Il gioco della pelota

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Il Gioco della Palla era noto fin dal tempo degli Olmechi ed era legato a un antico mito tramandato dal Popul Vuh che racconta la lotta tra le divinità terrestri e solari e i demoni dell’Inframondo. Il gioco era associato al culto del Sole che doveva rinascere ogni giorno abbandonando il mondo delle tenebre: il campo da gioco rappresentava la Terra, mentre la palla simboleggiava il Sole, per cui il giocatore che lasciava cadere la palla doveva essere sacrificato poiché aveva impedito al Sole di rinascere. Vi erano civiltà come gli Zapotechi e i Totonachi dove il Gioco della Pelota era diventato un’ossessione – nel centro cerimoniale di El Tajín esistevano ben 14 campi di gara – anche se le regole e l’abbigliamento dei giocatori cambiavano a seconda dei riti, che culminavano comunque quasi tutti nel sacrificio di sangue.

Nel Gioco della Pelota di Chichén Itzá si fronteggiavano due squadre formate da sette elementi ciascuna, le cui immagini compaiono sui rilievi che ornano la base dei muri: i giocatori erano protetti da cinture che coprivano le parti vulnerabili dalle natiche alle ascelle e da paracolpi sulle braccia e sulle ginocchia. Sui limiti nord e sud del campo furono costruite due ampie piattaforme con due templi dedicati al Sole e alla Luna, anch’essi coperti interamente da bassorilievi. Addossata al muro esterno si trova una piramide tronca, chiamata il Tempio dei Giaguari che, nella parte bassa, possiede una camera decorata da rilievi con al centro un trono di pietra a forma di giaguaro. La sala sulla cima, visibile dal campo di gioco, è sorretta da due giganteschi serpenti a sonagli ed era adibita a stanza rituale durante le competizioni.