La poesia bucolica e Teocrito

La poesia bucolica e l'idillio

Teocrito si può a ragione ritenere il creatore della poesia bucolica (da boukòlos, pastore) e del genere idillico (da eidùllion, bozzetto, breve canto). La descrizione poetica del mondo pastorale, con i suoi usi e costumi, è già presente nei versi dell'Iliade (nel canto XVIII Omero riferisce di alcune competizioni canore avvenute tra pastori e mandriani) e la creazione di poemetti d'ambientazione campestre può essere fatta risalire a Stesicoro.

Tale genere, tuttavia, si eleva a un certo livello di consapevolezza e dignità letteraria con Teocrito: d'ora in poi gli idilli divengono veri e propri quadri di vita pastorale al cui centro spicca la figura del boukòlos, il pastore. Gli otto idilli bucolici del corpus teocriteo si sviluppano attorno ad un medesimo schema le cui parti si fisseranno nella struttura tipica del carme pastorale. L'ambientazione è campestre: in cui la natura, perfetta nei suoi particolari e insieme irreale, “arcadica”, diviene il simbolo di un luogo “altro”, lontano sia nel tempo sia nello spazio. Teocrito raffigura un mondo isolato e solitario, lontano dallo strepito e dal clamore della polis, lontano dai problemi e dalle angosce, senza preoccupazioni pratiche, facendosi interprete del desiderio di evasione che si manifesta in grandi città come Alessandria e si fa strada insieme all'ideale di pace, tranquillità e distacco dal mondo propugnato dalle nascenti filosofie ellenistiche (specialmente dai principi dell'atarassìa e del “làthe biòsas!” – ossia “vivi nascosto” – propri dell'epicureismo). Ricorrente è l'intreccio: due pastori, per caso, si incontrano sullo sfondo di un paesaggio ameno e danno prova delle loro capacità sfidandosi in una gara musicale; un terzo pastore presente fa da giudice e consegna al termine della contesa un dono al vincitore. Altro elemento ricorrente è il canto amebeo: a eccezione delle Talisie, gli idilli teocritei presentano il momento dello scontro tra i due pastori come un dialogo costituito di musica e parole e sostenuto dai due contendenti che danno vita ad un canto amebeo (cioè “botta e risposta”) il cui tema prevalentemente trattato è l'amore.

La lingua usata è quasi sempre il dialetto dorico; alcuni carmi sono tuttavia scritti in ionico (XII) e altri in eolico (XXVIII-XXX).

La lingua e lo stile

La preoccupazione costante per la cura formale, l'amore per la sperimentazione linguistica (in particolare l'assunzione di generi poetici nuovi o innovativi e l'uso di metri e forme dialettali diverse da quelle canonizzate dalla tradizione) mostrano in Teocrito l'adesione alla poetica dell'ellenismo: di essa fu interprete altrettanto consapevole quanto Callimaco, che conobbe direttamente, e di Apollonio Rodio (con cui ebbe in comune alcuni temi). Tutta teocritea è invece la vivacità della vena poetica, che si libera dal peso dell'erudizione per aderire a una visione più cordiale e diretta della vita: sia quella cittadina nei mimi (per esempio nella caratterizzazione bonariamente caricaturale delle “borghesucce” siracusane dell'Idillio XV) sia soprattutto quella della campagna nei carmi bucolici. In essi, il poeta trae spunto da antiche forme popolari (per esempio, gare di canto tra pastori) per trasporle in una calibrata eleganza. I pastori e i contadini di Teocrito, immersi nella splendente solarità del paesaggio mediterraneo, intenti alla disciplina del lavoro o più spesso dediti a gare canore ispirate al tema amoroso, sono tratteggiati con viva concretezza e con umana simpatia, talvolta velata di ironia.