La rivoluzione scientifica e l'evoluzione del pensiero politico

L'evoluzione del pensiero politico

Niccolò Machiavelli (1469-1527), scrittore e uomo politico fiorentino, è oggi universalmente considerato il fondatore del pensiero politico moderno per la lucida distinzione tra etica e politica. La politica secondo Machiavelli non deve sottostare ai precetti della morale comune, ma perseguire con tutti i mezzi necessari il bene della collettività. Machiavelli nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio e nel Principe analizza l'origine e la struttura delle diverse forme di governo, l'ordinamento ideale è quello repubblicano basato sul consenso dei ceti e su buoni ordinamenti giuridici, civili e religiosi. In condizioni di pericolo o di guerra il potere è affidato a un principe che grazie alla sua virtù (cioè la capacità di realizzare un fine) dà attuazione alle leggi naturali della politica confrontandosi con la fortuna (cioè la sorte). Nel campo politologico, su esempio delle libere repubbliche, iniziarono a diffondersi teorie antiassolutistiche che volevano garantire al cittadino maggiore libertà e autonomia nella sfera privata rispetto al potere di controllo e di coercizione proprio dello Stato. Durante le guerre di religione in Francia pubblicisti e scrittori politico-religiosi protestanti (soprattutto calvinisti) teorizzarono i limiti dell'assolutismo regio e sostennero la legittimità di deporre e anche uccidere i sovrani che si opponessero alla libertà religiosa del popolo. Furono per questo definiti monarcomachi. In Olanda invece nacque la dottrina filosofico-giuridica del Giusnaturalismo che sosteneva l'esistenza di un diritto naturale composto da norme anteriori alle leggi (diritto positivo), delle quali dovrebbero costituire fondamento e modello. Il capostipite del Giusnaturalismo fu Ugo Grozio (De iure belli ac pacis, 1625), che pose la legge naturale dettata dalla ragione a fondamento di un diritto valido per tutti i popoli. Molti pensatori (J. Locke, S. Pufendorf, I. Kant, J.J. Rousseau) svilupparono questa linea di pensiero in una visione laica dell'origine della legge, e di conseguenza del rapporto tra libertà individuale e potere dello Stato. Espressione matura di questa riflessione culturale furono le Dichiarazioni dei diritti dell'uomo e le costituzioni francese e americana di fine '700. In Inghilterra le due rivoluzioni inglesi avevano dimostrato come il popolo potesse revocare al re il suo mandato quando questo violasse la vita e la libertà individuale. Non tutti i pensatori si schierarono contro l'assolutismo: in Francia Jean Bodin e in Inghilterra Thomas Hobbes sostennero i diritti e postularono i limiti del potere sovrano. Jean Bodin (1530-96), coinvolto nelle controversie politico-religiose del suo tempo, nella sua opera I sei libri della Repubblica (1576), sostenne l'esigenza di una politica di tolleranza fondata sull'assolutismo regio. Nel pensiero di Bodin il re, in quanto posto al di sopra di ogni setta religiosa o partito politico e dunque sovrano assoluto sciolto da ogni autorità o legittimazione di terzi, diveniva massimo garante della pace, dell'ordine e dell'unità nazionale, quindi dell'esistenza stessa dello Stato. Thomas Hobbes (1588-1679), vissuto durante il difficile periodo della prima Rivoluzione inglese, godette della protezione di Carlo II. Il suo pensiero era sostanzialmente materialista, razionalista e meccanicista: l'uomo, nello stato di natura, opera come un meccanismo volto all'autoconservazione, in un'inevitabile lotta generale per la sopravvivenza. L'unica via di uscita è quella data dalla razionalità che conduce gli individui ad accordarsi per delegare tutto il potere politico allo Stato (paragonato al Leviatano biblico, da qui il nome Leviathan dato a una delle maggiori opere), impersonato da un monarca che, grazie al suo potere assoluto sui sudditi, garantisce la pace interna e la difesa verso l'esterno.