calamaro

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sm. [sec. XIV; forma regionale di calamaio].

1) Nome comune indicante i rappresentanti del genere Loligo di Molluschi Cefalopodi, ordine dei Decapodi. Il calamaro possiede otto braccia uguali e due braccia tentacolari terminanti con ventose peduncolate; il mantello è provvisto di due ampie pinne laterali che servono per il movimento; la conchiglia interna è di natura cornea e ha la forma di una lamina molto allungata e appiattita dorsoventralmente, detta gladio. Il nome calamaro deriva dal fatto che l'animale, per difendersi, secerne un umore nero simile all'inchiostro. I calamari sono animali pelagici molto comuni nei nostri mari, in particolare Loligo vulgaris. Il sistema di locomozione “a getto” dei calamari è molto efficiente e permette a questi animali di raggiungere per brevi tratti velocità di oltre 50 chilometri all'ora, le più alte fra gli invertebrati acquatici. Queste consentono ai calamari di essere attivi predatori di pesci pelagici e di sfuggire a loro volta ai predatori, talvolta compiendo prodigiosi balzi fuori dall'acqua. I calamari hanno carne gustosa e saporita e si preparano arrosto o, per lo più tagliati ad anelli o a striscioline, fritti, spesso con scampi e pesciolini (fritto misto di pesce).

2) Calamari gigante, nome comune improprio dell'Architeuthis princeps, il più grande mollusco noto.

3) Fig., specialmente al pl., tracce livide sotto gli occhi dovute a stanchezza o a malattia, occhiaie: aveva i calamari agli occhi.

4) Ant. o dial. nel senso di calamaio.

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