I Comuni, le Signorie e il Principato

Il Comune

Durante il periodo della lotta per le investiture crebbero di importanza i ceti cittadini. Vescovi ed ecclesiastici in genere avevano bisogno del loro appoggio per mantenere il potere e non incorrere nell'accusa di simonia e li ricompensarono consentendo loro una maggiore partecipazione alla vita amministrativa. D'altra parte, all'interno delle città, il ceto dirigente tradizionale (in origine notai, giudici, vassalli dei conti e dei vescovi, grandi mercanti) aveva bisogno dell'appoggio dei ceti minori per ottenere legittimazione. Per questo si costituirono associazioni volontarie, dette coniurationes (poiché i componenti erano legati da un giuramento), che collegavano coloro che intendevano esercitare il potere al resto dei cittadini. Queste associazioni, primo nucleo del Comune, vissero talvolta all'ombra dell'ordinamento vescovile, senza alcun riconoscimento giuridico, mentre a volte esse furono legittimate proprio dai vescovi. In seguito, privando il vescovo delle sue funzioni, estromettendolo dal governo della città o addirittura cacciandolo come simoniaco o concubinario, il Comune impose la propria autorità su tutti i cittadini, trasformandosi da associazione privata in ente pubblico. Ben presto il Comune cominciò a espandersi verso il contado o con accordi pacifici con i feudatari o con conquiste armate, talvolta liberando i servi della gleba che, a loro volta, diedero vita a piccoli Comuni rurali ai quali il Comune cittadino concedette una limitata autonomia ricavandone un elevato interesse economico. I Comuni, nonostante non avessero mai contestato l'autorità dell'Impero ritenendosi parte dell'ordinamento vigente, furono perseguitati dall'Impero che cercò di ridurre al massimo la loro autonomia. In origine l'organizzazione del Comune si basò su un'assemblea (arengo o concione) e sui consoli che, eletti dall'assemblea, duravano in carica un anno. Con l'allargamento dei Comuni, l'assemblea fu sostituita con dei consigli. Per evitare lo scontro tra interessi diversi (molti cittadini arricchitisi con i traffici commerciali e i grandi feudatari costretti a entrare nel Comune con la conquista del contado chiedevano di partecipare alla vita politica) i consoli furono sostituiti da un magistrato unico, il podestà, dapprima un cittadino, poi, per garantire una maggiore imparzialità, un forestiero che portava con sé un gruppo di collaboratori. Questi era stipendiato e durava in carica un anno, esercitando il potere esecutivo, mentre quello legislativo restava ai consigli. Il regime podestarile era quindi nato per la pressione di quei ceti che allora rientravano nella dicitura di “popolo ” (soprattutto mercanti e artigiani; erano esclusi i lavoratori salariati) e che oggi indicheremmo piuttosto con il termine “borghesia”. La loro forza trovò espressione nella organizzazione delle arti, associazioni che riunivano coloro che esercitavano uno stesso mestiere. I ceti “popolari”, per contrastare il potere del vecchio ceto dirigente, si organizzarono in “società delle arti” che comprendevano coloro che appartenevano alle arti e i loro familiari, raggruppati per quartiere. Essi si diedero strutture pari a quelle comunali e nacque così il Comune del popolo, retto da un “capitano del popolo”. I due Comuni coesistevano nelle città ma gradualmente acquistò preminenza il secondo e si arrivò a un “governo delle arti” la cui magistratura era composta dai “priori delle arti” e dal “gonfaloniere”. Per evitare che il vecchio ceto dirigente tornasse al potere, fu elaborata una legislazione “antimagnatizia”, che escludeva dalle cariche di governo i magnati, tutti i vecchi aristocratici e i mercanti maggiori. Il processo di affermazione del Comune del popolo giunse a maturazione alla metà del XIII sec. (a Firenze si costituì nel 1250).