Dreyer, Carl Theodor

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cineasta danese (Copenaghen 1889-1968). Orfano di madre svedese, e secondo alcune fonti anch'egli nato in Svezia, fu adottato e severamente educato da una famiglia luterana. Artista eminente e solitario, non conobbe quasi mai un successo di pubblico e fu spesso costretto, nelle lunghe attese tra un film e l'altro, a riprendere l'attività di cronista o di documentarista. Durante gli anni Venti diresse in diversi Paesi numerosi film tra i quali Il presidente, che segnò il suo esordio, Fogli del libro di Satana (Danimarca, 1919-20), La vedova del pastore (Svezia-Norvegia, 1921), Mikaël o Desiderio del cuore (Germania, 1924) e, girato in patria, Devi rispettare tua moglie o L'angelo del focolare (o anche Il padrone di casa, 1925) che già preludeva, per la magistrale resa del rapporto personaggi-scenografia e per lo studio profondo di un'interiorità ambientale e umana, al capolavoro. A questo pervenne tra il 1927 e il 1928, realizzando nel clima dell'avanguardia francese La passione di Giovanna d'Arco, in cui risolse stupendamente, in architetture e in primi piani e in una scultorea galleria di fervore religioso e di vizi degradanti, il conflitto tra la semplice anima della santa e il collegio dei giudici politici: scontro tra fede e fanatismo che tornerà anche in opere successive. Vampyr (Francia, 1931) fu invece un'allucinante immersione nell'irrazionale, dove l'atmosfera di costrizione e di terrore è evocata fantasticamente, ma resa con realismo minuzioso nella corposità agghiacciante dei particolari. Trascorse un decennio prima che in Dies irae (Danimarca, 1943), altro eccellente film della creatività dreyeriana, il tema della stregoneria, proposto con ambiguità e polivalenza di significati, nuovamente convergesse in quello dell'intolleranza e sfociasse in tragedia delle coscienze. Dopo una sfortunata parentesi in Svezia e una serie di cortometraggi per il governo danese, nel 1955 il regista presentò Ordet (La parola o, meglio, Il Verbo), che aveva tratto fedelmente dall'omonimo dramma di Kaj Munk, riallacciandosi, nella polemica contro il rigorismo religioso, alla sua infanzia. Come Giovanna, come l'Anna del Dies irae, il mite folle che si crede Cristo è più vicino alla verità e al miracolo della vita che non i settari ministri del Signore. Premiato alla Mostra di Venezia “per la sua opera e la sua vita di artista”, onorato in personali e retrospettive anche televisive, Dreyer inseguì invano il vecchio sogno di un “suo” Gesù. L'ultimo film fu invece Gertrud (Danimarca, 1964) che, sebbene accolto freddamente dalla critica all'anteprima parigina, rende con ferma e intatta coerenza l'estremo omaggio di Dreyer alla femminilità, musa ispiratrice di tutta la sua arte.

Bibliografia

A. Solmi, Tre maestri del cinema, Milano, 1956; J. Sémolué, Dreyer, Parigi, 1962; Cl. Perrin, Carl Th. Dreyer, Parigi, 1969; P. G. Tone, C. Th. Dreyer, Firenze, 1978; M. Drouzy, Carl Th. Dreyer, Milano, 1990.

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