L'espansione economica e sociale del Settecento

La Rivoluzione industriale

Con questa espressione la storiografia designa la nascita della moderna industria verificatasi dapprima in Inghilterra e poi negli altri paesi occidentali nei secc. XVIII e XIX. Alla base di questo fenomeno vi erano una serie di fattori, già ricordati, quali l'aumento della produttività agricola, la crescita demografica, l'aumento del commercio estero e la conseguente concentrazione della ricchezza finanziaria, che si incontrarono con una fase di intense innovazioni technologiche nell'industria manifatturiera. Fra le più rilevanti scoperte tecnologiche si annovera la macchina a vapore di Watt (1764) che ricoprì un ruolo di primissimo piano. Essa emancipò il processo produttivo industriale dalla forza animale e dalla ruota idraulica, consentendo tra l'altro la collocazione delle fabbriche non più necessariamente lungo i corsi d'acqua ma, a seconda delle necessità, presso miniere, mercati, città, vie di comunicazione. Oltre all'impiego nelle miniere di ferro e di carbone per aspirare l'acqua, la macchina a vapore cominciò a essere utilizzata per azionare i macchinari dell'industria cotoniera britannica; seguirono le applicazioni nelle ferriere e negli stabilimenti meccanici. L'invenzione del telaio meccanico e del filatoio multiplo, il miglioramento del puddellaggio del ferro con il sistema di Cort innalzarono la produzione soprattutto di filati e tessuti di cotone e del ferro con ritmi impensati, sfruttando alcune materie prime abbondantemente diffuse in Inghilterra (in particolare il carbone), o importate dall'esteso impero coloniale (come il cotone grezzo). Nuova ricchezza fu investita nell'attività manifatturiera, dove si affermò l'organizzazione di fabbrica che poteva utilizzare la manodopera liberata dalle trasformazioni capitalistiche dell'agricoltura. La rottura dei legami corporativi che avevano caratterizzato le botteghe artigiane e il distacco dal lavoro agricolo portarono alla diffusione del lavoro salariato, inizialmente sotto il controllo di mercanti-imprenditori e poi di capitalisti industriali. Le conseguenze sociali di questi cambiamenti furono traumatiche e profonde: l'aumento rapidissimo della popolazione delle città e la concentrazione dei lavoratori nelle fabbriche si accompagnò allo sfruttamento crescente della forza lavoro operaia (anche infantile e femminile), uno sfruttamento che doveva durare a lungo prima di essere attenuato da miglioramenti delle condizioni di lavoro o di provvedimenti di tutela pubblica. La legislazione sociale infatti fu emanata solo nel secolo successivo quando era maturata la consapevolezza dell'intervento statale nell'economia per rimediare ai danni prodotti a livello sociale dal liberismo; molto importante fu per questo scopo la pressione esercitata sull'opinione pubblica dai nascenti movimenti sindacali e socialisti. Soprattutto dopo le guerre napoleoniche l'esportazione da parte dell'Inghilterra di prodotti industriali a basso costo provocò a sua volta l'avvio dell'industrializzazione nelle zone dove le condizioni erano più favorevoli per la presenza di carbone, per esempio nei territori settentrionali del Belgio e della Francia.