Stanislavskij, Konstantin Sergeevič

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pseudonimo del regista, attore e teorico teatrale russo K. S. Alekseev (Mosca 1863-1938). Appassionato frequentatore di teatri (fu influenzato dallo scrupolo dei Meininger nella ricostruzione d'epoca e nell'impiego dell'elemento corale e da T. Salvini come esempio di lavoro compiuto dall'attore su se stesso per calarsi nel personaggio), si dedicò a un'attività filodrammatica di egregio livello. Poi, incontrato il letterato V. Nemirovič-Dančenko, decise di fondare con lui il Teatro d'Arte di Mosca, che si inaugurò nel 1898 con Lo zar Fëdor Ioannovič di A. Tolstoj, spettacolo rappresentativo dell'aspetto storico-naturalistico dell'attività del nuovo organismo. Quest'ultimo intese sgombrare il teatro da logore convenzioni, con recitazione d'insieme, ricerca realistica d'atmosfera e scavo psicologico dei personaggi. Fondamentale fu l'incontro con i drammi di A. Čechov (Il gabbiano, Il giardino dei ciliegi ecc.), di M. Gorkij (Bassifondi) ma non meno significativo quello con i classici, a cominciare da W. Shakespeare. Stanislavskij evitò di imprigionarsi in un naturalismo programmatico, mirò ad andare dall'esterno verso l'interno della realtà, alla ricerca di una verità totale. D'altro canto, egli non si tenne lontano da tendenze come il simbolismo, e in particolare, dopo il 1905, si aperse a influenze come quella di V. Mejerchold, in un primo tempo suo collaboratore e fautore di poetiche in antagonismo con quella originaria del Teatro d'Arte, e invitò G. Craig a collaborare con lui per un Amleto. Dopo la rivoluzione russa del 1917 e dopo una trionfale tournée americana (1922-24), il Teatro d'Arte accolse la drammaturgia sovietica (M. Bulgakov, V. Ivanov), ma Stanislavskij, per ragioni di salute, dovette limitare la propria attività pratica (supervisioni, regie d'opera). Maestro di regia tra i massimi di ogni tempo, la cui lezione è viva ancor oggi, Stanislavskij fu assai importante quale teorico della recitazione. Il famoso “metodo Stanislavskij” esercita tuttora influenza un po' dovunque e ha trovato speciale applicazione e adattamento negli Stati Uniti (Actors' Studio ecc.). Esso ha alla base una psicotecnica, un duplice lavoro dell'attore: sul personaggio da interpretare-rivivere e su se stesso, lavoro nel corso del quale egli deve impegnarsi a interiorizzare il nucleo artistico del testo teatrale e insieme attivare le proprie esperienze emotive. Essenziali, per comprendere la personalità di Stanislavskij, sono volumi come La mia vita nell'arte (1925), Il lavoro dell'attore su se stesso (1938) e Il lavoro dell'attore sul personaggio (1957, postumo).

Bibliografia

D. Magarshack, Stanislavskij, New York, 1951; N. Gourfinkel, Stanislavskij, Parigi, 1955; A. M. Ripellino, Il trucco e l'anima, Torino, 1965; C. Edwards, The Stanislavskij Heritage, Londra, 1966; O. V. Toporkov, Stanislavskij alle prove, Milano, 1991.

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