abruzzo, infatti, ogni zona è adatta per cercare e raccogliere tartufi, tanto che ogni luogo e località possiede delle caratteristiche talmente specifiche da favorire la crescita di alcune particolari specie: questa regione è così ricca che si contano almeno 28 varietà differenti di tartufo. Tra i tartufi maggiormente raccolti e commercializzati si nominano sia il tartufo bianco che quello nero, considerato il vero e proprio “diamante” della cucina abruzzese; il tartufo scorzone, al contrario, copre la restante parte del raccolto.
Eppure, conoscere approfonditamente le zone di diffusione del tartufo e delle sue varietà non basta: improvvisarsi cercatori non porterà a nessun risultato concreto in termini di raccolta, perché solo la conoscenza approfondita del prodotto e il valido aiuto di un cane debitamente addestrato sono le caratteristiche che rendono abile un ricercatore. D’altra parte non è neanche possibile diventare raccoglitori da un giorno all’altro: l’Arssa (Agenzia Regionale per i Servizi di Sviluppo della regione Abruzzo) ha condotto studi per catalogare e descrivere ciascuna zona ed è doveroso sottolineare che è proprio questo l’ente che abilita all’esame per il rilascio del tesserino da ricercatore, indispensabile per svolgere tale attività. Qualche riga più sopra abbiamo fatto menzione dei cani, indispensabili nell’attività della ricerca e della raccolta dei tartufi: se la razza giudicata più adatta per la ricerca è, secondo gli esperti, il Lagotto Romagnolo, non è raro che i tartufai si accompagnino anche ai Pointer, agli spinoni, ai Cocker, ai Jack Russel e ai Bracchi che, quando ben addestrati nell’attività, possono arrivare a costare anche ottomila euro.

Ma, trovato un tartufo, cosa farne? Inutile dire che si tratta di un alimento molto delicato, oltre che pregiato, soggetto quindi a veloce deperibilità. La conservazione del tartufo non può prescindere dalla pulizia, solitamente effettuata con una spazzola o con un pennello, strumenti utili per eliminare gran parte della terra. Successivamente si passa all’uso di uno straccio con il quale, delicatamente e senza strofinare, si eliminano gli eventuali residui. Una volta pulito, il tartufo va riposto in un contenitore a chiusura ermetica, così da impedire la dispersione del particolarissimo profumo dell’alimento. E’ molto diffusa l’abitudine di ricoprire i tartufi con del riso: il tasso di umidità costante generato dalla presenza del riso evita sia che il prodotto si secchi eccessivamente sia che marcisca anzitempo. Che dire, poi, dell’incredibile profumo che assorbirà il riso in questione? Sarà ottimo da utilizzare in cucina per dar vita a risotti dall’alto potere aromatico.

Poiché è proprio in cucina che il tartufo trova la sua piena realizzazione è opportuno tuttavia fare una differenziazione di uso in base alla varietà che abbiamo tra le mani: se il tartufo nero, infatti, va utilizzato in quantità più generose e da cotto, quello bianco è essenzialmente un aromatizzante e, utilizzato in dosi ridotte per profumare i cibi cucinati, va consumato quasi esclusivamente crudo, spolverato e grattugiato sugli alimenti da insaporire. E in quanto a ricette a base di tartufo, la cucina abruzzese offre moltissimi piatti che trovano proprio in questo alimento un vero e proprio ospite d’onore: dagli antipasti ai primi, dai secondi ai contorni, il tartufo trova la sua piena realizzazione sia in piatti di verdura che di carne. Ed eccolo apparire su crostini, polente, paté e insalate, eccolo protagonista di risotti, agnolotti e spaghetti, o ancora di ricette a base di coniglio, merluzzo o filetto. Insomma, il tartufo è un vero e proprio re della gastronomia: il suo sapore dolce e intenso è qualcosa che tutti, almeno una volta, dovrebbero provare.

Note Bibliografiche:
La filiera del tartufo e la sua valorizzazione in Toscana e Abruzzo” a cura di Enrico Marone - Edizione Firenze University Press (31 dicembre 2011)
Il tartufo” – La Cucina Italiana – AA.VV- 2004
 

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