Lessico

sf. [sec. XX; tele-+visione, sul modello dell'inglese television].

1) Sistema di trasmissione a distanza delle informazioni relative a immagini non permanenti di oggetti fissi o mobili, che vengono acquisite, trasmesse e riprodotte sullo schermo di un apparato elettronico a ciò destinato, detto televisore. Per estensione, l'insieme dei servizi che consentono la ripresa e la diffusione dei programmi televisivi.

2) Nel linguaggio comune, lo stesso che televisore: accendere, spegnere la televisione.

Tecnica: cenni storici

I primi tentativi di attuare la trasmissione a distanza di immagini in movimento furono avviati abbinando mezzi elettrici e meccanici. Con l'introduzione delle cellule fotoelettriche al selenio, dopo il 1873, ebbero praticamente inizio gli studi per convertire i segnali ottici relativi a un'immagine in segnali elettrici e viceversa, al fine di poter trasmettere a distanza l'informazione visiva mediante segnali elettrici. Tali cellule favorirono l'analisi dei punti luminosi in cui poteva venire scomposta un'immagine e quindi la trasmissione in rapida sequenza delle informazioni relative e l'utilizzazione della segnalazione per la riproduzione dell'immagine a distanza. I primi risultati validi si ebbero grazie agli studi e alle sperimentazioni pratiche di uno scienziato tedesco, P. G. Nipkow, che nel 1884 propose un sistema per realizzare le prime trasmissioni televisive analizzando l'immagine per punti su righe successive; per la ripresa e la riproduzione delle immagini si dovevano impiegare due dischi (detti appunto di Nipkow) rotanti sincronicamente e dotati di una serie di fori disposti secondo una spirale. Una cellula fotoelettrica disposta dietro il primo disco avrebbe captato in successione la luminosità dei vari punti dell'immagine da trasmettere, e una speciale lampada a gas, alimentata dal segnale proveniente dalla cellula e disposta dietro il secondo disco, rotante in sincronia con il primo, avrebbe consentito la proiezione su di uno schermo degli elementi luminosi che componevano l'immagine. La prima dimostrazione pratica del sistema avvenne però molto tempo dopo la proposta di Nipkow: in pratica, infatti, solo nel 1926, utilizzando dei tubi elettronici come amplificatori del segnale emesso dalla fotocellula, fu possibile realizzare i primi esperimenti con esito positivo. In quell'anno lo scozzese J. L. Baird diede a Londra una dimostrazione convincente del sistema con un'immagine di piccolo formato analizzata su 28 linee successive. Dai primi esperimenti di trasmissione televisiva via filo si passò, negli anni successivi, a trasmissioni via radio sulla frequenza delle onde lunghe. Ulteriori perfezionamenti al sistema di analisi con il disco di Nipkow vennero realizzati successivamente grazie a studi condotti in tutto il mondo, ma ebbero scarso seguito, perché l'analisi e la ricomposizione delle immagini con mezzi meccanici di scansione dava luogo a notevoli difficoltà soprattutto per la definizione e la sincronizzazione. Nello stesso periodo il fisico russo B. Rosing propose l'impiego di tubi a raggi catodici, sia per la ripresa sia per la riproduzione delle immagini in movimento. Da questi studi si sviluppò l'idea della trasmissione di immagini con mezzi puramente elettronici, che ha soppiantato completamente l'uso di mezzi meccanici per la scansione video. I metodi proposti da Rosing furono sviluppati negli USA dallo statunitense di origine russa V. K. Zworykin che, nel 1923, realizzò il primo dispositivo elettronico di analisi delle immagini, detto iconoscopio, poi sostituito dal più perfezionato orthicon. Si ottenne così una buona definizione dell'immagine; tuttavia, fino a dopo la seconda guerra mondiale, la televisione rimase in fase sperimentale. Negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale, sia in America sia in Europa, furono condotti esperimenti che diedero luogo a importanti puntualizzazioni sulle tecniche da seguire. La diffusione dei programmi televisivi, già in atto negli Stati Uniti alla fine degli anni Quaranta, si ampliò nel secondo dopoguerra estendendosi prima a Paesi europei (in Italia nel 1954), poi a tutto il mondo. Accordi internazionali disciplinarono lo scambio e la diffusione dei programmi televisivi in eurovisione con una rete a livello europeo che iniziò a funzionare dal 1953. Tuttavia le frequenze usate per trasmettere i segnali televisivi (inizialmente nella banda VHF) permettevano collegamenti in rete solo con ripetitori a vista, per cui per vari anni le immagini d'oltreoceano potevano essere rese disponibili solo con il trasporto fisico di nastri di registrazione. Solo con l'avvento dei satelliti per telecomunicazioni, furono possibili le trasmissioni televisive transoceaniche. Il primo collegamento su scala mondiale di programmi televisivi fu attuato nel 1962 tramite un satellite artificiale per comunicazioni tipo Telstar. I sistemi televisivi fino allora studiati consentivano solo la riproduzione in bianco e nero, ma fino dal 1928 Baird aveva proposto un metodo per la riproduzione televisiva a colori basata sull'analisi dell'immagine in tricromia secondo i tre colori fondamentali (rosso, blu e verde); è interessante notare che i moderni sistemi di televisione a colori si basano tuttora sullo stesso sistema a base tricromica. Le prime trasmissioni a colori furono realizzate negli Stati Uniti subito dopo il secondo conflitto mondiale e si diffusero in seguito anche in Europa a iniziare dal 1967, sulla base di standard differenti nei riguardi della codifica del colore, e precisamente: il sistema NTSC, adottato in USA; il SECAM, adottato in Francia e in altri Paesi dell'Europa orientale; il PAL, adottato in Germania e in molte altre nazioni d'Europa. Lo sviluppo delle tecniche di trasmissione e, in particolare, l'uso di frequenze di diffusione più elevate (nella banda UHF) portarono alla moltiplicazione dei canali disponibili, permettendo la scelta da parte dell'utente di una grande varietà di programmi televisivi, sia in ambito nazionale, sia in ambito locale. Gli sviluppi successivi hanno riguardato tre aspetti della tecnica televisiva: il primo è relativo all'evoluzione degli apparati di ripresa e di riproduzione televisiva, soprattutto grazie all'evoluzione degli schermi elettronici; il secondo riguarda la progressiva sostituzione del segnale televisivo analogico (unico a essere utilizzabile fino agli anni Novanta) con il segnale televisivo digitale, grazie all'evoluzione delle tecniche di trasmissione ed elaborazione di dati; il terzo, infine, riguarda i sistemi di diffusione, cioè i mezzi per far pervenire all'insieme degli utenti l'informazione video di interesse. Sono attualmente tre i sistemi di diffusione: quello radio terrestre, quello via cavo e quello via satellite. È da sottolineare che l'uso del satellite per la diffusione televisiva è differente da quello già citato per i collegamenti video intercontinentali, che si riferisce a segnali satellitari destinati alla ricezione diretta da parte degli utenti. Anche i mezzi trasmissivi tendono a essere convertiti dalla tecnica televisiva analogica a quella digitale, ottenendo così la televisione digitale terrestre, digitale via satellite e digitale via cavo.

Tecnica: generalità

Gli sviluppi tecnologici hanno portato a una profonda evoluzione in tutti gli aspetti della tecnica televisiva. Tuttavia le caratteristiche fondamentali del segnale video, necessario per trasmettere a distanza l'informazione visiva, si fondano ancora sui concetti introdotti per la tecnica analogica relativa agli schermi a raggi catodici (CRT), utilizzando considerazioni storicamente valide anche se spesso superate tecnicamente. Si fa quindi riferimento ad alcuni standard di base, relativi alla definizione dell'immagine e alla realizzazione della sensazione di movimento, ottenuta mostrando in rapida successione i quadri successivi della scena, analogamente a quanto attuato nella tecnica cinematografica. Il primo è relativo al numero delle immagini da trasmettere al secondo, numero che fu preso pari a 50, onde evitare gli effetti fastidiosi di sfarfallio presenti nei CRT in caso di un ritmo troppo lento. La quantità di informazione relativa a 50 immagini al secondo risultava però troppo elevata, per cui si ricorse alla tecnica delle immagini interallacciate, corrispondenti a 25 immagini complete al secondo presentate rispettivamente per righe pari e righe dispari (cioè 50 quadri). Nei CRT l'immagine era costruita per righe, facendo percorrere al pennello elettronico lo schermo con movimenti uniformi da sinistra verso destra e dall'alto verso il basso. Un tubo CRT adattato a tale uso viene detto cinescopio (quando è utilizzato negli apparecchi televisivi) e imageorthicon (quando è utilizzato nelle telecamere per acquisire il segnale sulla base delle immagini reali). Con la sostituzione dei CRT con schermi al plasma o ai cristalli liquidi, molte delle considerazioni precedenti perdono di validità, in quanto viene superato il problema dello sfarfallio; l'immagine inoltre non è più costruita per linee, ma per punti (pixel) secondo una configurazione a matrice. Tuttavia lo standard video relativo al segnale analogico in uso nei CRT è tuttora universalmente adottato. Il segnale video standard è pertanto composto dalla sequenza di 50 quadri al secondo, per cui il tempo a disposizione di ciascun quadro è di 20 millisecondi. Per permettere il riconoscimento di quadri successivi parte dell'intervallo di 20 millisecondi è destinato alla trasmissione degli impulsi di sincronismo (sincronismo di quadro) in modo che il ricevitore si sincronizzi in modo corretto con l'apparato di ripresa. Gli impulsi di sincronismo di quadro occupano un intervallo pari a circa il 30% del tempo a disposizione, e appaiono sullo schermo come due bande nere che delimitano superiormente e inferiormente l'immagine utile (nei CRT, quando per varie cause il circuito si sganciava dal sincronismo di quadro, la banda nera appariva nel centro dello schermo, con metà dell'immagine sopra e metà sotto). Il numero di 50 quadri fu scelto sia in base a considerazioni di carattere ottico, sia perché è pari alla frequenza di alimentazione della rete elettrica (50 Hz), questo perché nei circuiti elettronici impiegati, a causa di insufficiente filtraggio, una frequenza di quadro differente avrebbe provocato disturbi sull'immagine. Negli Stati Uniti, considerando che la frequenza della rete elettrica di distribuzione è pari a 60 Hz, lo standard video prevede una frequenza di quadro pari a 60 quadri al secondo (corrispondentemente si hanno in Europa 25 immagini al secondo e negli Stati Uniti 30). Un altro dato dello standard video riguarda il numero di righe per immagine, che è stato fissato in vario modo nei diversi Paesi. Negli USA furono adottate 505 righe per immagine, in Gran Bretagna 405, in Francia 819, in molti altri Paesi europei, fra cui l'Italia, 625. Dal prodotto del numero di immagini al secondo per il numero di righe per immagine nasce la frequenza di riga (per 625 righe per immagine e 25 immagini al secondo, la frequenza di riga è pari 15.625 Hz). Un altro dato è il rapporto tra larghezza e altezza dell'immagine, pari a 4/3. I dati fin qui riportati influenzano la banda di informazione che è di 3 MHz in Gran Bretagna, 4 MHz negli USA, 10 MHz in Francia e 5 MHz negli altri Paesi europei. Un segnale video analogico la cui frequenza va da 0 fino al massimo suddetto (per esempio secondo lo standard usato in Italia 5 MHz) è detto segnale video in banda base e non si presta a essere trasmesso se non per piccolissime distanze, come nel caso di connessione di apparati vicini. La trasmissione a distanza necessita di un'opportuna modulazione del segnale in banda base. Di norma viene utilizzata la modulazione di ampiezza a doppia banda laterale; in questo modo la larghezza di banda lorda di un canale video modulato sarebbe pari a due volte la larghezza di banda in banda base. Ciò darebbe luogo a bande di occupazione troppo larghe (10 MHz nello standard italiano). Per ridurre tale larghezza è stata adottata una modifica al sistema di modulazione a doppia banda laterale, sopprimendo parzialmente una delle due bande. In tal modo la banda lorda occupata dal segnale video modulato si riduce a circa 7 MHz (secondo lo standard adottato in Italia). Accanto al canale video la trasmissione televisiva prevede la presenza di uno o più canali audio, per i quali si utilizza una differente portante, spostata opportunamente rispetto alla portante video e adottando il sistema di modulazione di frequenza. Va inoltre osservato che l'intervallo di frequenza presente fra le due portanti è stato scelto per agevolare negli apparecchi televisivi la separazione delle informazioni audio da quelle video (sistema intercarrier) che semplifica notevolmente la sintonia sul canale desiderato. In trasmissione i due canali audio e video, precedentemente modulati, sono inviati alla stessa antenna trasmittente utlizzando un opportuno miscelatore di segnali che ha lo scopo di minimizzare le influenze reciproche. A tale scopo si utilizza un filtro di accoppiamento detto diplexer, mediante il quale si ottiene il cosiddetto segnale video composito (comprensivo cioè di segnale video e audio). La larghezza di banda lorda del canale video composito influenza il numero di canali che possono essere tramessi, affiancando l'informazione sulla gamma delle frequenze utilizzabili, con un'opportuna scelta delle frequenze portanti. In Italia le gamme destinate ai canali televisivi occupano due bande differenti, la VHF e la UHF: la prima è stata destinata fino dall'inizio del servizio televisivo alla diffusione del primo canale RAI, dividendo il territorio nazionale in aree servite da trasmettitori operanti su differenti frequenze portanti; in tal modo l'intero territorio nazionale risultava servito con una buona qualità di trasmissione, limitando le interferenze nelle zone di confine di aree contigue. Una esigenza molto sentita era quella di non escludere nessuna località dal servizio, cosa piuttosto difficile da ottenere a causa della conformazione del territorio: ciò ha impedito per molto tempo di affiancare il servizio di RAI 1 con un secondo canale televisivo. La regolamentazione di tale materia era affidata a un piano nazionale delle frequenze che stabiliva la posizione delle portanti in ciascuna area di territorio. La possibilità di trasmettere più canali televisivi contemporanei fu attuata con i programmi di RAI 2 e poi di RAI 3, per i quali fu però necessario aggiornare il suddetto piano, includendo delle portanti nella banda UHF (ciò comportò per qualche tempo l'uso di adattatori appositamente costruiti, poiché i televisori di allora erano sintonizzabili esclusivamente nella banda VHF). L'utilizzazione contemporanea delle bande VHF e UHF, tuttora in uso, ha permesso di moltiplicare il numero di canali disponibili realizzando servizi differenziati sia a livelli nazionale sia a livello locale, aggiornando opportunamente il piano nazionale delle frequenze. Per ottenere una migliore fruibilità dell'immagine, utile nel caso di riprese sportive o di film a schermo largo, è stato introdotto un nuovo standard di immagine nel quale il rapporto larghezza/altezza è pari a 16/9, anziché 4/3. Malgrado gli indubbi vantaggi relativi alla maggiore ampiezza orizzontale dell'immagine, lo standard 16/9 richiede tuttavia un aumento della superficie dello schermo del 33%, rispetto a un analogo schermo in standard 4/3. Attualmente i due standard coesistono, e vengono costruiti ricevitori di ambedue i tipi. Il problema dell'incompatibilità tra i due standard, abbastanza grave per i cinescopi operanti con tecnologia elettronica analogica, è stato completamente risolto con la tecnica digitale e con gli schermi basati su matrici di pixel: una trasmissione in 16/9 pertanto può essere fruita anche da ricevitori in 4/3, o viceversa, con l'ovvio inconveniente di riduzione dell'immagine utile a causa dell'introduzione di bande orizzontali o verticali, ovvero con la rinuncia alla conservazione dei rapporti dimensionali delle scene. In merito, infine, alla distribuzione del segnale video, dai trasmettitori prossimi ai centri di produzione il segnale video viene distribuito sul territorio, in modo da raggiungere le località più adatte per la diffusione verso l'utenza: a questo scopo il segnale viene inviato in modulazione di frequenza, utilizzando ponti radio terrestri, collegamenti via cavo o in fibra ottica, tratte via satellite. Il segnale video a radiofrequenza (cioè dopo la modulazione di frequenza) è caratterizzato da una larghezza di banda di 26 MHz fra ponti radio terrestri, di circa 30 MHz per la trasmissione da satellite (con satelliti della classe Intelsat 5) a stazioni con antenne di diametro di 11 o 30 m (operanti rispettivamente a 6 e a 4 GHz e viceversa).

Tecnica: televisione a colori

La televisione a colori si è diffusa con notevole ritardo rispetto a quella in bianco e nero. Ciò è avvenuto essenzialmente, oltre che per le difficoltà tecnologiche, anche perché è stato necessario superare contemporaneamente tre distinti ordini di problemi nell'approntare i nuovi standard. Anzitutto era necessario, per motivi tecnici, ma anche per esigenze di mercato, che il sistema a colori risultasse compatibile con quello in bianco e nero, ossia occorreva che i normali televisori potessero ricevere in bianco e nero i programmi trasmessi a colori e che i modelli a colori potessero ricevere anche programmi in bianco e nero. Bisognava perciò comandare automaticamente l'inserzione delle informazioni di colore nella riproduzione dei singoli televisori semplicemente con un'apposita informazione di comando, inseribile nel segnale video all'atto della diffusione, in modo da consentire anche programmi parzialmente a colori e in bianco e nero. Per di più non si doveva maggiorare la banda di lavoro e di trasmissione per le informazioni video, dato che non era possibile alterare la distribuzione nelle bande VHF e UHF dei canali televisivi già esistenti. Queste difficoltà tecniche, che a tutta prima sembravano insormontabili, sono state superate impiegando per le informazioni del colore una banda che considerazioni pratiche hanno permesso di ridurre a soli 1/2 MHz di ampiezza, pur assicurando una buona capacità risolutiva; si è inoltre ricorsi a un artificio tecnico che ha permesso di inserire questa stretta banda di colore nell'ambito della normale banda del segnale in bianco e nero. L'informazione di colore in un'immagine consiste nel fornire in ogni punto il grado di saturazione rispetto a tre colori fondamentali, che sulla base del sistema di tricromia sono rispettivamente il rosso, il verde e il blu. Negli apparati di ripresa i tre colori corrispondono a tre immagini distinte, che potrebbero essere trasmesse su canali separati, detti RGB. La trasmissione a distanza di tali canali non viene però effettuata a causa dell'eccessiva occupazione di banda (pari a tre volte quella di un canale in bianco e nero). Il sistema adottato consiste nella codifica dell'informazione di colore in un opportuno segnale, detto di crominanza, che contiene l'informazione di due dei tre colori di base, essendo l'informazione del terzo ottenuta per differenza dei precedenti. Il segnale di crominanza è utilizzato per modulare opportuna sottoportante (sottoportante di colore) sovrapposta al segnale video principale, scelta in modo da evitare interferenze tra l'informazione di crominanza e quella di luminanza, relativa alla luminosità dell'immagine priva di colore. La modulazione adottata per trasmettere il segnale di crominanza è la modulazione di fase che si è dimostrata la più adatta per tale applicazione. Affinché tale tipo di modulazione funzioni correttamente, permettendo nei ricevitori di rivelare il corretto segnale di crominanza, è necessario inviare un opportuno riferimento di fase, ottenuto sovrapponendo a ogni impulso di sincronismo di riga un breve treno di oscillazioni, detto burst, che fornisce il riferimento di fase necessario per procedere alla demodulazione della sottoportante di colore. Con circuiti relativamente semplici è così possibile riottenere nel ricevitore il segnale RGB, ossia le informazioni relative ai tre colori fondamentali relativi a ogni punto dello schermo. Occorre notare che il segnale video completo del sistema di trasmissione televisiva a colori (detto segnale video composito) che viene ricevuto dagli utenti contiene complessivamente informazioni relative a: luminanza, RGB (componenti di crominanza) e segnale audio. Nel televisore, a partire dal segnale video composito, tali informazioni sono estratte e separate le une dalle altre. Negli schermi a raggi catodici, le componenti RGB di crominanza sono usate per comandare tre cannoni elettronici che danno luogo a tre pennelli elettronici distinti, ciascuno indirizzato verso una particolare area dello schermo che dà luogo a una luminosità di colore opportuno. A tale scopo i tre pennelli elettronici incontrano prima una maschera forata e, immediatamente dopo, una terna tricromica di fosfori fotoemittenti in colore rosso, verde e azzurro disposti sullo schermo del cinescopio. Le dimensioni delle numerosissime terne di fosfori di cui è composto lo schermo di ogni cinescopio a colori sono tali da far sì che, per l'osservatore, ogni terna sia assimilabile a un singolo punto luminoso. Se nel segnale video manca il burst con le informazioni del colore, ogni pennello elettronico viene modulato dalla sola informazione dei luminanza, inviata in parti uguali ai tre cannoni elettronici. In tal modo, le terne di fosfori, egualmente eccitate, danno luogo a una normale visione in bianco e nero. D'altra parte i radioricevitori televisivi in bianco e nero non sono dotati di circuiti di rivelazione per la sottoportante di crominanza e utilizzano quindi per la visione solo le normali informazioni di luminanza, sempre presenti in ogni caso nel segnale video. I cinescopi a colori sono dispositivi estremamente complessi e richiedono tensioni molto elevate di alimentazione (più di 15.000 volt); per questo sono in gran parte superati da schermi al plasma e a cristalli liquidi. A causa della differenza di vari particolari tecnici, lo standard televisivo relativo al segnale composito della televisione a colori non è unificato fra i vari Paesi. Dal punto di vista della qualità delle immagini, i diversi sistemi esistenti – i già citati NTSC, PAL, ecc. – differiscono per i valori ottenibili di interferenza fra i segnali di crominanza e luminanza, in relazione a ricevitori a tubi a raggi catodici. Con l'avvento di schermi di nuova generazione e della tecnica di decodifica digitale, tali differenze tendono a sparire e, nell'ambito dei ricevitori, si estende la tecnologia multistandard, tale da permettere la ricezione corretta dell'immagine, indipendentemente dallo standard utilizzato. La maggior larghezza di banda del canale di trasmissione da satellite (27 MHz) permette invece un nuovo tipo di codifica, denominata in Europa MAC (Multiplexed Analogue Component), che elimina le interferenze dovute alla sovrapposizione degli spettri di luminanza e di crominanza. Nel MAC le componenti di luminanza e quelle di crominanza sono inviate separatamente e in tempi successivi, eliminando qualsiasi interferenza reciproca. Gli standard MAC sono compatibili sia con il rapporto di forma 4/3 sia con quello di forma 16/9 e possono riguardare sia sistemi evolutivi sia i futuri sistemi ad alta definizione (HDTV), la cui qualità, nettamente superiore rispetto ai sistemi tradizionali, è dovuta, oltre al formato dell'immagine 16/9, soprattutto al numero di righe attive, circa il doppio rispetto a quello dei sistemi PAL o NTSC, e ai 1920 campioni attivi per riga contro i 720 dei segnali televisivi tradizionali. Si possono così ottenere oltre due milioni di campioni per quadro contro gli attuali 400.000. La larghezza della banda base dei segnali di luminanza HDTV risulta di conseguenza pari a 30 MHz, circa cinque volte quella dei segnali tradizionali televisivi. I due segnali differenza di colore sono trasmessi su ogni linea e i campioni globali di crominanza nel quadro televisivo sono in numero uguale a quelli di luminanza. La banda base complessiva del segnale video HDTV è quindi dell'ordine di 60 MHz, perché le bande dei due segnali differenza di colore, di 15 MHz ciascuna, sono trasmesse separatamente dal segnale di luminanza, che occupa 30 MHz. Sono due le categorie fondamentali di sistemi HDTV: i sistemi a banda stretta (NB-HDTV), analogici, e quelli a banda larga (WB-HDTV), digitali. I sistemi NB-HDTV sono idonei alla trasmissione nella larghezza di banda di 27 MHz, con una definizione delle aree in movimento dell'immagine uguale a circa la metà di quella delle aree statiche e con modulazioni analogiche. Il sistema giapponese e quello europeo (HD-MAC), che appartengono a questa categoria, impiegano tecniche di elaborazione numerica del segnale per comprimere la banda base, seguite da riconversione in analogico per la trasmissione.

Tecnica: televisione digitale (DTV)

La DTV (Digital TeleVision) è una tecnica televisiva che usa la tecnologia elettronica digitale per la trasmissione, la diffusione e la ricezione su apparecchi televisivi di immagini, di segnali audio e di insiemi di dati di carattere generale. La televisione digitale presenta molti vantaggi rispetto a quella tradizionale analogica: innanzitutto estende l'ambito dei servizi dalla semplice trasmissione di immagini in movimento a trasmissioni di tipo più generale e multimediale; in secondo luogo permette di trasmettere più canali di trasmissione a parità di larghezza di banda occupata, richiedendo minore emissione di energia elettromagnetica; consente inoltre di ottenere immagini a elevata risoluzione, eliminando, grazie alla tecnica di compressione di immagini MPEG (Motion Picture Experts Group), i principali inconvenienti (doppie immagini, effetto neve, disturbi audio, ecc.) spesso presenti nelle immagini ricevute con la tecnica di diffusione analogica. La MPEG, tuttavia, può presentare altri inconvenienti, quali la presenza di blocchi non decodificati nelle immagini (che appaiono sullo schermo come rettangoli di colore uniforme) soprattutto quando il rapporto segnale/rumore diviene insufficiente. Peraltro, in varie situazioni ove la televisione analogica dà luogo a immagini scadenti, ma pur sempre visibili, la tecnica DTV può fallire del tutto: infatti, in funzione dei metodi usati per la decodifica dei segnali ricevuti, la televisione digitale può funzionare perfettamente o non funzionare affatto. La tecnica digitale sta via via soppiantando quella analogica, in coincidenza con il passaggio dalle immagini con rapporto dimensionale pari a 4/3 a quelle con rapporto pari a 16/9. La tecnica DTV si basa prevalentemente su quest'ultimo tipo di rapporto e, se viene ricevuta con i tradizionali televisori, dà luogo a immagini contornate da due bande scure orizzontali derivanti dal modo con cui un'immagine in 16/9 viene riprodotta su uno schermo in 4/3. Tutte le soluzioni tecniche adottate per la televisione digitale possono essere ricondotte o alla televisione con definizione classica (SDTV, Standard Definition TeleVision) o a quella ad alta risoluzione (HDTV, High Definition TeleVision). Poiché però il sistema SDTV è maggiormente diffuso, per rendere compatibile la tecnica digitale con la tecnica analogica preesistente, la maggior parte dei sistemi di televisione digitale segue questo standard, utilizzando in particolare la tecnica di trasmissione per righe interallacciate, come avviene per la televisione analogica. Allo scopo di evitare il moltiplicarsi degli standard, come è avvenuto nel caso della televisione a colori, vari tentativi sono stati effettuati per unificare a livello mondiale gli standard proposti per la televisione digitale: pertanto sono presenti due standard principali, quello europeo (EDTV) e quello statunitense (ADTV), ai quali va aggiunto lo standard IDTV in uso in Giappone. Sempre in Giappone è stato messo a punto un ulteriore standard denominato UHDV (Ultra High Definition Video) che permette di ottenere una risoluzione 16 volte quella di una immagine video tradizionale. La tecnica HDTV usa di norma una matrice di 1280 x 720 pixel, in modo di scansione progressiva (detto standard 720p), ovvero una matrice di 1920 x 1080 pixel, in modo di scansione interallacciata (1080i). La tecnica SDTV presenta una risoluzione minore (a seconda dei casi, 704 x 480 pixel in standard NTSC, 768 x 576 oppure 1024 x 576 pixel in standard PAL. Uno stesso canale video DVT può essere suddiviso in vari sottocanali, permettendo la trasmissione contemporanea di più programmi. Pertanto il canale DTV viene detto multiplex. Le stazioni TV possono utilizzare i sottocanali per trasmettere informazioni video, audio o dati (pagine grafiche, informazioni varie, ecc.) e possono, a seconda delle esigenze, interrompere la trasmissione di un sottocanale per trasmettere un programma di migliore qualità, utilizzando una maggiore larghezza di banda (per esempio un film in alta risoluzione). Ciò può essere effettuato automaticamente adottando la tecnica detta del "multiplex statistico" (stat-mux). I multiplex possono anche ridurre i sottocanali trasmessi e la larghezza di banda digitale, allo scopo di diminuire il numero di bit trasmessi e rendere più agevole la ricezione in zone ove il segnale è basso o per estendere il servizio a utenti mobili. Attualmente la maggior parte degli utenti riceve i canali in televisione digitale utilizzando appositi adattatori (set top box) che permettono la conversione del segnale video digitale in un segnale analogico standard che può essere ricevuto da un normale apparecchio televisivo. Tuttavia, anche se lentamente, un numero crescente di modelli di televisori è dotato di ricevitori digitali integrati. L'accesso ai vari canali può essere controllato da una carta di accesso (smart card, simile a una carta di credito), allo scopo di impedire la visione senza gli opportuni diritti di fruibilità. Alcuni canali possono essere poi codificati o sottoposti a particolari restrizioni (per esempio, divieto di registrazione del canale, divieto di visione con schermi di ampiezza maggiore di un valore prefissato, ecc.). La tecnica della televisione digitale permette inoltre all'utente di intervenire a vari livelli per mezzo di un canale di ritorno, realizzato attraverso una linea telefonica in collegamento con il centro di programmazione. La televisione digitale può essere trasmessa e diffusa secondo tre tecniche distinte: la tecnica digitale terrestre (DTV-T, Terrestrial Digital TeleVision), la tecnica via satellite (DTV-S, Satellite Digital TeleVision) e la tecnica via cavo (DTV-C, Cable Digital TeleVision). In generale, la televisione digitale sembra destinata a soppiantare completamente, prima o poi, la tecnica della televisione analogica: questo perché la potenza irradiata per la diffusione, a parità di programmi trasmessi, è di gran lunga minore per la televisione digitale rispetto a quella analogica, con indubbi vantaggi in termini di compatibilità e di inquinamento elettromagnetico ambientale. Parallelamente allo sviluppo della televisione digitale, in Europa è stato realizzato un nuovo standard di trasmissione, sia terrestre sia via satellite, denominato PALPlus. Si tratta di uno standard derivato dall'attuale PAL che permette di sfruttare al meglio la possibilità di vedere i film nel formato 16/9, con un reale miglioramento di definizione che non sia il semplice ingrandimento (quindi con uguale definizione) di un film cinemascope visto sui televisori normali (cioè con schermo 4/3), nei quali appare delimitato da due bande nere in alto e in basso sullo schermo. E, naturalmente, rimanendo compatibile con gli attuali televisori con schermo 4/3 e quindi con le 576 righe utili del sistema PAL. Per la ricezione delle trasmissioni in PALPlus occorre pertanto un televisore con schermo 16/9 e dotato di un apposito decodificatore. Infatti, quando un film cinemascope (16/9) viene trasmesso in PAL, per ristabilire le giuste proporzioni senza togliere le estremità laterali dell'immagine, il segnale viene modificato togliendo una riga ogni quattro (in tutto, se ne tolgono 144) e quindi utilizzando soltanto 432 righe. Le bande restanti al di sopra e al di sotto dell'immagine sono nere. Si ha perciò un formato di immagine 16/9, ma si perde molto in definizione. Con il sistema PALPlus, invece, il segnale viene modificato allo stesso modo (in maniera da continuare a potere essere visto con i normali televisori 4/3), ma le 144 righe tolte dall'immagine iniziale non vengono eliminate, bensì trasmesse in forma codificata nelle due bande nere sopra e sotto l'immagine. Il televisore, se è provvisto del decodificatore PALPlus, interpola le 144 righe eliminate nelle 432 ricostituendo l'immagine originaria a 576 righe nel formato 16/9.

Tecnica: televisione digitale terrestre (DTT)

La DTT (Digital Terrestrial Television) è un sistema di diffusione di programmi televisivi che utilizza la tecnologia digitale per codificare, trasmettere ed elaborare i segnali video e una rete di diffusione su canali radio terrestri per diffondere i canali. Il termine terrestre è utilizzato in contrapposizione a via satellite, che caratterizza quei sistemi in cui i canali sono diffusi attraverso ripetitori posti su satelliti artificiali. Con la sigla DVB-T (Digital Video Broadcasting-Terrestrial, diffusione di segnali video digitali per via terrestre) si indicano invece gli standard tecnici usati per la radiodiffusione televisiva in forma digitale. Il sistema di trasmissione televisiva DTT è in fase di rapido sviluppo e in concorrenza con gli altri sistemi di televisione digitale, il DVB-C, in cui la trasmissione avviene via cavo, e il DVB-S, in cui la trasmissione avviene via satellite. Rispetto a questi ultimi e ai sistemi di diffusione analogica, il sistema DVB-T presenta vari vantaggi: la possibilità di usare una rete di diffusione analoga a quella della classica televisione analogica; la facile adattabilità dello standard digitale nei confronti di utenti provvisti di ricevitori analogici per mezzo di appositi dispositivi di interfaccia, detti set top box; la possibilità di trasmettere più canali raggruppati in un unico segnale detto multiplex, in una banda di larghezza simile a quella di un unico canale analogico;la possibilità di integrare la trasmissione con un canale di ritorno, realizzato attraverso un collegamento di tipo telefonico, con il quale l'utente può interagire con il centro di programmazione del servizio televisivo, per scegliere programmi, inviare richieste o partecipare a programmi di tipo interattivo (giochi, quiz, acquisti in linea, ecc.). Sottosistemi caratteristici del sistema DVB-T sono la rete di trasmissione, l'apparato di utente (ricezione, decodifica ed elaborazione del segnale) e il centro di redazione e di editing dei programmi. Il sistema DTT è in fase di attuazione in molti Paesi (già dagli anni Settanta presente negli Stati Uniti, dal 1998 in Gran Bretagna e dal 2005 in Italia), con significative differenze per quanto riguarda gli standard e i metodi di assegnazione delle frequenze. In molti casi, l'interesse tecnologico e promozionale per il DVB-T è condizionato dall'eventuale presenza di una efficiente rete di televisione digitale via cavo, tenendo conto del fatto che le reti DVB-C si trovano in livelli di sviluppo estremamente differenti fra Paese e Paese.

Tecnica: cenni storici sulla DTT

L'opportunità di convertire il segnale video analogico in un segnale digitale si è presentata inizialmente per due esigenze differenti: la difficoltà di operare con efficienti sistemi di videoregistrazione che in forma totalmente analogica presentavano vari tipi di difetti, specie per quel che riguarda la sincronizzazione dei segnali o la possibilità di ottenere rallentamenti (o addirittura il fermo) nella sequenza delle immagini; la possibilità di utilizzare schermi televisivi differenti dal classico schermo CRT (molti schermi di tipo innovativo, come quelli al plasma o a cristalli liquidi, possono operare in modo molto più efficiente con segnali di tipo digitale, piuttosto che con segnali di tipo analogico). Tuttavia, per vari decenni l'uso di segnali video totalmente digitali non ha prodotto risultati pratici, a causa dell'alta quantità di informazione presente in un canale video, canale che necessita di una velocità di trasmissione dell'ordine dei 200 Mbit/s, assolutamente improponibile per applicazioni efficienti. Anche se tali tipi di segnali potrebbero esseri trasmessi in tratte di trasmissione fra satelliti o in fibra ottica, per molto tempo non è esistito alcun mezzo per diffondere tale informazione verso i potenziali utenti del servizio. La fattibilità di sistemi di televisione digitale con diffusione terrestre è divenuta attuale all'inizio degli anni Novanta, parallelamente allo sviluppo di tecniche di codifica dei segnali video digitali, che hanno ridotto drasticamente l'ampiezza dei canali necessari, e di tecniche elettroniche altamente efficienti, mediante le quali sono stati realizzati circuiti integrati capaci di elaborare in tempo reale segnali video digitali (e quindi di attuare efficacemente e a basso costo i processi di codifica e decodifica richiesti). Un prima classe di processi di codifica opera su un singolo quadro dell'immagine video: è la codifica intraframe, che permette di eliminare la ridondanza presente in una singola immagine; si riesce così a ridurre di molte volte la capacità del canale senza introdurre degradazioni nell'immagine. Una seconda, e più sostanziale, riduzione si ottiene con i sistemi interframe, che eliminano le ridondanze presenti fra immagini successive: appare infatti evidente che, in un segnale televisivo, i cambiamenti fra un'immagine e la successiva interessano solo una piccola parte del quadro, essendo il resto praticamente immobile. Tali tecniche di codifica sono state standardizzate nei sistemi JPEG (Joint Photographic Experts Group), per la codifica di immagini fisse, e successivamente nei sistemi MPEG per la codifica di immagini in movimento. Nei sistemi di televisione digitale terrestre è utilizzato il sistema di codifica MPEG-2, particolarmente adatto per il trattamento di immagini di elevata qualità. In tal modo non solo si è ridotta l'ampiezza del canale da trasmettere in un sistema DVB-T, ma tale ampiezza è risultata inferiore a quella necessaria per la trasmissione analogica, potendo, a parità di banda, trasmettere fino a cinque canali standard (SDTV), oppure un canale televisivo ad alta definizione (HDTV). Con la messa a punto del sistema DVB-T è risultato possibile attuare un insieme di innovazioni e servizi aggiuntivi precedentemente impossibili o molto onerosi, quali l'integrazione del segnale video con vari canali audio (per ottenere, per esempio, effetti audio di alta qualità, come effetti surround, ovvero trasmissione di più colonne sonore in varie lingue) o con canali di trasmissione di file di dati di tipo generale. Il segnale digitale composito (detto transport stream, flusso digitale per il trasporto) può quindi essere generato in vario modo, codificando o assemblando programmi, dati o informazioni. Tale segnale digitale viene poi demodulato e interpretato presso il terminale di utente. In tal modo la televisione digitale è divenuta un elemento importante nel processo di convergenza della diffusione delle informazioni (audio e video) e dei sistemi di connessione di tipo informatico.

Tecnica: la rete di trasmissione della DTT

Rappresenta l'insieme delle infrastrutture di trasmissione che permettono di coprire con il segnale DVB-T una certa zona di territorio. In particolare nel sistema DVB-T sono previsti: il sistema di playout (generatore di uscita) che, a partire dalle fonti di informazioni (segnali video in vivo, segnali video registrati, basi sonore di tipo audio, dati memorizzati, ecc.), provvede alla loro codifica e multiplazione, allo scopo di ottenere il segnale digitale di transport stream (sue funzioni aggiuntive sono la codifica di alcuni tipi di informazioni o di segnali video, in relazione ai servizi criptati di pay o di pay per view, e la gestione del canale di ritorno da cui pervengono le richieste e le informazioni degli utenti; una rete di distribuzione che trasferisce i transport stream all'ingresso dei trasmettitori della rete di diffusione. Nei riguardi delle due reti di distribuzione e di diffusione, il sistema DVB-T è simile, nella struttura generale, ai sistemi di trasmissione televisiva analogica, presentando tuttavia un'innovazione sostanziale consistente nell'uso della tecnica di modulazione CODFM (Code Orthogonal Frequency Division Multiplexing, multiplazione a divisione di frequenza a codifica ortogonale). Tale tecnica, introdotta negli anni Novanta, permette di trasmettere varie frequenze portanti opportunamente distanziate, presentando due importanti vantaggi: l'insensibilità alle interferenze per cammini multipli, che nell'ambito della televisione analogica sono fonte di fenomeni di degradazione dell'immagine particolarmente fastidiosi (perdita di definizione, sdoppiamenti, immagini fantasma, ecc.); la capacità, in presenza di uno stesso transport stream inviato da più trasmittenti sulla stessa frequenza, di comporre positivamente gli echi isofrequenziali, a patto che essi arrivino al ricevitore con un ritardo limitato, la cosiddetta finestra temporale di guardia. Tali importanti proprietà permettono di pianificare la rete di diffusione in modo che ogni canale possa adoperare la stessa banda di frequenza sull'intero territorio servito (rete SFN, Singol Frequency Network). Il vincolo principale imposto dalla rete SFN comporta il fatto che tutti i trasmettitori debbano diffondere lo stesso transport stream sulla base di una rigida sincronizzazione temporale. A tale scopo, nel transport stream è inserito, attraverso un apparato detto SFN adapter (adattatore SFN), un segnale di sincronismo in base al quale ogni trasmettitore può sincronizzarsi sulla base di un apposito ricevitore GPS (Global Position System, sistema di localizzazione globale), di cui è fornito. L'uso di una frequenza singola su tutto il territorio, per ogni transport stream, permette una grande semplificazione nella messa a punto del piano delle frequenze sul territorio. Si può notare che nell'ambito della diffusione televisiva analogica ciò non è possibile, in quanto uno stesso programma quando è diffuso da trasmettitori contigui deve fare uso di frequenze differenti, per evitare gravi interferenze nelle zone di sovrapposizione. Pur utilizzando un sistema a frequenza singola, la rete SFN permette di potenziare il numero dei programmi digitali irradiabili, che potrebbe anche quintuplicarsi (ogni transport stream può corrispondere a più canali con definizione SDTV). Accanto alle reti SFN, la diffusione televisiva digitale terrestre può fare uso di altri due tipologie di rete: le reti k-SFN, costituite dall'affiancamento da un numero k di reti SFN , ciascuna operante su una propria frequenza, permettendo in tal modo di operare con programmi diversi su zone parziali di territorio; le reti MFN (Multiple Frequency Network) operanti con trasmettitori non sincronizzati su frequenze diverse, in modo che tutti i segnali isofrequenziali sono considerati di tipo interferente. I vari sistemi di diffusione presentano differenti caratteristiche tecniche e oneri diversi per l'impiego delle frequenze, quindi del numero di canali trasmissibili; anche la percentuale di copertura del territorio cambia a seconda del modello di rete utilizzato. Nella pianificazione della rete di diffusione televisiva digitale è inoltre necessario distinguere i canali a diffusione nazionale, che possono fare uso di reti nazionali rigide di tipo SFN, e quelli a diffusione locale, nei quali interessa una zona limitata di territorio. Nell'ambito delle reti nazionali sono inoltre presenti quelle cosiddette decomponibili, tali che, a fronte di una programmazione unificata per la maggior parte del tempo, possano a volte essere suddivise per zone di territorio, nelle quali abbia interesse trasmettere, in taluni intervalli di tempo, programmi differenziati. Per far pervenire ai trasmettitori il segnale digitale di transport stream generato nell'apparato di playout, viene utilizzata una rete di distribuzione operante su ponti radio terrestri, su collegamenti in fibra ottica o su tratte via satellite. La scelta del tipo di rete di distribuzione dipende da tipo e conformazione di territorio che si desidera coprire, utilizzando in vari casi anche reti di tipo segmentato, che fanno uso di varie tratte in cascata di diversa tipologia.

Tecnica: apparati di utente della DTT

Gli apparati di utente, ovvero i dispositivi che permettono di ricevere, demodulare e visualizzare sullo schermo il segnale video digitale ricevuto dall'utente, sono costituiti dall'impianto di antenna ricevente, individuale o collettiva, dal ricevitore integrato digitale (IDTV, Integrated Digital TeleVision) o dal set top box e dal modulo per il servizio interattivo. Il sistema costituito dall'interfaccia del set top box e da un televisore tradizionale permette di fruire dei servizi della DVB-T senza disporre di una televisore integrato digitale, nel quale tutte le funzionalità sono integrate in un unico apparato. Il set top box è un dispositivo ausiliario che accetta in ingresso il segnale video digitale e fornisce in uscita un segnale video analogico adatto a essere ricevuto dall'apparecchio televisivo: sua funzione primaria è, da questo punto di vista, quella di fungere da convertitore fra il segnale video digitale ricevuto e il segnale video analogico di tipo tradizionale (DAC, Digital to Analog Converter, convertitore digitale analogico). Tuttavia poiché il segnale a radiofrequenza ricevuto è relativo al segnale digitale di transport stream, che, a sua volta, può contenere vari canali video, audio o relativi ad altre forme di informazione, il set top box dovrà provvedere, in via preliminare, a estrarre, su comando dell'utente, i segnali di interesse a partire dal segnale composito di transport stream. Ciò viene effettuato attraverso una complessa architettura circuitale asservita a un microprocessore. A tale scopo sono stati realizzati vari tipi di circuiti integrati, particolarmente adatti a questo tipo di applicazioni, che raccolgono, spesso in un unico chip, molte fra le funzioni richieste. Tali dispositivi svolgono in sequenza le seguenti funzioni: il segnale di antenna viene inviato a un sintonizzatore pilotabile elettronicamente, allo scopo di ottenere un segnale digitale intermedio relativo al segnale di transport stream; tale segnale, tipicamente in forma parallela su più fili, viene inviato a demultiplex allo scopo di separare i singoli segnali utili, indicati con il nome di PES (Packetised Elementary Streams, flusso elementare a sequenza di pacchetti) ; il segnale PES viene inviato ai decodificatori MPEG audio e video, mentre i dati di tipo generale sono inviati al sottosistema asservito al microprocessore di controllo; un'apposita sezione provvede a effettuare le opportune operazioni di editing, memorizzazione, decodifica dei segnali video, integrati con le eventuali informazioni grafiche. Analoghe interfacce sono previste per la decodifica e l'editing dei segnali audio. L'interfaccia con l'apparecchio televisivo è attuata attraverso segnali relativi a una o più porte di tipo SCART, ovvero attraverso segnali video di tipo RGB o di tipo video compositi. Il modulo per il servizio interattivo è solitamente integrato all'interno del set top box e consiste in un modem per trasmissione dati collegabile a un canale telefonico. Il modem è, a sua volta, controllato dal sistema a microprocessore interno al set top box. Il controllo dell'intero dispositivo è affidato a un'interfaccia di utente asservita a un telecomando, dal quale è possibile selezionare i canali in ricezione, le funzionalità desiderate, la memorizzazione di dati o di sequenze video, in modo simile a quanto avviene per un videoregistratore digitale. La funzione di decodifica dei canali criptati può avvenire secondo varie modalità, per mezzo dell'introduzione di un opportuno codice, ovvero mediante l'uso di sistemi basati su smart card, analoghe a quelle utilizzate nei telefoni cellulari. Gli impianti di antenna sono simili a quelli utilizzati per la televisione analogica, tenuto conto che la diffusione avviene nelle bande VHF e UHF già in uso. Poiché però i segnali della DVB-T vengono diffusi con livelli di potenza inferiori rispetto al sistema analogico, potrebbe accadere che i guadagni delle antenne già disponibili risultino inadeguati. Nel caso in cui i trasmettitori per la televisione digitale siano posizionati diversamente rispetto a quelli del servizio analogico o utilizzino bande di frequenza non previste dell'antenna esistente, potrebbe essere necessaria l'installazione di una antenna aggiuntiva. A differenza di quanto avviene per la televisione analogica, dove una trasmissione può essere vista anche in condizioni non ottimali (presenza di rumore o effetto neve in video), il ricevitore digitale o funziona in modo tale da riconoscere lo stream dei dati o non funziona affatto; nel caso in cui funzioni, fornisce un'immagine perfetta e priva di difetti. In alcuni casi particolari (in relazione anche al tipo di trasmissione usato), può accadere che, in cattive condizioni di ricezione, alcune parti dell'immagine risultino oscurate, a differenza di parti adiacenti che appaiono perfette; questi fenomeni possono essere legati anche al grado e all'efficienza di copertura del territorio ottenuto con la rete di diffusione del segnale.

Tecnica: servizi offerti all'utenza dalla DTT

È l'insieme dei servizi e applicazioni innovative fruibili per mezzo dei sistemi DVB-T. Fra i servizi messi a punto nei sistemi di televisione digitale, è opportuno citare i seguenti: 1) l'EPG (Electronic Programme Guide, guida elettronica ai programmi), guida aggiornata in tempo reale dei palinsesti a disposizione; 2) il superteletext ( o teletext digitale), rubrica di immagini, grafici, ipertesti acquisiti e memorizzati all'interno del set top box; 3) il servizio sottotitoli, per fruire di trasmissioni in lingue diversificate; può utilizzare canali di diffusione digitale propri del servizio superteletext; 4) l'adattamento dell'aspetto dell'immagine, in rapporto ai vari programmi e ai vari tipi di schermi disponibili. L'opportunità di utilizzare formati multipli nasce dalla considerazione che, mentre il formato 16/9 è particolarmente adatto alla trasposizione televisiva di film e alle riprese di eventi sportivi, il formato 4/3 rimane valido per le riprese da studio. La conversione dello standard di formato può essere attuato all'interno del set top box e selezionato dall'utente. Dal punto di vista della produzione occorre osservare che la ripresa multiformato richiede la modifica delle tecniche di ripresa televisiva, in quanto una ripresa ottimale in 4/3 non corrisponde a una ripresa ottimale in 16/9 e viceversa; 5) servizi audio multilingue. Nello standard DVB il segnale audio stereofonico, campionato a 48 kHz, viene codificato secondo la codifica MPEG-1 (Layer 2), lo stesso standard già impiegato nei servizi radiofonici digitali (DAB, Digital Audio Broacasting). In tale ambito è attuato il servizio audio multilingue, spesso limitato al caso bilingue. Le modalità operative che permettono tali servizi possono essere di due tipi: trasmissione di più colonne sonore stereo oppure colonna internazionale stereo, associata a più canali di commento multilingue. La tecnica audio multicanale è applicata nello standard DVB anche allo scopo di ottenere effetti sonori ad alta fedeltà di tipo surround: in questo caso vengono inviati cinque canali in banda 20-20.000 Hz, corrispondenti rispettivamente al canale sinistro, destro, centrale, surround sinistro, surround destro, più un canale di bassa frequenza (subwoofer) per effetti sonori a frequenze molto basse. La velocità di trasmissione dei 5+1 canali audio è di circa 400 kbit/s; 6) servizi interattivi senza canali di ritorno; sulla piattaforma digitale DVB è disponibile una famiglia di servizi innovativi che arricchiscono significativamente l'offerta televisiva tradizionale. L'utente può accedere a un determinato servizio attraverso un'applicazione con caratteristiche di interattività locale. L'applicazione in questo caso utilizza una serie di dati strutturati trasmessi ciclicamente nello stesso canale diffusivo all'interno del multiplex DVB, mediante un sistema detto data carousel. Tali dati possono essere eventualmente memorizzati all'interno della memoria del set top box. Le informazioni memorizzate possono essere rese visibili immediatamente o utilizzate in un secondo momento. A questo proposito, sempre nel set top box, può essere presente una memoria digitale di elevata capacità su hard disk, tale da permettere la memorizzazione e la successiva fruizione di varie ore di trasmissione video (per esempio con un hard disk da 100 MByte si possono memorizzare trasmissioni per più di venti ore di durata); 7) servizi interattivi con canale di ritorno. La presenza di un canale di ritorno via modem e canale telefonico è essenziale per promuovere lo sviluppo di nuovi servizi di specifico interesse per il singolo utente, come la posta elettronica, il commercio elettronico e, in generale, i servizi di pay e pay per view. Tutti questi servizi sono inquadrabili nell'ambito del broadcasting interattivo, per il quale sono stati definiti i protocolli di comunicazione e di interfaccia con la rete. L'interazione on line dell'utente con il fornitore di contenuti consente di partecipare direttamente a particolari trasmissioni (programmi a quiz o giochi) ovvero esprimere la propria opinione e le proprie osservazioni sul programma mentre è ancora in corso. In termini di banda del canale di ritorno, la tecnica DVB ipotizza tre livelli di occupazione legati al tipo di interventi: nel livello basso è utilizzato il canale relativo alla rete telefonica commutata (2,4-9,6 kbit/sec); in quello intermedio l'utente potrà disporre di connessioni ISDN con accesso a Internet (tipicamente 64 kbit/sec); in quello alto, infine, sarà disponibile un canale ADSL o una connessione via cavo.

Tecnica: DTV via satellite

L'uso del satellite ha notevolmente aumentato la capacità e la velocità di diffusione del segnale televisivo; un'ulteriore espansione, tuttavia, è consentita dal sempre più massiccio ricorso alle tecnologie digitali. La televisione digitale, come detto, nasce in seguito a uno standard adottato da 160 operatori europei, il DVB, che utilizza il sistema di compressione video MPEG-2, evoluzione del sistema MPEG-1 adottato ormai ovunque per la codifica dei segnali video, dalle reti telematiche ai CD-ROM, ai DVD. Lo standard MPEG-2 riduce sensibilmente lo spazio occupato dal segnale sul transponder (il ricetrasmettitore installato sul satellite) moltiplicando per cinque-sei volte il numero di canali irradiati da un singolo satellite, rispetto alla televisione analogica: da ca. 20 (allo stato attuale della tecnologia dei satelliti per telecomunicazioni) a un centinaio. Cambiano anche le frequenze di trasmissione spazio-Terra, che avvengono sulla "banda alta" da 11 a 13 GHz, con una larghezza di banda di 72 MHz per canale, il doppio di quella dei precedenti satelliti analogici per televisione. Il DVB non può considerarsi una vera e propria alta definizione: si tratta però di uno standard aperto, che permetterà di raggiungerla in futuro. L'attrezzatura ricevente per la televisione digitale da satellite consiste in un'antenna parabolica, nel convertitore, il cosiddetto LNB (Low Noise Block Converter), l'apparecchio che riceve dall'antenna parabolica il segnale e lo trasmette via cavo coassiale nell'appartamento, e dal ricevitore (grande come un videoregistratore), che trasforma il segnale in maniera "leggibile" dal televisore domestico. Il ricevitore è solitamente dotato di modem per inviare alla centrale, via linea telefonica, i comandi dell'utente (scelta dei programmi, pay per view, shopping, ecc.) e possono essere caricati con nuovo software direttamente dal satellite, per renderli adatti alle nuove funzioni che via via questa tecnologia renderà disponibili. I ricevitori digitali hanno anche una o più fessure per le smart card, le tessere a microprocessore che attivano il sistema di decodifica dei programmi criptati e che autorizzano alla visione del programma, o del gruppo di programmi, per cui si è pagato l'abbonamento o la visione singola. La televisione digitale da satellite consente inoltre nuovi servizi, come la pay per view, con la quale si paga soltanto per il programma effettivamente visto, senza doversi abbonare a un palinsesto, oppure il near video on demand, che consente, per esempio, di scegliere il momento in cui guardare un film, senza sottostare più ai vincoli degli orari dei palinsesti. Questa tecnologia permetterà anche in un prossimo futuro di fare shopping, prenotare viaggi, fare operazioni bancarie, sempre attraverso il televisore e il telecomando. Con la televisione digitale da satellite si possono infine ricevere i programmi con qualità home theatre, vale a dire nel formato "cinematografico" 16/9 e con audio dolby pro logic.

Tecnica: DTV via cavo

Il sistema di trasmissione su cavo coassiale (televisione via cavo) è adottato in tutti i casi in cui la televisione viene impiegata con mezzi professionali per scopi industriali. Il sistema è detto anche a circuito chiuso, in quanto il circuito di distribuzione in cavo resta chiuso da un lato dal generatore dei segnali televisivi e, nei restanti terminali serviti dalla rete in cavo, dall'ingresso dei relativi televisori. Gli impianti di televisione in circuito chiuso hanno risolto delicati problemi di esercizio, specie in campo industriale consentendo, tra l'altro, la telesorveglianza di impianti, l'esame di ambienti ristretti (come l'interno di tubazioni) ecc. Sul finire degli anni Novanta del XX secolo sono comparsi in Europa anche i primi servizi di televisione digitale via cavo, sempre basati sulla trasmissione di canali tematici a pagamento, sia col sistema della pay TV sia con quello del pay per view. Attraverso vari sistemi di compressione è possibile inviare sulle reti telefoniche attuali, dette a banda stretta, fino a 36 flussi di dati alla velocità di 3 Mbit/secondo. La televisione digitale via cavo è destinata a svilupparsi anch'essa nel campo dell'interattività, non soltanto rivolta all'intrattenimento ma anche a una serie di servizi e di informazioni come la salute, i viaggi e lo shopping. Con la progressiva cablatura delle città con reti telefoniche a banda larga ci si propone di arrivare ai cosiddetti full service networks che prevedono un servizio di rete completo in grado di trasportare qualsiasi tipo di servizio utilizzando qualsiasi tecnologia e servendo qualsiasi tipo di utente. Le pay TV costituiscono una tipologia in espansione del sistema televisivo che sfrutta l'applicazione delle nuove tecnologie dell'informazione al fine della creazione di nuovi apparati mediali. Esse diffondono i programmi via etere o via cavo alla cui trasmissione il privato può abbonarsi per periodi definiti, mediante lo sfruttamento di appositi strumenti che gli consentono il riconoscimento del segnale criptato. L'abbonamento è sottoscritto per la fruizione dell'intera programmazione di un canale determinato, che generalmente nasce con una specifica connotazione di genere (informazione, sport, televendite, fiction, musica). La pay per view rappresenta un perfezionamento della pay TV in quanto all'utente di quest'ultima è concessa la possibilità di abbonarsi a una serie predeterminata di eventi (per esempio, tutte le partite in trasferta di una squadra di calcio per l'intero campionato nazionale) o, nei sistemi più rodati, a singoli, specifici eventi che, di volta in volta, l'utente decide eventualmente di "acquistare", vedendosi così addebitato il costo relativo sulla bolletta di pagamento. L'addebito ha luogo mediante un dispositivo di feedback (segnale di ritorno), con il quale l'apparato televisivo di trasmissione è in grado di conteggiare il consumo individuale. Sviluppando una considerazione di ordine più generale, si può dire che questo genere di televisione – sia pay TV sia pay per view – nasce come alternativa al concetto di servizio pubblico televisivo, specializzando la propria programmazione su generi determinati. Esso, pertanto, si rivolge a un pubblico preventivamente selezionato in base ad analisi della potenziale domanda di mercato (quello che viene definito pubblico targettizzato, composto dagli appassionati del genere prescelto). Il costo ancora relativamente elevato della strumentazione necessaria per la fruizione, soprattutto della pay per view, ha dato luogo, in una prima fase di sperimentazione in Italia, a una nuova forma di aggregazione che ricorda quella sorta con l'apparizione della televisione negli anni Cinquanta. Infatti, sono soprattutto i locali pubblici (bar, circoli ricreativi, ristoranti) che investono su di essa garantendosi così la presenza alla trasmissione di un numero sempre maggiore di clienti. L'assenza di una precisa disciplina legislativa può però dare luogo a problemi legati al profilo del controllo, in considerazione della mancanza di una autorità garante della programmazione del canale. Soltanto a partire dagli anni Novanta, infatti, il pubblico europeo - e quindi anche i telespettatori italiani - ha fatto esperienza di una realtà mediale, quella delle neotelevisioni, fondata sull'emittenza a pagamento, già da tempo praticata negli Stati Uniti. Entro questa definizione vanno circoscritte tutte quelle esperienze televisive che rompano lo schema della TV generalista via etere. L'attecchire di queste nuove realtà mediali si manifesta come il passaggio da una fase dominata dalle emittenti di stato e da quelle commerciali, entrambe contrassegnate da un modello omnibus quanto a offerta di contenuti, a un'altra caratterizzata dalla presenza di canali tematici, dalla TV via cavo, dal satellite e, appunto, dalla pay TV e dalla pay per view. Soluzioni culturalmente e tecnicamente innovative, ma tutte quante caratterizzate dalla necessità, per il telespettatore, di ulteriori spese rispetto a quelle previste dal modello televisivo generalista via etere. Nel caso del satellite, si tratta di una spesa una tantum per l'acquisto dell'impianto; in tutte le altre circostanze, si pagano i servizi che i singoli canali offrono (si va quindi, come detto, dalle forme tradizionali di abbonamento con offerta, per un periodo di tempo stabilito, dell'intero pacchetto di trasmissioni, alla vendita del singolo evento televisivo). Al conto va aggiunta la spesa per il decoder e per le smart cards.

I sistemi di diffusione

I sistemi di diffusione televisivi risultano sensibilmente diversificati dalle condizioni socioeconomiche e giuridiche di ogni Paese: una gestione interamente affidata a privati, come si ha per esempio negli USA, comporta di fatto che le spese di ogni programma televisivo vengano coperte dalla pubblicità. Ne risulta così che le aree più fittamente popolate siano quelle più servite. I canali vengono di norma raggruppati fra loro, come disposizione nello spettro di frequenze, in modo che una sola antenna ricevente a larga banda, sia pure con basso guadagno, possa captare la totalità o quasi delle emissioni. La modesta direzionalità di questa disposizione di antenna, unita a un conseguente ridotto guadagno alla captazione, fa sì che risulti necessario disporre di stazioni televisive di notevole potenza, tali cioè da permettere la captazione in ogni caso di un segnale di livello elevato, che permetta una buona difesa dai disturbi industriali, che possono essere di notevole entità. Se la diffusione televisiva viene invece affidata fondamentalmente a un'organizzazione statale o parastatale, come per esempio in Italia, con il compito di servire la totalità dei cittadini, il sistema di distribuzione cambia radicalmente in relazione anche agli ostacoli naturali che possono sensibilmente suddividere le aree di servizio. In tal caso si hanno delle stazioni televisive, anche di notevole potenza, che coprono le aree pianeggianti con speciali antenne omnidirezionali, ma con forte guadagno nel piano orizzontale di radiazione. Queste antenne, allo scopo di aumentare per quanto possibile le aree servite, vengono di solito dislocate alla sommità di imponenti tralicci metallici o di costruzioni di notevole altezza. Le zone per le quali la ricezione è impedita, da rilievi montuosi, vengono invece servite, soprattutto in Italia, da una serie di ripetitori che consentono di far giungere alla quasi totalità delle utenze nazionali non solo i programmi televisivi, ma anche quelli radio a modulazione di frequenza: questi vengono infatti irradiati su di una banda di frequenze molto vicina a quella dei canali televisivi e quindi con caratteristiche similari di propagazione e di copertura delle aree da servire. Allo scopo di evitare dannose interferenze è però necessario ridurre drasticamente il numero dei programmi contemporanei e utilizzare la quasi totalità degli intervalli di frequenza, o canali, a disposizione nelle bande VHF o UHF. Nelle zone di frontiera è possibile avere a disposizione un maggior numero di programmi e captare sia programmi televisivi in lingua estera sia altri programmi nella lingua nazionale che, pagati in pratica dalla pubblicità, vengono a volte irradiati dalla nazione confinante. A volte questi programmi televisivi vengono inoltrati pure all'interno del Paese con appositi ripetitori privati. La disponibilità dei canali televisivi nelle bande VHF e UHF è comunque sensibilmente superiore a quella di cui necessitano i tre programmi pubblici gestiti in Italia dalla RAI. È per questo motivo che, anche in Italia, a partire dagli anni Settanta, hanno potuto diffondersi sempre più i servizi di stazioni televisive private, le cui spese vengono generalmente coperte dagli introiti pubblicitari. Le possibilità dei vari circuiti di telediffusione pubblici e privati sono notevolmente aumentate con l'avvento dei ripetitori spaziali montati su satelliti geostazionari (telespazio). I segnali televisivi relativi a questo teleservizio hanno la prerogativa di poter venir captati all'incirca con la stessa intensità e con grande stabilità in tutta l'area servita (che copre largamente il territorio nazionale); per di più, provenendo da un punto fisso nello spazio, non presentano l'inconveniente di restare in alcun modo schermati o attenuati dai rilievi del terreno.

L'evoluzione della televisione

Le nuove prospettive della televisione riguardano la chiusura delle trasmissioni televisive analogiche e la loro sostituzione con trasmissioni di televisione digitale, nelle tre forme, digitale terrestre, digitale via satellite, digitale via cavo. Con la televisione digitale si consolida la tendenza, già inziata a fine anni Ottanta con le reti terrestri criptate e con la televisione analogica da satellite, allo sviluppo di reti tematiche a pagamento (sport, film, notiziari, musica, programmi per bambini e ragazzi, scienza, arte ecc.) che, secondo previsioni universalmente accettate, soppianteranno gradatamente le reti cosiddette "generaliste", terrestri e gratuite, il cui ruolo sarà quello di trasmettere soprattutto programmi di intrattenimento, serial e fiction a basso costo e brevi notiziari. Nel 2002 il 24,1% delle famiglie italiane possedeva un decoder, avendo quindi accesso ai servizi televisivi via cavo o via satellite, sia in analogico sia in digitale. La televisione digitale rappesenta probabilmente il segmento con maggiori potenzialità di espansione, e nel 1996 aveva raggiunto circa 150.000 famiglie europee. In prospettiva, la televisione digitale offre la possibilità di portare un segnale in bit al singolo utente e a un prezzo estremamente contenuto. Tale segnale digitale può essere utilizzato per trasportare una gran quantità di nuovi servizi, non necessariamente collegati ai programmi televisivi tradizionali e tali da rendere il satellite il nuovo strumento multimediale universale del futuro. Su questa infrastruttura digitale è possibile creare nuovi servizi nei quali la distinzione tra i consumatori di televisione e i consumatori di dati diventerà sempre più sottile fino a scomparire. Un primo esempio, già esistente con la televisione analogica, è quello del televideo. Il passo logico seguente sarà la fornitura di dati per i personal computer, un mercato potenzialmente molto grande se si considera che nel 2002 questo medium era presente nel 68,5% delle case italiane. La televisione digitale via satellite dovrebbe anche trasformare il concetto di televisione da strumento passivo di ricezione a strumento interattivo. Uno dei primi settori in cui si svilupperà l'interattività nelle trasmissioni digitali via satellite è, per esempio, quello dell'accesso a Internet, che sulle prime avverrà in modo "ibrido" (cioè col segnale utente trasmesso via telefonica e quello in ricezione trasmesso via satellite) ma che ben presto utilizzerà il satellite per entrambe le vie di comunicazione. Questo scenario aperto dalla televisione via satellite si è caratterizzato inoltre dalla progressiva concentrazione delle emittenti e in poche società multinazionali, attraverso una fitta rete di alleanze strategiche e collaborazioni, con il risultato della creazione di programmi il più possibile "universali", cioè rivolti a soddisfare le più eterogenee platee di ogni continente.

La neotelevisione

L'avventura della neotelevisione (quella, secondo U. Eco, del sistema concorrenziale e commerciale in contrapposizione alla "paleotelevisione" del monopolio della TV di Stato), in Europa, venne avviata nel 1985 con la pay TV. A partire per primo è stato il francese Canal Plus, cui già a metà degli anni Novanta erano abbonati 4 milioni di famiglie. Da allora le innovazioni in campo televisivo si sono succedute a ritmo vertiginoso, e un bilancio sommario delle varie realtà nazionali evidenzia il ritardo accumulato in Italia, dove a fare da volano della nuova offerta televisiva presso il grande pubblico è stato soprattutto lo sport. Fu infatti la necessità di trasmettere in tempo reale le partite di calcio delle coppe europee che consentì alle maggiori reti private di ottenere la licenza di trasmettere in diretta su tutto il territorio nazionale. I calendari di una stagione sportiva si sono trasformati in un enorme mercato di eventi televisivamente spendibili, capaci di qualificare il palinsesto di un'emittente. In un contesto del genere le neotelevisioni si sono trovate a giocare un ruolo rivoluzionario. Il proliferare dei canali tematici ha visto nelle stazioni sportive – e poi nella programmazione di film ancora insediati nel circuito della grande distribuzione in sala – un formidabile fattore di dinamismo dell'intero settore, ma ha introdotto anche un nuovo modello di approccio alla fruizione televisiva. Le TV generaliste via etere, infatti, sono state per decenni fautrici di un tipo di offerta che può essere definito come popolare (nella duplice accezione di "aperta a un pubblico il più possibile vasto" e di "fruibile in condizioni di quasi gratuità"). Ne è derivato un accesso indifferenziato al consumo, secondo una logica che faceva del singolo appuntamento televisivo una risorsa disponibile nella gamma di attività alle quali dedicare il tempo libero. La grande trasformazione che le neotelevisioni hanno impresso agli eventi dei quali acquisiscano i diritti riguarda perciò il loro stesso statuto economico: non più risorsa disponibile, ma bene, in quanto tale caratterizzato da condizioni di scarsità (seppur artificialmente creata) e da un adeguato valore di mercato. I canali tematici Telepiù 1 (cinema), Telepiù 2 (sport) e Telepiù 3 (cultura) avviarono le trasmissioni in Italia nell'autunno del 1990. Inizialmente facenti capo al gruppo Fininvest, sono stati successivamente ceduti ad altri soggetti in ossequio ai "tetti" previsti dalla legge Mammì. Le trasmissioni codificate del canale sportivo Telepiù 2 vennero inaugurate il 29 marzo 1992, e furono presto al centro di polemiche sul "diritto d'accesso" del grande pubblico ai maggiori eventi agonistici. Il torneo di tennis di Wimbledon (che si svolge ogni anno nel periodo di giugno-luglio), il più tradizionale e seguito che questo sport annoveri, passò sui canali della neotelevisione in codice, visibile soltanto agli abbonati. Ne nacque un'appassionata questione politica e di costume, che vide contrapporsi il "partito del pubblico defraudato" e quello "dell'innovazione televisiva". Il dibattito proseguì con rinnovato vigore negli anni successivi, in occasione della "guerra dell'etere" per la concessione dei diritti del campionato di calcio di serie A, che vide contrapporsi l'emittenza pubblica e i due maggiori network commerciali. È possibile, perciò, evidenziare gli effetti che la rivoluzione dell'offerta televisiva ha indotto. L'offerta di sport e di "grande cinema" in TV, come accennato, era stata fino a pochi anni fa caratterizzata dalla gratuità (o, al massimo, dal pagamento di un canone generale, come nel caso dell'abbonamento RAI) e dalla indifferenzialità di accesso. Il declino del modello televisivo generalista via etere, viceversa, è inscritto in una dinamica di parcellizzazione e mercatizzazione dell'offerta. Grosso modo, il processo si svolge così: si apre quel gigantesco contenitore omnibus di prodotti mediali che è la TV generalista, se ne estraggono i singoli manufatti allineandoli su un ipotetico tavolo da lavoro, li si raggruppa secondo il criterio dei generi (sport, musica, fiction, varietà, news, cultura), se ne valuta la maggiore o minore richiesta da parte del pubblico, e si decide di metterli su un mercato diverso da quello precedente: non più quello pubblicitario, che paga il singolo evento offrendolo al pubblico televisivo contestualmente a una data quantità di inserti commerciali, ma direttamente alla platea di telespettatori paganti. Il che produce due conseguenze distinte: la tradizionale TV generalista si trasforma in contenitore di materiale meno appetibile commercialmente, e il consumatore di programmi televisivi perde sempre più i connotati del telespettatore per assumere quelli dell'utente. L'offerta televisiva, secondo questa dinamica, è destinata a essere disciplinata per generi, e fra questi i più graditi nei gusti del pubblico saranno anche i più costosi. I soggetti neotelevisivi, infatti, facendo leva sul carattere monotematico della loro nicchia mediale, hanno la possibilità di concentrare risorse economiche di notevole entità su pacchetti specifici di avvenimenti. In alcuni Paesi, ciò ha avuto per conseguenza che le loro offerte sono risultate insostenibili per i canali generalisti, ai quali la natura prevalentemente pubblica e l'obbligo di spaziare sull'universo mediale impongono vincoli di economicità all'azione concorrenziale. L'alta definizione e le tecnologie interattive consentite dalla digitalizzazione hanno modificato il rapporto con il mezzo, consentendo forme inedite di fruizione a due vie e generando l'home theatre, cioè un'offerta televisiva dotata di standard qualitativi paragonabili a quelli delle sale cinematografiche. Internet restituisce il controllo all'utente, non è invadente come il telefono e usa una tecnologia cellulare; è una sorta di cervello collettivo che non cessa mai di operare, svolgendo funzioni complesse. Risorsa potenzialmente inesauribile, se si considera che l'informazione è il solo bene che cresce con l'uso invece di esaurirsi. Se la diffusione delle tecnologie e il loro ulteriore perfezionamento proseguiranno ai ritmi prevedibili, il controllo passerà effettivamente dal riproduttore/trasmettitore – le reti televisive pubbliche o i grandi network commerciali – al consumatore/utente.

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