giustìzia

Indice

Lessico

sf. [sec. XIII; dal latino iustitía].

1) Virtù per la quale si giudica rettamente e si riconosce il diritto altrui, dando a ciascuno ciò che gli è dovuto; per estensione, equità, rettitudine, conformità alle leggi del giusto, imparzialità: operare secondo giustizia. Per la Chiesa è la prima delle virtù cardinali, considerata nell'Antico Testamento come la rettitudine perfetta donata da Dio all'uomo prima del peccato originale, nel Nuovo è definita da Gesù “il compendio di tutte le altre virtù”. Nel pensiero della Chiesa, soprattutto nell'interpretazione tomistica, la giustizia induce a rendere a ciascuno il suo e a subordinare ogni atto umano al bene comune.

2) Il potere di realizzare il diritto e di dar forza esecutiva a esso; l'autorità che esercita tale potere, la magistratura: amministrare la giustizia, intralciare il corso della giustizia; palazzo di giustizia, sede del tribunale. Nelle loc., fare giustizia sommaria, condannare senza la consueta e regolare procedura; far giustizia, far trionfare il giusto o giustiziare; render giustizia, dare a uno ciò che gli spetta per diritto; far giustizia di uno, trattarlo come si merita; farsi giustizia da sé, senza ricorrere all'autorità costituita; incappare nelle mani della giustizia, essere arrestato. Fig., far giustizia di un'opera, valutarla negativamente. Per estensione, pena inflitta e l'esecuzione di tale pena: luogo di giustizia, patibolo; esecutore della giustizia, boia.

Filosofia

In senso lato, tutto ciò che è equilibrato, armonico, preciso, ordinato, coerente, esatto; in senso giuridico-politico, la conformità dei comportamenti umani a una norma giuridica o a un complesso di norme poste dall'autorità statale costituita (sicché è ingiusto ciò che a tali norme non si conforma: l'assolutizzazione di questo punto di vista, tipica di alcune correnti del positivismo giuridico, è stata anche detta “normativismo”); in senso sociale, la regolamentazione ordinata di una società in merito ai bisogni, capacità e meriti dei suoi membri. Specificando ulteriormente la giustizia è oggettiva in riferimento al carattere intrinseco di ordinamento giuridico; soggettiva, in quanto capacità di un soggetto di adeguarsi alla legge o all'ordinamento (tanto in senso giuridico quanto in senso morale); distributiva, se riguarda la ripartizione dei beni o dei mezzi di sostentamento fra i singoli appartenenti a un gruppo sociale; commutativa, se riferita all'equivalenza di valore fra beni di scambio. Nell'ambito filosofico, lo studio del concetto di giustizia (oggetto della filosofia del diritto quanto della filosofia morale) ne indaga il valore e il significato relativamente a tutte le accezioni già esaminate, alla luce delle più diverse risposte date nella storia del pensiero: un primo concetto di giustizia emerge già nelle organizzazioni dei popoli più antichi come attività regolatrice dei rapporti sociali; in campo speculativo la prima definizione della giustizia è dei pitagorici che l'identificano come “armonia”, in connessione con la loro concezione matematica dell'universo. Il pensiero sofistico affronta il problema della giustizia morale in chiave relativistica, cioè in rapporto all'utilità e alla convenienza. Diversamente fa Platone che, nella Repubblica, definisce la giustizia come “armonia” fra le tre parti dell'anima umana (razionale, irascibile, concupiscibile), corrispondenti alle tre classi che compongono lo Stato ideale da lui delineato (popolo, esercito, governanti-filosofi). Giustizia è dunque per Platone l'equilibrio dove ciascuna delle parti compie le sue funzioni, senza interferire con le altre, ma in armonia con esse: è insieme virtù e strumento di convivenza, ma sempre in riferimento all'idea” suprema della giustizia, cui bisogna conformarsi. Nell'Etica Nicomachea, Aristotele teorizza la giustizia come l'atteggiamento razionale che sa cogliere il giusto mezzo fra il troppo e il troppo poco, fra l'eccesso e il difetto. Aristotele distingue inoltre la giustizia dalla legalità, che è il semplice ed esteriore conformarsi alle leggi. Il pensiero stoico elabora una dottrina della giustizia tipicamente giusnaturalistica, riferendo il carattere di giustizia dei comportamenti umani a una legge naturale comune a tutti gli uomini: concetto che ritorna nel diritto romano. Il pensiero cristiano-medievale oscilla fra una concezione teistico-provvidenzialistica della giustizia – per cui giustizia è la volontà di Dio – e una visione orientata a mediare razionalismo e teismocui è la stessa legge razionale – come vuole San Tommaso – che procede dalla volontà divina e ne è espressione. Il pensiero moderno si orienta invece a un concetto strettamente razionalistico della giustizia, intesa come obbedienza ai dati della ragione: così, in vario modo, Cartesio, Spinoza, Leibniz, Grozio. Questa concezione è posta in dubbio dall'empirismo inglese (Hobbes, Locke, Hume), che riduce la giustizia a considerazioni di sentimento o di utilità. Kant si propone di mediare i due punti di vista opposti, riferendo la giustizia all'idea della “libertà”, che è innata in ogni soggetto umano: giustizia per Kant è – da parte di un soggetto – la limitazione della propria libertà in funzione della libertà degli altri soggetti. Quindi la libertà, che è data a priori, va congiunta alle leggi esterne, che regolano l'elemento empirico, limitandosi e favorendone così il rispetto. Giustizia è per Kant limitazione della libertà del singolo nell'interesse della libertà di tutti: e questo concetto è accettato, al culmine dell'idealismo tedesco, anche da Hegel, che però finisce per risolvere il singolo nell'universalità dello Stato, espressione terrena dello Spirito Assoluto. A tutte queste principali posizioni assunte nella storia del concetto di giustizia possono essere poi riferite alcune fra le principali dottrine politiche contemporanee. Oggi infatti alla riflessione puramente filosofica sull'essenza della giustizia come virtù si preferisce la riflessione sulla pratica giuridica concreta e sulla realtà ideologica e sociale. Nella filosofia del diritto le posizioni dominanti in ordine al problema della giustizia sono sostanzialmente quella del positivismo giuridico, che riconduce il carattere di giustizia di un atto o di un comportamento alla sua corrispondenza con la norma giuridica emanata dall'autorità costituita, e quindi riferisce lo studio del concetto di giustizia allo studio del carattere e della natura delle norme (si vedano a questo proposito soprattutto le opere di H. Kelsen), le nuove correnti giusnaturaliste, prevalenti nella filosofia del diritto d'ispirazione cattolica e la concezione marxista che riconduce il concetto di giustizia alla sua matrice sociale, negandogli un valore assoluto e facendone una variabile del processo storico.

Diritto

Nell'ordinamento vigente i problemi della giustizia sono previsti nella Costituzione repubblicana, parte II, titolo IV. Le norme contenute in questo titolo affermano, tra l'altro, che: “la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario” (art. 102), “i giudici sono soggetti soltanto alla legge” (art. 101, II); “possono istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura. La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia” (art. 102, II); “spettano al ministro della Giustizia l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia” (art. 110). Nell'ordinamento vigente si hanno quindi diverse forme di attuazione della giustizia: quella effettuata attraverso il giudice ordinario, di cui all'art. 102 della Costituzione precedentemente citato; quella effettuata attraverso il giudice amministrativo. Afferma in proposito l'art. 103 della Costituzione: “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa (T.A.R) hanno giurisdizione per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. La Corte dei Conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”. Infine, vi è il giudice costituzionale, cioè la Corte Costituzionale la quale giudica “sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni; sulle accuse promosse contro il presidente della Repubblica, a norma della Costituzione” (art. 134 della Costituzione); aggiungasi che sulla base degli ex art. 2 e seguenti, legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 (norme integrative della Costituzione sulla Corte), “spetta alla Corte Costituzionale giudicare se le richieste di referendum abrogativo presentate a norma dell'articolo 75 della Costituzione siano ammissibili ai sensi del secondo comma dell'articolo stesso”, in quanto “non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”.

Bibliografia

Per la filosofia

N. Bobbio, Sulla nozione di giustizia, Modena, 1952; D. Caiazzo, L'idea di giustizia nel pensiero greco, Roma, 1958; C. Perelman, The Idea of Justice, Londra, 1963; L. Perego, La dinamica della giustizia, Milano, 1966; H. Kelsen, Il problema della giustizia, Torino, 1975; E. Nardi, L'anima e il diritto, Roma, 1989.

Per il diritto

M. Ascoli, La giustizia, Padova, 1930; T. D. Casares, La justice y el derecho, Buenos Aires, 1935; W. Sauer, Die Gerechtigkeit, Berlino, 1959; D. Campanale, Saggi sulla giustizia, Bari, 1987.

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