Descrizione generale

sf. [dal latino homo-mínis, uomo]. Processo durante il quale sono avvenuti il differenziamento e l'evoluzione delle strutture anatomo-fisiologiche di un gruppo di Primati, le cui origini sono ancora sconosciute, e che ha portato all'affermazione delle caratteristiche psicofisiche peculiari dell'uomo. Tale processo costituisce un fatto evolutivo del tutto particolare, svoltosi durante un lungo periodo di tempo valutabile in milioni di anni. Nonostante il moltiplicarsi della documentazione (resti fossili) è ancora impossibile stabilire sia il momento di inizio della differenziazione nell'ambito dei Primati sia i fattori intrinseci che l'hanno promossa e diretta durante il suo svolgimento. Il primo di questi due problemi coincide con quello del riconoscimento delle prime forme fossili comunque riferibili alla linea evolutiva umanoide; il secondo rientra nel più ampio problema delle modalità con cui avviene l'evoluzione di ogni specie vivente. A oltre un secolo dalla formulazione dell'ipotesi di un antenato comune con gli antropoidi attuali (l'Ancient member di Darwin), e nonostante la ricerca paleoantropologica abbia portato alla luce reperti di fondamentale importanza, non è stato possibile stabilire né da quali forme preumanoidi derivino gli Ominidi, né quale sia l'epoca in cui inizia a manifestarsi la discordanza genetica tra Ominidi e Pongidi. Infatti, da una parte si è constatato che le scimmie antropomorfe hanno “vissuto” una loro evoluzione parallela e indipendente da quella degli Ominidi, dall'altra che le caratteristiche genetiche proprie dell'uomo (quelle, cioè, che ne hanno determinato le strutture psico-fisiche) sono presenti già nei reperti fossili più antichi finora noti. Appare quindi impossibile sostenere, alla luce delle attuali conoscenze, una semplice e diretta discendenza delle forme umane più recenti da quelle più antiche. Questi risultati dello studio dell'ominazione, sono dovuti alle moderne tecniche d'indagine e alle metodiche seguite, che consentono ormai non solo una più precisa datazione dei reperti, ma anche una ragionevole valutazione della “funzionalità” dei reperti anatomici ritrovati (frammenti di cranio, denti, parti di arti e altre ossa) basandosi sulle loro caratteristiche sia di forma sia biochimiche (cromosomi, emoglobine, ecc.). Se diventa, pertanto, sempre più difficile la collocazione tassonomica esatta di una forma fossile attraverso l'interpretazione di un suo singolo carattere (caso frequente, dato che spesso si rinvengono solo frammenti ossei), l'insieme dei dati geologici, biologici e biochimici correlati fra loro consente una valutazione generale che ne permette l'inclusione o meno in una data forma antropoide o umanoide. Si è così venuto delineando il criterio che l'ominazione si è svolta nel tempo attraverso “stadi” comprendenti più specie polimorfe; ciò appare coerente sia con le acquisizioni della genetica delle popolazioni sia con il parallelismo dell'evoluzione di forme simili, e quindi con la comprovata coesistenza per tempi anche lunghi di specie umanoidi diverse. I criteri distintivi tra forme simili si basano non tanto sulle diversità delle strutture (per esempio: massa cerebrale, forme del cranio e delle braccia) quanto su più sottili distinzioni quali il numero e lo sviluppo delle circonvoluzioni cerebrali, la forma delle corone dentarie, la complessità dei possibili movimenti delle dita. In base a ciò si ritiene generalmente che uno degli elementi fondamentali per distinguere gli Ominidi dagli altri Primati sia l'acquisizione della stazione eretta, anche se questo non comporta necessariamente l'acquisizione delle caratteristiche proprie dell'uomo. Affrontando il problema sulla base della comparazione delle forme e sul significato evolutivo che hanno determinate strutture, è certo che la stazione eretta e l'uso della mano sono strettamente correlati con lo sviluppo di altre importanti acquisizioni strutturali, quali l'occipitalizzazione, la cefalizzazione, la frontalizzazione e l'indipendenza degli arti superiori. Uno studio del 2007 ha mostrato come l'andatura bipede sia molto più antica di quanto si pensasse. Alcuni fossili di Morotopithecus Bishopi, un primate arboricolo vissuto circa 21 milioni di anni fa in Uganda, presentano nella struttura dello scheletro e delle vertebre forti analogie con le caratteristiche che nell'essere umano consentono di assumere la posizione eretta. Analogie che allo stato degli studi non è possibile chiarire se siano determinate da convergenza evolutiva.

Le principali fasi dell'ominazione

Fino a qualche anno fa si riteneva che alla base del processo dell'ominazione, limitandosi all'individuazione delle divergenze che hanno condotto all'emergere dei primi Ominidi (generi Australopithecus e Homo), potessero essere collocati i resti di Ramapithecus, rinvenuti inizialmente nel 1934 in India settentrionale, ma diffusi in numerosi siti miocenici del continente euro-asiatico (Ungheria, Grecia, Turchia, Pakistan e Cina) e dell'Africa (Kenyapithecus), in epoca compresa tra 10 e 12 milioni di anni fa. Attualmente si pensa piuttosto che i fossili asiatici, comprendendo tra questi, oltre a Ramapithecus anche Sivapithecus, mostrino caratteri derivati condivisi con Pongo (Orango) e che la divergenza tra i Pongidi e gli Ominidi sia retrodatabile a un periodo compreso tra circa 13 e 16 milioni di anni, mentre la parentela tra Ominidi e grandi scimmie africane (Gorilla e Scimpanzé) sarebbe assai più prossima, come confermato da dati provenienti dalla paleontologia, dall'anatomia comparata, dalla cariologia e dalla biologia molecolare e, infine, dall'etologia. La differenziazione degli Ominidi dal gorilla è collocata da diversi autori tra 8-10 milioni di anni e quella tra Ominidi e scimpanzé tra 6,3 e 7,7 milioni di anni. I resti più antichi finora noti attribuiti con riserva a Australopithecus provengono da Lukeino, nel bacino del lago Baringo in Kenya (6,5 milioni di anni) e da Lothagam, sulla riva sud-occidentale del lago Turkana in Kenya (5,5 milioni di anni). Tra circa 4 e 3,5 milioni di anni sono datati la maggior parte dei resti più antichi di Ominidi dell'Africa orientale (Laetoli in Tanzania, Kanapoi e Chemeron in Kenya, Hadar e Bodo in Etiopia, ecc.) che molti autori includono ora nel genere Australopithecus afarensis proposto da D. Johanson e T. White, mentre secondo altri rappresentano due forme, per la più arcaica delle quali il paleoantropologo Y. Coppens ha proposto il nome di pre-Australopithecus. La variabilità dei caratteri morfologici permette una differenziazione delle Australopitecine dell'Africa orientale e del Sudafrica in diverse specie, tra le quali vengono generalmente accettate le seguenti : A. africanus, rinvenuto nei depositi di Taungs, Sterkfontein e Makapansgat, cui si attribuisce un'estensione cronologica compresa tra 2,3 e 2,8 milioni di anni; A. robustus, rinvenuto a Kroomdraai e Swartkrans con cronologia compresa tra 1,6 e 1,9 milioni di anni; A. boisei, noto a Olduvai, valle dell'Omo, laghi Turkana, Baringo e Natron tra 1,3 e 2,2 milioni di anni; A. afarensis, del quale si è già accennato. Differenze di interpretazione emergono a proposito della posizione di A. aethiopicus: a una mandibola rinvenuta in depositi della formazione Shungura (Omo) datati a 2,6 milioni di anni, e inizialmente (1968) attribuita da C. Arambourg e Y. Coppens a Paraustralopithecus aethiopicus, ha fatto seguito, nel 1986, la scoperta nel Turkana orientale di un cranio (KNM-WT 17.000), datato intorno a 2,5 milioni di anni, considerato da alcuni un rappresentante arcaico di A. boisei e da altri una specie distinta cui è stato appunto dato il nome di A. aethiopicus. L'emergere del genere Homo (Homo habilis), secondo la denominazione proposta da Ph. V. Tobias nel 1964, può essere collocato intorno a 2,5 milioni di anni mentre l'estinzione di questa specie è calcolata intorno a 1,5 milioni di anni. Resti di Homo habilis sono noti nel periodo considerato oltre che in Tanzania (Olduvai), in Etiopia (Omo), in Kenya (Koobi Fora) e nel Transvaal (Sterkfontein), con dubbi sull'appartenenza alla stessa specie di alcuni resti fossili provenienti da Swartkrans. A differenza dell'evidenza fornita da Olduvai, dove Homo erectus compare intorno a 1,2 milioni di anni, numerose nuove scoperte di più arcaici rappresentanti di questa specie in Africa (Melka Kunture in Etiopia, Nariokotome in Kenya, ecc.), e più recentemente anche in Eurasia (Dmanisi in Georgia), retrodatano sensibilmente la sua comparsa intorno a 1,7/1,6 milioni di anni, mostrando in tal modo una parziale sovrapposizione temporale di alcune centinaia di migliaia di anni con gli ultimi rappresentanti di Homo habilis.

Origine e sviluppo della cultura umana

Le diverse fasi dell'ominazione che sono state brevemente riassunte, comprendono importanti trasformazioni biologiche (configurazione biochimica particolare, progressivo adattamento alla stazione eretta e alla deambulazione bipede con le conseguenti modificazioni di gran parte della struttura scheletrica craniale e postcraniale, aumento volumetrico e modificazione dell'encefalo con maggior sviluppo selettivo di alcune aree rispetto ad altre, tendenza alla riduzione dell'apparato masticatorio e alla modificazione della forma dell'arcata alveolare, riduzione dei canini, perdita dei caratteri specializzati nella dentatura, ecc.) che hanno condotto alla forma umana attuale e che sono avvenute non sincronicamente fra loro. Di particolare interesse nella storia dell'ominazione sono gli aspetti relativi all'origine del comportamento umano, individuabili nei modelli di adattamento all'ambiente e di strategia nello sfruttamento delle risorse che hanno caratterizzato i diversi generi e le diverse specie di Ominidi pliopleistocenici (vedi Pliocene e Pleistocene). Poiché le moderne ricerche in campo etologico dimostrano sempre più chiaramente come una certa “capacità di cultura” sia peculiare ai Primati superiori, risulta evidente come questo aspetto debba avere assunto importanza anche per alcune delle Australopitecine, soprattutto in considerazione del maggior grado di sviluppo cerebrale che questo genere aveva raggiunto rispetto alle attuali scimmie antropomorfe. L'uso di strumenti, inizialmente occasionale (probabilmente tra 4 e 3 milioni di anni, anche se mancano attualmente prove archeologiche dirette in tal senso), ben presto costante (intorno alla soglia di 2,5 milioni di anni) e intensivo (a partire da circa 2 milioni di anni), deve avere influito selettivamente sulle specie maggiormente impegnate in tal senso, accelerandone certi aspetti dello stesso sviluppo biologico. La sovrapposizione cronologica tra generi distinti (Australopithecus e Homo) e specie (Homo habilis e arcaici rappresentanti di Homo erectus), entrambi potenzialmente in grado di utilizzare e fabbricare strumenti, si è probabilmente tradotta in una sovrapposizione di esiti tecnologico-culturali difficilmente distinguibili su basi archeologiche. Sebbene si sia a lungo ritenuto che gli Australopithecus non fossero capaci di costruire utensili ma solo di utilizzare ciottoli per scopi semplici, in anni recenti sono stati ritrovati manufatti in pietra lavorata simili a quelli della tecnologia olduvaiana assieme ai fossili di A. garhi e datati tra 2,5 e 2,6 milioni di anni. In tal senso è stato recentemente suggerito da diversi autori come le più antiche manifestazioni di attività strumentale dimostrino un livello di complessità talmente basso da poter essere indifferentemente attribuite all'uno o all'altro rappresentante dei due generi, mentre l'evidenza archeologica relativa all'Olduvaiano consenta di attribuire tale tecnocomplesso sia a Homo habilis che a Homo erectus, dal momento che i resti fossili di entrambe le specie vi sono stati rinvenuti associati in diversi giacimenti africani. Nel 2013 un team internazionale di ricercatori, coordinato dal paleoantropologo Lee Berger, ha ritrovato fossili di un nuovo antenato dell'uomo. La nuova specie di ominide presenta caratteristiche intermedie tra Australopithecus e Homo è stata rinvenuta in Sudafrica nella Dinaledi Chamber, una caverna cha fa parte del complesso della Rising Star Cave. La specie è stata ufficialmente descritta nel 2015 con la denominazione di Homo Naledi. Di grandissima importanza è risultata anche la dislocazione dei resti che ha fatto ritenere si trattasse di una tomba: la testimonianza più antica  di una pratica funeraria a oggi rinvenuta.

L'origine dell'uomo moderno

I risultati concordanti di diverse delle discipline prima menzionate, unitamente a recenti datazioni assolute ottenute col metodo del 14C, della risonanza elettronica di spin e della termoluminescenza, sembrano indicare che l'origine dell'uomo moderno sia da ricercare in esemplari fossili rinvenuti in Africa orientale e databili intorno a 200.000-100.000 anni orsono. Nel Vicino Oriente è ormai saldamente dimostrata una coesistenza tra Homo sapiens sapiens e Homo sapiens neanderthalensis nel periodo di tempo compreso tra circa 100.000 e 50.000 anni fa (resti umani e sepolture delle grotte di Qafzeh, Skhul, Amud, Tabun, e Kebara), mentre nell'Europa occidentale l'uomo anatomicamente moderno (Cro-Magnon) sostituisce gli ultimi Neandertaliani (Saint-Césaire) in epoca valutabile intorno a 40.000-35.000 anni fa. Argomento di discussione è attualmente il problema dei rapporti tra l'uomo anatomicamente moderno e i Neandertaliani; secondo alcuni (S. Borgognini Tarli) vi sarebbero state due aree di mutazione biologica, la prima delle quali in Europa occidentale, avrebbe costituito il centro di origine dei Neandertaliani, mentre nell'altra, rappresentata dall'Africa subsahariana, dovrebbe riconoscersi il centro di origine dell'uomo moderno. Dall'espansione da questi due centri secondo il modello multidirezionale della pressione demografica, nel Vicino Oriente potrebbe situarsi il punto di incontro tra queste due forme umane, che, a giudicare dalle datazioni recentemente ottenute intorno a 80.000-100.000 anni, dovrebbe essere avvenuto in epoca piuttosto arcaica.

Bibliografia

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