5 libri e 5 film per capire il conflitto israelo-palestinese

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Le radici della cosiddetta "guerra infinita" trovano la loro origine molti decenni fa. Cerchiamo di capire da cos'è partito questo conflitto attraverso film, documentari e romanzi.

Che le ostilità tra Israele e Palestina rappresentino il nuovo focolaio di guerra a livello globale lo si evince non soltanto dall'attuale conflitto in corso, ma anche dalle parole di molti storici storici – tra cui Eric Hobsbawm nel suo Il secolo breve – le cui convinzioni si fondano sulle origini del casus belli, individuabile nello stallo di due popoli che si sono trovati a contendersi lo stesso pezzo di terra a seguito degli accordi conseguenti la seconda guerra mondiale. Per capire di più sulla questione palestinese proponiamo cinque romanzi che ce lo raccontino in modo più verosimile e cinque tra film e docufilm, che invece ce lo propongano in modo più cronachistico e storico. 

E chiudiamo la rassegna con un outsider che intende illuminare sulle nuove tecniche di belligeranza e le bombe cosiddette intelligenti (può un'arma destinata a uccidere essere dotata di pensiero?) contro forme più imprevedibili di opposizione, come la guerriglia e il terrorismo. Entrambe queste armi, avrebbe scritto Alessandro Manzoni, non fanno distinzioni: “Come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato”.

Film e documentari sul conflitto fra Israele e Palestina

La settima arte ha girato film indimenticabili che ci aiutano a comprendere meglio il conflitto israelo-palestinese. Si tratta di pellicole firmate dall'israeliano Amos Gitai e dal palestinese Elia Suleiman, ma anche da Steven Spielberg e Saverio Costanzo, a partire da Exodus, grande affresco di Otto Preminger sulla nascita dello stato di Israele, che ci porta a quando tutto cominciò. Passiamo poi ai documentari, che consentono di cancellare le enormi distanze fisiche e psicologiche che ci separano da un particolare problema. Al centro ci sono due simboli del conflitto: il muro-barriera insormontabile tra i due popoli e la terra fruttifera-pomo della discordia. Emblema com'è di sostentamento e di casa per gli occupati, e di espropriazione per gli occupanti.
 

Exodus di Otto Preminger

Il regista è scampato all'olocausto. Il protagonista è Paul Newman, i cui genitori erano membri di associazioni ebraiche con posti assegnati in sinagoga e l'attore si riferisce alla propria identità ebraica solo come forma di contrasto all’antisemitismo che percepiva.

Exodus ci porta a quando tutto cominciò: lo scoppio del conflitto, con il primo attacco dei vicini arabi agli insediamenti, secondo Hollywood. Una nave di superstiti dei lager nazisti si avvicina a Israele, poco prima della proclamazione della nascita dello Stato (14/5/1948): seguiamo le loro storie, quelle degli inglesi che ancora occupano il Paese, dei sionisti già a Gerusalemme, dei coloni nei primi kibbutz, dei gruppi armati che si formano da una parte (ebraica) e dall'altra (palestinese).

Nel 1947, a Cipro, dove 30mila ebrei provenienti dai campi di concentramento di Germania, Polonia, Jugoslavia e altre parti d'Europa sono riuniti in campi di raccolta inglesi in attesa che le Nazioni Unite decidano sulla loro sorte. Un gruppo di 600 profughi guidati da un agente segreto dell'Hagannanh, l'organizzazione clandestina ebrea in Palestina, vuole forzare il blocco inglese per raggiungere la Terra promessa e lottare per la sua indipendenza, contrastata dagli arabi che vivono da millenni in Palestina e dagli inglesi che per mandato internazionale hanno l'obbligo di mantenervi l'ordine. I 600 profughi, dopo aver vinto la resistenza inglese con uno sciopero della fame durato 100 ore, allestiscono una vecchia nave ribattezzata 'Exodus' e salpano verso la Palestina. 

Il Muro dell'apartheid: MAs'ha 5 agosto 2003 di Kasim Comparetto

Documenta lo sfollamento di intere comunità palestinesi che da oltre 73 anni Israele ha forzato. Siamo a Mas'ha, un piccolo villaggio vicino a Nablus, dove decine di attivisti provenienti da tutto il mondo si uniscono nell'ISM (International Solidarity Movement) per svolgere attività pacifiche di interposizione contro l'occupazione illegale israeliana e contro l'erezione del muro voluto da Ariel Sharon.

Il muro sta per essere costruito proprio davanti alla casa del signor Harner che si trova a poche decine di metri da una colonia illegale israeliana. Gli attivisti dell'Ism presidiano per 3 giorni il muro definito dagli israeliani “barriera difensiva” che però è stato costruito in territorio palestinese all'interno della Green Line, il confine stabilito dall'Onu tra Israele e Palestina.

Il muro di Sharon crea discontinuità territoriale e peggiora le condizioni di vita dei palestinesi violando le norme elementari sui diritti umani: ostacola gli spostamenti dei palestinesi e li imprigiona in veri e propri ghetti, infrange il loro diritto alla mobilità, al lavoro, allo studio, alla salute e alla proprietà privata. Oltre danni sociali ci sono quelli economici insostenibili per il popolo palestinese, già ridotto allo stremo e non garantisce alcuna sicurezza ai cittadini israeliani ma provoca soltanto miseria, dolore e sofferenza.

Il muro di Simone Bitton

Anche Simone Bitton, ebrea marocchina, ex-soldatessa e pacifista convinta, dedica un documentario al muro di Sharon. La prima parte è statica, con inquadrature fisse su un muro di cemento armato cosicché quasi lo allunga a farlo sembrare infinito, la seconda parte è impreziosita da emozionanti testimonianze che ci aiutano a comprendere meglio le enormi difficoltà che numerosi palestinesi incontrano quotidianamente per recarsi al lavoro a causa dei posti di blocco aperti poche ore al giorno, all’impossibilità di coltivare le proprie terre, ormai del tutto isolate dal muro della vergogna.

Nonostante tutto, qualcuno ancora spera: “Nel silenzio germina la rassegnazione”. Così come lascia sperare la pace la dedica finale della regista: “Un ringraziamento agli israeliani e palestinesi che, insieme, hanno rappresentato il paesaggio umano di questo film”. Riflette su tutte le guerre e le loro cause. Sui mostri di cemento, le barriere architettoniche e sociali, che la più atroce delle violenze produce.

Valzer con Bashir di Ari Forman

Ex fante dell'esercito israeliano, appoggia la posizione antimilitarista di Bitton con un'opera ispirata al proprio vissuto autobiografico. Il film d'animazione si colloca nel genere documentaristico analizzando i fatti con estremo realismo, ripercorrendo con estrema crudezza e drammaticità i conflitti che coinvolsero il Libano nei primi anni 80 culminando nella rappresentazione del massacro di Sabra e Shatila del 1982.

Lebanon di Samuel Maoz

Maoz torna sulla prima guerra del Libano del 1982 per ricordarci che ogni guerra, comprese quelle che hanno scandito il conflitto israelo-palestinese, è fatta di uomini che diventano carne da cannone, e anime da esplorare sino alla sua parte più buia.

Libri sul conflitto israelo-Palestinese

È dal primo Libro dei libri che la storia della Terra promessa è raccontata nei secoli dai libri. Se l'Esodo biblico fu il primo libro a raccontare la ricerca di una Terra promessa, nei secoli successivi tanti altri hanno raccontato le peregrinazioni del popolo ebraico. Eccone cinque che raccontano a partire dal punto di vista autobiografico quanto questa terra sia ancora oggi oggetto del contendere.

A un cerbiatto somiglia il mio amore di David Grossman

David Grossman racconta la storia di tre sedicenni ricoverati nel reparto di isolamento di un piccolo ospedale di Gerusalemme, durante la guerra dei sei giorni d'Israele del 1967, che stringono amicizia e un amore nelle lunghe e angoscianti ore di coprifuoco. E così diventa un percorso nei ricordi  di una donna e dei quattro uomini per lei importanti. Ed è la memoria anche di Israele, una nazione da sempre percorsa da guerre e pericoli che non rendono mai la vita tranquilla. Il cerbiatto del titolo è il figlio di Orah, la protagonista che scappa dalla possibilità che suo figlio, il suo cerbiatto, possa morire nell' amata-odiata Israele, raccontata da Grossman nei suoi aspetti più quotidiani.

Sharon e mia suocera. Diari di guerra da Ramallah, Palestina di Suad Amiry

Anche in questo caso la protagonista è una donna palestinese, colta, intelligente e spiritosa, che tiene un diario di guerra. E torna anche il tema della coabitazione coatta: come sparano gli israeliani, spara anche la madre del marito, una suocera proverbiale. In quanto diario di guerra, il libro è un documento, ma Suad Amiry, architetto palestinese, che ha scritto molto di architettura del suo Paese, in forza della sua freschezza, è schierato senza rinunciare al dialogo.

Ho visto Ramallah di Murid Al-Barghuthi

In Ho visto Ramallah Murid Al-Barghuthi racconta i ricordi della sua giovinezza a Ramallah, dove si trova per sostenere un esame. In quei giorni del giugno 1967, l'esercito israeliano occuperà Gerusalemme e la Cisgiordania, condannando l'autore e tanti come lui, a non poter più rientrare a casa propria, a vivere la ghurba (l'esilio), abbandonando tutto.

Nel 1997 Murid, ormai poeta e giornalista, rientra con un permesso temporaneo, nel suo Paese, dopo 30 anni. Ho visto Ramallah è la cronaca di quel ritorno. Lo accompagnano illustri assenti: il padre e i parenti morti e alcuni intellettuali palestinesi assassinati in giro per il mondo, come Ghassan Khanafani. In questo ritorno riconnette fili e relazioni tra le maglie intricate e perverse di una vita sotto occupazione, in cui si è sempre stranieri, anche quando non si è mai lasciata la propria terra: “Ho sempre sostenuto che l'occupazione, qualsiasi occupazione, mirasse a trasformare la patria nella memoria dei suoi abitanti originari, in una serie di simboli. Semplicemente simboli. Non ci lascerebbero mai migliorare il nostro villaggio così da farlo diventare una piccola cittadina, né di entrare, insieme alle nostre città”.

Come il vento tra i mandorli di Michelle Cohen Corasanti

Come il vento tra i mandorli di Michelle Cohen Corasanti è la storia di due fratelli, Abbas e Ichmad Hamid. La loro famiglia è di origine araba e da generazioni vivono nella Palestina di metà degli anni cinquanta. Le scelte di Ichmad, un talento della matematica, condizioneranno anche le scelte di Abbas e senza volerlo divideranno i due fratelli, che prenderanno strade completamente diverse.

La perdita, l’esproprio dalla loro terra, da parte degli ebrei/israeliani provocherà tanto dolore e povertà: la famiglia è costretta dall’esercito israeliano a trasferirsi in un misero fazzoletto di terra che ha soltanto una pianta di mandorlo, unica fonte di sostentamento e ristoro. Ichmad, grazie allo studio riesce ad emanciparsi e a superare una condizione di povertà disperata, arrivando persino a vincere il premio Nobel per la Fisica.

Corasanti vuole indicare la via della conoscenza a tutti coloro che sono costretti a vivere nello scenario della infinita guerra israelo-palestinese.  Non diversamente Il giardino dei limoni di Eran Riklis racconta la storia del ministro della difesa israeliano che vuole costruire la sua villa sul limoneto della palestinese Salma, giardino che costituisce la sua unica fonte di sostentamento.

Un outsider

Per capire meglio il conflitto israelo-palestinese aggiungiamo alla rassegna un outsider che sta a metà tra la narrazione del libro e la finzione del film, come già si evince dal titolo che giustappone i due generi: Un film parlato di Manoel De Oliveira

Sono protagoniste tre misteriose donne (circondate sì da un alone di mistero nella trama, ma non al cinefilo che riconosce le star che hanno lasciato un segno in ognuno dei cinema dove hanno scalato la fama): un'imprenditrice francese - Catherine Deneuve, una famosa ex modella italiana- Stefania Sandrelli e una cantante e attrice di successo greca – Irene Papas. 

Il film è parlato perché le tre donne, complice la galante ospitalità del comandante della nave, John Malkovich (ed ecco perché film: il cast è stellare), conversano ognuna nella propria lingua madre di se stesse, della propria storia, della condizione femminile e della speranza in un futuro di pace, affidato a un utopistico governo al femminile e di fare considerazioni sulla storia delle civiltà, dinanzi alle sfide poste dall'attualità politica, soprattutto sui pregiudizi alla base di tante incomprensioni tra mondo occidentale e cultura araba.

I dialoghi originali sono in diverse lingue, in ciascuna di quelle che hanno contribuito all’evoluzione della civiltà occidentale. Il Paese del regista è rappresentato da due donne: una giovane donna portoghese docente di storia che fa viaggiare la sua bambina e noi attraverso racconti istruttivi che ripercorrono la storia del Mediterraneo.

I discorsi delle tre donne si focalizzano proprio sul destino dell'Europa e della nostra civiltà. L'Occidente ha in sé il proprio destino, che è quello del suo 'tramonto' (dal latino occaso). Intolleranza e fondamentalismo, fanatismo e indisponibilità ad accogliere l'altro sono in agguato, pronti a dissolvere la grandiosità di un retaggio storico ancora lontano dal potersi dire consumato. Siamo destinati al baratro se non riusciremo a far tramontare la vocazione al conflitto che percorre da sempre la nostra storia. La guerra ai nostri confini è altro fuoco che può incenerire l'Occidente.

De Oliveira in questo film ci ricorda che siamo tutti 'adelphòi', persone che provengono dallo stesso 'delphýs', utero. Siamo tutti fratelli. Ma pare che nessuno se ne renda conto e scoppia l'imprevedibile. 

Laura Cusmà Piccione

Foto di apertura: 123rf