Lessico

sf. [sec. XVIII; dal greco metrikḗ (téchnē), (arte) della misura].

1) Scienza che studia le modalità di formazione dei versi e le loro varie combinazioni: trattato di metrica; la metrica greca; la metrica di Orazio.

2) Nell'industria tipografica, metrica tipografica, l'insieme delle misure usate nella composizione.

3) In matematica, funzione definita per ogni coppia di elementi di uno spazio metrico. La metrica di una varietà è una forma quadratica differenziale che rappresenta la distanza tra due punti infinitamente vicini di tale varietà. Per un generico spazio di Riemann la metrica ha espressione: in cui le x, x sono le coordinate di quello spazio e le a sono funzioni di quelle coordinate. La metrica dello spazio ordinario tridimensionale si deduce semplicemente dal teorema di Pitagora:

Metrica greca e latina

Notizie e indicazioni, non sempre univoche e sicure, ci forniscono sulla metrica greca e latina, che è quantitativa, cioè basata su un'ordinata e armonica alternanza di sillabe lunghe e brevi, gli antichi metricologi: tra i greci, Aristosseno di Taranto (sec. IV-III a. C.) ed Efestione (sec. II d. C.), tra i latini Mauro Terenziano (sec. II d. C.), Gaio Mario Vittorino (sec. IV) e Diomede (sec. IV). Nella metrica greca, soprattutto, vi erano metri recitati o cantati con accompagnamento musicale (lirica monodica e corale). Il verso che si trova alle origini della letteratura greca è l'esametro (Omero, Esiodo). In unione con il pentametro esso forma la più antica e semplice strofa lirica che, per essere stata usata dai poeti elegiaci, ebbe il nome di distico elegiaco. Molto antico è anche il trimetro giambico che ebbe in Archiloco uno dei suoi maggiori artisti, e che diventerà il verso più comune delle parti dialogate della commedia e della tragedia. Una grande varietà e armonia di ritmi caratterizza la lirica monodica (Alceo, Saffo, Anacreonte) e corale (Simonide, Pindaro, Bacchilide) i cui metri, generalmente brevi e agili, si raggruppano nelle più elaborate composizioni strofiche. Dai Greci i Latini derivarono tutti i metri della loro poesia, tranne il saturnio che cadde presto in oblio. Ennio introdusse l'esametro, ripreso poi da Lucilio e continuato da Lucrezio e Virgilio; il trimetro giambico, col nome di senario giambico, fu anche a Roma uno dei principali metri drammatici; il distico elegiaco è la forma metrica classica anche dell'elegia romana (Tibullo, Properzio, Ovidio); la varietà e molteplicità dei versi lirici greci sono stati ripresi dalla poesia neoterica e soprattutto da Orazio. La letteratura greca e quella latina conoscono anche una prosa metrica caratterizzata, soprattutto nella parte finale del periodo, da clausole ritmiche sempre ottenute con l'armonica combinazione di sillabe lunghe e brevi. Ne è ritenuto inventore il retore greco Trasimaco di Calcedonia (sec. V a. C.) e fu usata specialmente dagli oratori, e tra i latini in particolare da Cicerone che ne espose la teoria nell'Orator e nel De oratore.

Metrica italiana

Fin dal sec. IV, per la perdita del senso prosodico della quantità delle sillabe, la metrica latina si trasformò da quantitativa in ritmica, cioè fondata sull'accento ritmico che nelle lingue neolatine è diventato l'accento tonico. Questa innovazione metrica avvenuta nel tardo latino sta alla base della versificazione accentuativa delle letterature romanze e quindi anche di quella italiana: il verso italiano infatti si fonda sul numero delle sillabe su cui cadono determinati accenti ritmici che normalmente coincidono con l'accento tonico della parola. Si può dire che la metrica italiana, e quindi la sua storia, sorga quando, attraverso l'innografia medievale, la ritmica entra a far parte della metrica ufficiale; il primo tentativo di teorizzare tutti gli schemi di versificazione volgare era stato operato da Dante nel De vulgari eloquentia: il Duecento è il periodo, infatti, in cui si vengono formando i versi italiani che hanno mantenuto una continuità abbastanza uniforme nei loro tipi principali. Le prime norme metriche e rimarie sono estremamente complicate e simili al modo del trobar clus; rime al mezzo, rime equivoche, assonanze, allitterazioni sono gli schemi usati per lo più dai poeti della scuola siciliana. I metri sono quelli della canzone, della ballata, del sonetto, che, sebbene attribuito alla teorizzazione di Iacopo da Lentini, compare per la prima volta proprio nella scuola siciliana sia pure, forse, per aver dato autonomia metrica a una stanza di canzone di particolare struttura. Le canzoni si servono o dell'endecasillabo o del settenario (come le ballate), i sonetti di 14 endecasillabi. Alcune canzoni sono composte sotto forma di contrasto (vedi quello famoso di Cielo d'Alcamo), forma in cui i metri possono essere molto vari (alessandrini, endecasillabi, ecc.). Nella lirica popolare erano molto in uso il settenario e l'ottonario, ritmi veloci e semplici. La canzone acquistò sempre più importanza con i poeti del dolce stil novo ma soprattutto con Petrarca che le diede quella struttura che, pur nella varietà dei versi, ha mantenuto un carattere stabile attraverso i secoli. Il verso umanistico non si differenzia molto dal tipo precedente: tutt'al più si assiste a un prevalere di una forma strofica sull'altra: l'endecasillabo ha ormai raggiunto un livello di perfezione altissimo (accento sulla sesta, rima isolata, verso che tende ad avere un'unità compiuta); la terzina aveva avuto con Dante il suo momento di massimo fulgore, però con il proseguire del tempo venne usata, soprattutto nel Quattrocento, per soggetti parodistici, caricaturali, satirici. Nell'ottava cinquecentesca l'endecasillabo salì ai più alti gradi dell'espressione poetica rinascimentale con le opere di Pulci, Boiardo, Ariosto, Tasso. Nel clima polemico linguistico del Cinquecento, la questione metrica non venne quasi mai toccata: solamente Claudio Tolomei nel 1539 pubblicò le Regole della nuova poesia toscana. L'unica vera innovazione fu quella dell'endecasillabo sciolto che ha avuto molta fortuna in tutta la lirica posteriore. Il Seicento e l'Arcadia furono caratterizzati da una vasta varietà di metri, su cui dominò, oltre all'endecasillabo, il settenario in concomitanza con il prevalere della musica raffinata e sommamente innovativa di B. Marcello, di G. B. Pergolesi, di B. Galuppi che, tra l'altro, musicò alcune commedie di Goldoni. L'endacasillabo è stato anche il metro delle opere più significative di Parini, Alfieri e Foscolo. Con Leopardi si assiste a un ulteriore rinnovamento della metrica: le sue poesie sono sempre ricchissime di metri. Nate dal rinnovamento individualistico di Leopardi, presentano caratteri altrettanto individuali le composizioni di Carducci, Pascoli, D'Annunzio che concludono la stagione poetica italiana dominata da metri tradizionali. A Carducci spetta inoltre il merito di aver vivificato la questione sulla metrica con le sue Odi barbare. Nel Novecento, età caratterizzata da contraddizioni ideologiche e da un sovrapporsi di culture, l'espressione poetica, e quindi la metrica, è mutata enormemente. La ricerca della lirica pura era l'antitesi della poesia ottocentesca, e venivano perciò ripudiati anche i moduli convenzionali con cui essa era espressa: sonetti, odi, rime sono stati abbandonati e si è teso sempre più a componimenti di essenzialità rarefatta che, ripudiando metri, generi, rime, esprimessero in assoluta libertà il moto interiore dell'animo. I crepuscolari, i futuristi e gli ermetici scardinarono il verso tradizionale, isolando le parole, sciogliendo i vincoli tradizionali per accogliere l'illuminazione o l'intuizione interiore.

Metrica germanica

Nei più antichi documenti letterari tedeschi, inglesi e scandinavi è attestato un “verso lungo” composto di due “versi brevi”, ciascuno dei quali formato da due sillabe fortemente accentate (arsi) e da un numero non fisso di sillabe atone o debolmente accentate (tesi). L'elemento di connessione tra i due versi brevi è costituito dall'allitterazione, cioè dalla ripetizione della stessa consonante iniziale di due o più sillabe accentate: normalmente l'allitterazione si ha tra la prima arsi del secondo verso breve e una delle due arsi, o ambedue le arsi, del primo verso breve. In origine questo verso germanico fu usato in forma sciolta, e solo in un secondo tempo fu impiegato anche in sistemi strofici di più versi. Il monaco francone Otfried nel sec. IX, sotto l'influsso dell'innografia ecclesiastica latina, sostituì l'allitterazione con la rima tra le due parti del verso lungo. La poesia medievale tedesca fece ampio uso della rima: la si trova sia nei Minnesänger, sia nella poesia epica dei Nibelunghi. Particolare fortuna ebbe in tutti i Paesi germanici l'introduzione di versi della metrica classica greca e latina; anche la metrica romanza (soprattutto italiana e francese) non mancò di esercitare, in varie epoche, una sensibile influenza su quella germanica.

Metrica indiana

Nel periodo più antico, quello degli inni vedici, è essenzialmente sillabica, cioè fondata su un determinato numero di sillabe: i versi (pāda) vedici più comuni sono di 8, 11, 12 sillabe, meno frequenti sono i versi di 5 sillabe. Raggruppamenti di più versi formano strofe (ṛe) diversamente denominate secondo il numero e il tipo dei versi che le compongono: gāyatrī (3 ottonari), anuṣṭubh (4 ottonari), paṅkti (5 ottonari), mahāpaṅkti (6 ottonari), triṣṭubh (4 endecasillabi), jagatī (4 dodecasillabi). Progressivamente si va sempre più affermando, già nel tardo periodo vedico, il principio quantitativo che ha dato origine a metri misti di tipo sillabico-quantitativo o a metri puramente quantitativi. Dalla strofe vedica anuṣṭubh si sviluppò lo śloka, metro tipico della poesia epica.

Metrica mediorientale

Non ci sono giunte trattazioni sistematiche sulla metrica delle letterature semitiche. Si sa che la letteratura assiro-babilonese seguiva un andamento ritmico, ma null'altro di preciso. Lo stesso si può rilevare a proposito della poesia ebraica. L'analisi profonda cui è stata sottoposta la Bibbia non ha fatto riscontrare alcuna legge metrica cui potersi basare, ma solo riscontrare la caratteristica del doppio verso in cui il secondo è un'innovazione a calco del primo, nell'alternarsi sovente di un colon lungo con uno breve. Tali caratteristiche si trovano anche nella poesia etiopica e in quella aramaica. Contro una libertà e una mancanza di rigida struttura metrica delle suddette letterature sta invece il sistema alquanto rigido della poesia araba. Essa conta su metri diversi basati sulla quantità sillabica, similmente alla metrica greca e a quella latina. Il verso più antico a noi noto è il ragiaz, che altro non è se non una tripodia giambica. Khalil ibn Ahmad (sec. VIII) ha codificato la metrica araba che si articola in 15 tipi di versi in cui risalta l'uso costante della rima. La ricchezza della metrica araba e soprattutto della sua poesia ha finito per avere notevole influsso su quella ebraica prima e su quella neopersiana poi, mentre sulla poesia iranica l'influsso maggiore è venuto dalla metrica indiana.

Metrica slava

La poesia delle lingue slave non ha come tessuto un fondamento comune. A grosse linee si possono distinguere un'area che fa capo alla letteratura serbo-croata e a quella russa e un'area in cui una certa comunanza è avvertibile fra polacchi, cechi, slovacchi e lusaziani. Nella prima la poesia sacra più antica predilige il verso di dodici sillabe senza rima, mentre la poesia epica si esprime in versi liberi non rimati. Un grosso influsso sulla poesia del restante mondo slavo ha esercitato la metrica russa filtrata attraverso la poesia polacca. Il verso più in uso anticamente era l'ottonario, mentre la predilezione dei moderni e dei contemporanei nelle due aree va al verso libero.

Bibliografia

M. Fubini, Metrica e poesia. Lezioni sulle forme metriche italiane. I: Dal Duecento al Petrarca, Milano, 1962; W. Th. Elwert, Versificazione italiana dalle origini ai giorni nostri, Firenze, 1973; C. Di Girolamo, Teoria e prassi della versificazione, Bologna, 1976; P. Maas, Metrica greca, Firenze, 1979; F. P. Memmo, Dizionario di metrica italiana, Roma, 1983; A. Ramous, La metrica, Milano, 1984; M. Pazzaglia, Manuale di metrica italiana, Firenze, 1990.

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